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giovedì 3 giugno 2021

HO DIFESO LA GIOVANE BOSNIA

827_HO DIFESO LA GIOVANE BOSNIA (Branio Sam Mladu Bosnu). Serbia, 2014; Regia di Srdjan Koljevic. 

Appassionante miniserie televisiva in cinque capitoli, Branio Sam Mladu Bosnu (Ho difeso la Giovane Bosnia, traduzione letterale) ripercorre principalmente le fasi del processo a carico non solo di Gavrilo Princip (Milos Djurovic) ma di 25 sospettati di essere in qualche modo coinvolti con l’attentato all’Arciduca Francesco Ferdinando, il celebre casus belli della Prima Guerra Mondiale. Naturalmente sia il giudice Kurinaldi (Dragan Petrovic-Pele) che il regista della serie, Srdjan Koljevic, concentrano la loro attenzione sui principali attori dei tragici fatti. Il protagonista del film non è però tra questi: Rudolf Zistler (Nikola Rakocevic) è infatti solamente l’avvocato (le manca ancora l’abilitazione, per la verità) di Veljko Čubrilović (Vuk Kostić) e del fratello Vaso (Vucic Perovic). La posizione di Veljko Čubrilović sembra meno grave di quella di altri, non essendo coinvolto nell’esecuzione materiale dell’assassino dell’arciduca ma non secondo le leggi austroungariche del tempo. A differenza dei principali artefici dell’attentato, Veljko era un adulto, addirittura un insegnante quando gli altri non erano che studenti: e visto che nell’Impero non si potevano condannare a morte individui in età minore di 21 anni, ne consegue che i maggiorenni coinvolti rischiavano quasi una sorta di aggravante per compensazione. In effetti si sa che Veljko, unitamente ad altri due condannati tra le persone meno giovani coinvolte nelle indagini, venne impiccato il 3 febbraio 1915. Ma per Zistler non fu l’unica sconfitta nel processo: la sua condotta troppo scrupolosa, quasi appassionata, non venne gradita dal giudice Kurinaldi e neppure dal magistrato Leo Pfefer (Nebojša Glogovac), che pure lo riteneva un suo pupillo. Zistler si considerava un fedele suddito austriaco e quindi si era pensato che adottasse una difesa d’ufficio accomodante nei confronti della linea di condotta già decisa preventivamente dalla magistratura imperiale. Anzi, questo compito meramente formale sarebbe servito a Zistler per accelerare la propria carriera, come detto giusto agli inizi. Purtroppo l’avvocato aveva preso sul serio il suo lavoro ed erano sin da subito state frequenti le frizioni col giudice Kurinaldi, deciso a far valere le ragioni di Vienna, che voleva semplicemente la conferma processuale alla già stabilita a priori responsabilità serba. Il racconto filmico si snoda quindi tra le fasi preliminari e le sedute del processo tenendo, tutto sommato in modo abbastanza scoperto e prevedibile, il punto di vista slavo sulla questione. 

Significativi, in quest’ottica, due aspetti che danno l’idea di una visione comunque parziale degli eventi: mentre si fa largo riferimento alla Giovane Bosnia (sin dal titolo dell’opera) di mazziniana ispirazione, non si parla mai della Mano nera, un’organizzazione segreta che complottava anch’essa per liberare gli slavi dal giogo imperiale. Senza addentrarci nei dettagli storici, sembra probabile che mettere in scena imberbi irredentisti affiliati alla Giovane Bosnia faccia un’impressione migliore che vederli aderire ad una società segreta dal nome sinistro come la Mano Nera. 

L’altro aspetto che denota una certa partigianeria, anche comprensibile, sia chiaro, nel pur avvincente racconto di Srdjan Koljevic, è la cornice narrativa: Branio Sam Mladu Bosnu è infatti visto totalmente in flashback. L’opera si apre, infatti, con le scene storiche dei nazisti che depongono la targa dedicata a Princip sul luogo dell’attentato; ancora tedeschi che occupano Sarajevo. La successiva irruzione a casa Zistler e l’arresto dell’avvocato, danno la possibilità al legale di rammentare i drammatici fatti occorsi tanto tempo prima. In un sotterraneo, insieme ad altri in attesa come lui di essere deportati in qualche campo di prigionia, Zistler riflette su come quello che gli stia accadendo sia probabilmente una vendetta per aver difeso gli attentatori di un imperatore di lingua tedesca. 

Non è ebreo e nemmeno è comunista, ne altro che giustifichi il suo arresto da parte nazista, infatti. C’è quindi un parallelo tra i due periodi storici, quello della cornice narrativa e quello del racconto nel flashback: l’occupazione di matrice tedesca in Bosnia. Che è innegabile, questo va riconosciuto; la perplessità, quella che fa sembrare quest’operazione un po’ di comodo, è che non convince totalmente il fatto di vedere la cosa in ottica pan-slava. Cioè, convincerebbe anche, ma a patto di ricordare allora anche i tragici giorni più recenti, dove ad insanguinare Sarajevo saranno le battaglie tra fratelli slavi. Perché il tema che viene portato avanti nel film, attraverso le parole degli indiziati a processo, è che la Serbia cercasse di essere il Piemonte slavo, per unificare tutti gli slavi del sud in uno stato chiamato Jugoslavia. E’ questo che viene contrapposto all’occupazione tedesca o austriaca: non ha caso la cornice è ambientata nel 1941; la Storia però dirà che, se non proprio un falso mito, si trattò di un mito adottato con una certa superficialità. Sono passati ormai trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, un evento storico che ha stappato la situazione geopolitica europea: trent’anni anche più travagliati del passato, per i popoli slavi dell’area della ex Jugoslavia, che dimostrano che il giogo tedesco era certamente un problema, ma non propriamente in ottica anti-slava. Come invece si potrebbe dedurre vedendo Branio Sam Mladu Bosnu, permeato com’è del rancore verso l’occupazione tedesca a cui si contrappone la fierezza e la volontà degli slavi del sud di veder sorgere una propria nazione. 


C’è, per la verità, qualche contrasto anche tra gli slavi del film, in particolare tra due avvocati degli accusati dell’attentato; i due legali approfittano dell’arringa difensiva finale per fare una sorta di comizio politico, in contrasto tra loro e per niente vantaggioso per i propri clienti. E’ opportuno notare come i due avvocati in questione siano croati, mentre il film è una produzione serba; e se abbiamo memoria di quello che è successo in questi ultimi citati trent’anni, il fatto potrà forse dirci qualcosa. Sottigliezze, sia chiaro, all’interno di un testo come detto avvincente. Ma vanno tenute a mente, se ci si vuole fare un’idea su come sia possibile, al netto delle questioni storiche, che Princip sia considerato tutt’ora un eroe nazionale in Serbia e un terrorista in Austria. La definizione della personalità dell’esecutore materiale dell’assassinio dell’Arciduca che esce dal film di Srdjan Koljevic è, in effetti, molto rispettosa, quasi deferente. Il Gavrilo Princip del film è un rivoluzionario fiero, coraggioso, serio e consapevole della gravità delle sue azioni, di cui riconosce le proprie responsabilità. Da buon anarchico, l’uomo che scagliò la bomba Nedeljko Čabrinović (Marko Grabež) è al contrario un tipo esuberante quanto Princip è ombroso. 

Stupisce il suo commento nel finale, quando dice di essersi quasi commosso nell’udire la testimonianza che citava le ultime parole di Francesco Ferdinando alla moglie morente. L’arciduca, colpito a morte come la moglie, l’aveva pregata di non morire, di continuare a vivere per i loro figlioletti; solo allora Čabrinović si era reso conto che Francesco Ferdinando era un padre, un uomo, oltre che l’erede all’odiato trono asburgico. Più taciturno il giovanissimo Trifko Grabež (Marko Pablović), per quanto anch’egli un tipo da prendere con le molle. Più sfumate le altre figure, com’era anche prevedibile. Alla bella moglie di Veljko, Jovanka (Vaja Dujovic) è affidato il compito di introdurre una flebile traccia sentimentale. In parte legata al carteggio col marito, di cui si incarica clandestinamente Zistler nei colloqui col suo cliente, mentre è solo suggerita un’intesa particolare tra Jovanka e l’avvocato. Non succederà però niente di ciò, nonostante lo stesso Veljko, consapevole della condanna a morte che lo attendeva, avesse in pratica spronato entrambi a prendersi cura reciprocamente. Questi aspetti sottolineano l’attenzione in regia di Koljevic perché sono semplici depistaggi narrativi: ogni storia necessità di una dose di sentimento, per prendere corpo e distrarre, in un certo senso, lo spettatore. Perché poi il colpo di scena è strettamente inerente al tema trattato, il processo agli irredentisti della Giovane Bosnia, i colpevoli dell’Attentato di Sarajevo. Le posizioni si delineano, nel corso del film, chiaramente: l’Impero vuole la conferma processuale della responsabilità serba. Il giudice Kurinaldi tratta il duplice omicidio non come un semplice delitto, ma come un attentato alla sovranità imperiale. La matrice politica del gesto comporta fortissime aggravanti per tutti i coinvolti, non andando a concentrarsi solo con gli esecutori materiali. Nel corso del dibattimento Zistler cerca invece attenuanti. 

Prova a dimostrare che Veljko sia stato minacciato dagli studenti e, avendo moglie e una figlia piccola, abbia finito per cedere alle pressione dei giovani. Inoltre, più in generale, cerca di decontestualizzare l’attentato dai moti irredentisti, auspicando che venga trattato come un semplice fatto in sé stesso. L’asso nella manica Zistler lo cava però fuori nell’arringa finale. Il capo di accusa peggiore nei confronti degli imputati era alto tradimento: come detto reato di per sé stesso anche più grave dell’omicidio. Si contestava a Princip e compagni di aver tradito l’Impero, attentando alla vita dello stesso, più che aver assassinato la coppia reale.  Il giovane avvocato accettava l’accusa di omicidio e complicità nello stesso, per le uccisioni dell’arciduca e consorte, ma aveva trovato il cavillo per contestare l’alto tradimento. 

In seguito agli Accordi di Berlino del 1878, l’Impero Austroungarico aveva occupato la Bosnja e Erzegovina; successivamente, nel 1908, questi territori erano stati annessi all’Impero. Da un punto di vista legale doveva però essere completata la ratifica istituzionale che andava approvata da parte di entrambi i regni che costituivano la monarchia, quello austriaco ma anche quello ungherese. Un passaggio non ancora completamente compiuto e quindi, se la sottomissione della Bosnja e Erzegovina era un dato di fatto, non lo era però dal punto di vista legale. Gli austroungarici dominavano con il diritto di forza ma non con quello legale. E di conseguenza, non si poteva accusare gli irredentisti della Giovane Bosnia di alto tradimento; almeno non da un punto di vista legale, che era quello che era tenuto a fare un processo in un tribunale. Le parole dell’avvocato lasciano sbigottiti Kurinaldi e la pubblica accusa, in primis un sempre più sconsolato Pfeffer, che Zistler lo aveva pure raccomandato. Il giovane avvocato conclude citando il Professor Finger che, a Vienna, aveva appunto esposto questa tesi. C’è nervosismo ma manca ancora da sentire l’arringa difensiva di Malek (Rale Milenkovic), ultimo avvocato chiamato a parlare ma talmente intimidito che perlomeno da lui non sono attesi colpi a sorpresa. In effetti l’anziano legale comincia in modo dimesso, confermando l’opinione di uomo mite e timoroso che aveva dato fin lì. Poi non solo si accoda alle parole di Zistler, prendendo in contropiede la platea ma suggella il tutto con un colpo da vecchio lupo delle aule di tribunale che spiazza tutti, spettatori compresi. 

Dalla borsa tira fuori il libro del Professor Finger, Das Stafrecht, volume 2, e lo apre a pagina 768 dove trova conferma la tesi esposta da Zistler. Nemmeno il suo giovane collega riesce a spiegarsi come Malek, che sembrava totalmente asservito ad una sentenza di comodo, potesse aver avuto la sua stessa intuizione. Tuttavia l’unico risultato inatteso del processo sarà l’esilio per Zistler, mentre Malek progettava già di andarsene dalla Bosnia. I congiurati verranno tutti condannati; tra di loro, i tre adulti verranno impiccati, compreso, come detto, Veljko Čubrilović, l’imputato a cui aveva prestato attenzione il protagonista della nostra storia. Il finale è mesto, con una suggestiva scena notturna di decine di uomini armati di fiaccole ai lati del treno che porterà i prigionieri al campo di detenzione. C’è ancora tempo per le classiche didascalie che, in questi casi, riassumono il destino dei protagonisti della vicenda. Curiosa la sorte di Zistler: una volta ritornato in Bosnia, verrà arrestato nel 1941 dai nazisti, come visto nelle scene dell’inizio. Poi, nel 1950, sarà la volta dei comunisti: in questa occasione il reato contestatogli sarà il ruolo legale in un caso di espropriazione di patrimoni privati. Come dire, anche in Bosnia per i governanti la legge è sempre un intralcio. Vorremmo poter dire di non conoscere il problema.     

Vaja Dujovic


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