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sabato 28 ottobre 2017

L'ANGELO AZZURRO

14_L'ANGELO AZZURRO (Der Blaue Engel). Germania, 1930;  Regia di Josef Von Sternberg.

C’è una sproporzione tra il numero delle interpretazioni dei presunti significati sottesi al film L’Angelo Azzurro e quanto realmente mostrato sullo schermo: è questo non un segno di debolezza, ma la caratteristica propria dei capolavori. Considerato il primo film sonoro prodotto in Germania, opera del regista Joseph Von Sternberg, autore già noto ad Hollywood ( Le notti di Chicago, 1927), Der Blaue Engel  è in genere  ricordato per la consacrazione della protagonista della pellicola, Marlene Dietrich, intesa spesso come una semiesordiente quando invece  aveva 28 anni e una carriera decennale con una ventina di film già alle spalle. La vicenda che dà luogo alle molte interpretazioni, è in realtà abbastanza semplice e vede un importante professore del ginnasio seguire i propri studenti, nel tentativo di redimerli, nell’equivoco locale L’Angelo Azzurro, per poi finire lui stesso ghermito dal fascino della vedette dell’ambiguo teatro, Lola Lola (la divina Marlene, appunto). La contingente condizione della Germania dell’epoca, ha spesso suggerito un parallelo tra la caduta della Repubblica di Weimar e la tragica parabola del professor Rath (il notevole Emil Jannings): come la repubblica egli è animato dalle migliori intenzioni (redimere i suoi alunni), ma è ancora troppo legato ai metodi tradizionali e autoritari della società tedesca di matrice imperiale. Questa chiave di lettura è in parte eredità del soggetto originale di Heinrich Mann, Professor Unrat, che aveva evidenti intenti sociologici connessi all’ambientazione nell’ancora Germania gugliemina. 
Von Sternberg, in realtà, focalizza altrove lo sguardo della sua macchina da presa; e l’adattamento al periodo contemporaneo che il regista attua, permette all’autore di mettere l’accento e l’attenzione sugli aspetti ambigui, corrotti, allusivi, soprattutto sotto il profilo sessuale, che la modernità stava portando nella società. Ed è una pista un po’ falsa anche quella psicoanalitica, con l’impotenza del professore (la scena dell’uccellino morto in gabbia, con la governante che dopo averlo gettato nella stufa, sottolinea come non cantasse più da tempo) che sfocia ora nel sadismo (la repressione e l’autoritarismo nei confronti degli alunni) ora nel masochismo (quando si inginocchia davanti a Lola Lola per aiutarla ad infilarsi le calze in nylon). Questi aspetti ci sono, e sono evidenti, ma non hanno l’approfondimento necessario a questo tipo di analisi: Von Sternberg è, sebbene con stile e arte sopraffina, molto più grezzo. A lui interessa il Destino dell’uomo, più che le motivazioni psicologiche che lo determinano. 

Nonostante il suo film parli di una tragedia, di un eminente professore che cade in rovina, lui concentra la sua attenzione sulle gambe di Lola Lola: L’Angelo Azzurro non è infatti il film che viene ricordato per come descrive i rischi dell’attrazione sessuale, ma è il capolavoro che consacra la figura di Marlene Dietrich come diva immortale. E non sembra un effetto collaterale fortuito, quanto piuttosto esattamente lo scopo di Von Sternberg: celebrare una nuova figura femminile, consapevole e padrona del desiderio maschile e, quindi, del Destino dell’uomo. Però, Lola Lola non può certo essere considerata una figura tridimensionale, che possa in qualche modo incarnare il ruolo della donna in una simile metafora. Lola Lola non assolve praticamente mai a questo compito. E infatti anche questa possibilità interpretativa, la celebrazione della ‘femme fatale’ per eccellenza, non soddisfa pienamente, e c’è ancora un margine per un approfondimento migliore. 

Ci può aiutare, in questo, osservare come il ruolo del professor Rath (ambiguo già dal nome, perché gli studenti lo chiamano Unrat, spazzatura) può essere la parte di Von Stenberg stesso e quindi anche dello spettatore, visto che vediamo il film attraverso lo sguardo della sua macchina da presa. La scena iniziale con il professore, insegnante di inglese, che cerca di addolcire la pronuncia troppo tedesca dello studente nel recitare Shakespeare, può essere una sorta di autocitazione, nel momento in cui Von Sternberg era stato richiamato dagli Stati Uniti, dove stava lavorando da anni pur essendo austriaco, per dirigere il primo film sonoro tedesco. Il produttore della UFA Erich Pommer doveva essere conscio delle difficoltà intrinseche all’uso del sonoro, anche in relazione alla gloriosa tradizione del cinema muto in Germania: ingaggiare Von Sternberg che arrivava da Hollywood e che aveva già risolto i problemi tecnici del sonoro avendo diretto La mazzata, poneva l’autore su un piano di superiorità rispetto ai collaboratori. 
Von Sternberg sta’ quindi al cinema sonoro tedesco un po’ come il professore sta’ allo studente a cui insegna a pronunciare correttamente la lingua inglese. E così il film diventa un discorso in prima persona del regista, immortalato nel destino tragico del professor Rath, e assume una dimensione più universale, totalizzante, perché l’autore ammette, con la sua stessa messa in scena, che in sé coesistono sia il desiderio che la consapevolezza della disperazione che ne deriverà. Ma allora non ha scampo l’uomo, nessun uomo, di fronte alle pulsioni del desiderio, perché le sue pericolose conseguenze non arrivano inaspettate, ma forse ne sono strettamente connesse. E più pericolosamente non sono legate al concetto di sesso come segno distintivo, il desiderio di qualcosa che sia altro, ovvero la donna nel nostro caso, ma rimanendo in ambito più ambiguo, possono forse indicare che sono già nel nostro profondo. Il professore rinuncia alla cattedra, alla sua professione, alla sua fonte di reddito e di prestigio pur di potersi congiungere alla cantante dell’Angelo Azzurro. Dal canto suo Lola Lola è algida, noncurante: risponde, affermativamente, alla proposta di matrimonio con una fragorosa risata; è talmente indifferente che non si registrano reazioni nemmeno quando il professore perde il lavoro, e quindi il reddito. La mancanza di attenzione al lato venale è un dettaglio non trascurabile: difficile credere che una donna possa accettare con la stessa nonchalance la perdita di un reddito così importante in vista del proprio matrimonio.

 Invece la vediamo turbata solo nel finale, prima con gli occhi spalancati e colpevoli durante il tradimento, poi dalla paura di fronte alla furia del professore ormai impazzito. Ma sono sentimenti istintivi, di chi ha timore prima, e consapevolezza poi, che la situazione le è sfuggita di mano. Per il resto la Dietrich è statuaria, un monumento alla bellezza, femminile, certo, ma anche un po’ ambigua, androgina, nell’ostentazione perentoria di un fisico che è oggetto di devoto desiderio. Marlene è perfetta, il suo non è un ruolo che richieda una grande interpretazione recitativa, ma deve lasciar parlare la sua presenza scenica: la voce bassa, con la quale canta, tra le altre, Ich bin von Kopf bis Fuss auf Liebe eingestellt (‘sono orientata all’amore dalla testa ai piedi’), le è di grande aiuto ma sono le strepitose gambe ad essere la sua arma definitiva. C’è un costume, tra quelli indossati da Lola Lola durante le sue perfomance, che è particolarmente significativo: è una gonna ampia, semitrasparente, ma è solo la parvenza di una gonna, perché non è completa, limitandosi al solo lato frontale. A parte la funzione nella finzione di lasciar vedere le grazie della cantante quando si gira, essa rappresenta bene la bidimensionalità di Lola Lola. Con L’Angelo Azzurro Von Sternberg prende un’attrice semisconosciuta tedesca, e crea la figura di Marlene Dietrich, che incarna alla perfezione il concetto astratto di desiderio. Non è quindi completamente valida nemmeno la traccia dell’emancipazione della donna, che potrebbe veder la presa di cognizione del proprio potere sugli uomini, da parte di Lola Lola, come primo passo dall’affrancarsi dallo stato di subalternità dei secoli passati. Marlene interpreta, in maniera a dir poco sublime, il desiderio, a prescindere dalla sessualità: ella detiene i requisiti femminili, (la bellezza, la grazia), ma anche maschili, (l’imponenza, la sicurezza), che suscitano desiderio ed è quindi un simbolo universale. Non a caso indossa il cappello a cilindro tipicamente maschile o siede a cavalcioni su una sedia posta al contrario, come un rude cowboy. In definitiva L’Angelo Azzurro può essere considerato un monito: facciamo attenzione perché se i nostri desideri dovessero andare contro ai nostri valori, saremmo perduti. Non è in grado, l’uomo (in senso generale, non in senso di genere maschile) di reggere con la sola forza morale l’urto delle proprie pulsioni più profonde.
Ma qualora fossero dovute a Marlene Dietrich, ce ne faremmo volentieri una ragione.





Marlene Dietrich








4 commenti:

  1. sì, in fondo la morale è una costruzione sociale e quindi mi sembra sensato affermare che, se si vuole scendere sul serio nella profondità dei nostri desideri, occorre un po' distaccarsene...
    comunque qui Marlene, per come la descrivi, mi sembra come una di quelle donne dei dipinti Art Nouveau dell'epoca, una figura dorata e immutabile... :)

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  2. Pensa che per Marlene ho realizzato un'immagine che avrei dovuto usare come decoro per una vetrata per una porta interna della casa. L'ispirazione di base di partenza era proprio le immagini art Noveau, quelle di Alfons Mucha per intenderci, tranne che avevo utilizzato elementi cinematografici. Per ora il progetto è fermo (ci sono quattro vetrate da fare, Marlene, Gloria Grahame, Rhonda Fleming e Liz Taylor) e non è detto che poi lo realizzi, ma il layout l'ho usato per la locandina di "Galleria di Star" per Joan Collins che si può vedere sul blog. Questo per dire che, in effetti, vedo Marlene esattamente come dici...

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  3. A volte capita di avere una certa idea in testa e che poi, per un motivo o per un altro, si finisca per declinarla in una forma diversa...
    però bella idea, questa delle vetrate!... e gran bel quartetto! :)))

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  4. Si, e il casting è stato doloroso. Marilyn Monroe era rimasta fuori perchè ho una sua statua di 4o cm e quindi è già rappresentata nella casa, ma per tante altre è stata dura lasciarle fuori.

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