832_ANIME FERITE (Till the End of Time). Stati Uniti, 1946; Regia di Edward Dmytryk.
L’argomento principe di Anime Ferite di Edward Dmytryk è, o dovrebbe essere, il problema del reinserimento nella società civile dei reduci della Seconda Guerra Mondiale. In effetti gli elementi in tal senso ci sono tutti, a partire dal giovanotto di belle speranze che si era arruolato ai tempi della scuola ma ora si sente troppo vecchio per riprenderla e inadatto per un lavoro umile. Al suo fianco lo scapestrato che ha una placca di metallo nel cervello e che ogni tanto torna a farsi sentire e quello che ha perso completamente le gambe ed è costretto alla sedia a rotelle. Il primo è Cliff (Guy Madison) personaggio che ha il maggior spazio a disposizione sullo schermo ma che, francamente, finisce per perderne un sacco in continui ripensamenti; sorprende che a Robert Mitchum, nei panni di Tabeshaw, il secondo citato, siano riservati pochi ritagli di tempo, mentre Perry (Bill Williams) in fin dei conti è solo una comparsa. Perché la vera protagonista del film è Pat (Dorothy McGuire), vedova di guerra di cui Cliff si invaghisce in modo un po’ adolescenziale. E sarà proprio la traccia sentimentale, con i continui alti e bassi della coppia, nei quali si inserisce anche la giovanissima Helen (Jean Porter), a tenere banco per la durata del film. Naturalmente la vicenda rosa è trattenuta, avendo come sfondo un argomento così delicato come il reinserimento dei reduci e la McGuire, in un romanticismo così velato, ci va a nozze tenendo costantemente il centro della scena.
Dmytryk in regia sa il fatto suo, i dialoghi sono particolarmente funzionali e c’è anche un passaggio un po’ pepato quando Cliff ironizza con Helen facendo un simpatico e piccante doppio senso sul dondolo di casa, arrugginito per i tre anni di inattività durante il periodo bellico. Ma è una battuta che non ha riscontro nel resto del film, che si mantiene su un romanticismo platonico dosato comunque in modo sapiente da Dmytryk. Insomma, un film un po’ sdolcinato, d’accordo, ma ben confezionato. Ma quello più interessante è un aspetto che al tempo, non era forse così chiaro: il mal di vivere che attanaglia Cliff sul momento doveva essere ritenuto (anche giustamente) collegato al reinserimento dei reduci. Gli anni Cinquanta riveleranno che era un malessere assai più diffuso e radicato nella società, e che l’esperienza bellica ne aveva unicamente anticipato i tempi. Curioso anche che Guy Madison come avvenenza anticipi alcuni tratti dell’attore che incarnerà meglio di ogni altro questi temi, James Dean. Anime Ferite, pur dandone un’interpretazione che a posteriori forse non era così esatta, allo stesso tempo ci dice che il fenomeno aveva radici profonde.
Dorothy McGuire
Jean Porter
e da lì poi è partito un male di vivere che continua ancora oggi, sebbene celato in un edonismo sfrenato di "selfie"... ಠ﹏ಠ
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