827_HO DIFESO LA GIOVANE BOSNIA (Branio Sam Mladu Bosnu). Serbia, 2014; Regia di Srdjan Koljevic.
Appassionante miniserie televisiva in cinque capitoli, Branio Sam Mladu Bosnu (Ho difeso
Significativi, in quest’ottica, due aspetti che danno l’idea di una visione comunque parziale degli eventi: mentre si fa largo riferimento alla Giovane Bosnia (sin dal titolo dell’opera) di mazziniana ispirazione, non si parla mai della Mano nera, un’organizzazione segreta che complottava anch’essa per liberare gli slavi dal giogo imperiale. Senza addentrarci nei dettagli storici, sembra probabile che mettere in scena imberbi irredentisti affiliati alla Giovane Bosnia faccia un’impressione migliore che vederli aderire ad una società segreta dal nome sinistro come
L’altro aspetto che denota una certa partigianeria, anche comprensibile, sia chiaro, nel pur avvincente racconto di Srdjan Koljevic, è la cornice narrativa: Branio Sam Mladu Bosnu è infatti visto totalmente in flashback. L’opera si apre, infatti, con le scene storiche dei nazisti che depongono la targa dedicata a Princip sul luogo dell’attentato; ancora tedeschi che occupano Sarajevo. La successiva irruzione a casa Zistler e l’arresto dell’avvocato, danno la possibilità al legale di rammentare i drammatici fatti occorsi tanto tempo prima. In un sotterraneo, insieme ad altri in attesa come lui di essere deportati in qualche campo di prigionia, Zistler riflette su come quello che gli stia accadendo sia probabilmente una vendetta per aver difeso gli attentatori di un imperatore di lingua tedesca.
Non è ebreo e nemmeno è comunista, ne altro che giustifichi il suo arresto da parte nazista, infatti. C’è quindi un parallelo tra i due periodi storici, quello della cornice narrativa e quello del racconto nel flashback: l’occupazione di matrice tedesca in Bosnia. Che è innegabile, questo va riconosciuto; la perplessità, quella che fa sembrare quest’operazione un po’ di comodo, è che non convince totalmente il fatto di vedere la cosa in ottica pan-slava. Cioè, convincerebbe anche, ma a patto di ricordare allora anche i tragici giorni più recenti, dove ad insanguinare Sarajevo saranno le battaglie tra fratelli slavi. Perché il tema che viene portato avanti nel film, attraverso le parole degli indiziati a processo, è che
C’è, per la verità, qualche contrasto anche tra gli slavi del film, in particolare tra due avvocati degli accusati dell’attentato; i due legali approfittano dell’arringa difensiva finale per fare una sorta di comizio politico, in contrasto tra loro e per niente vantaggioso per i propri clienti. E’ opportuno notare come i due avvocati in questione siano croati, mentre il film è una produzione serba; e se abbiamo memoria di quello che è successo in questi ultimi citati trent’anni, il fatto potrà forse dirci qualcosa. Sottigliezze, sia chiaro, all’interno di un testo come detto avvincente. Ma vanno tenute a mente, se ci si vuole fare un’idea su come sia possibile, al netto delle questioni storiche, che Princip sia considerato tutt’ora un eroe nazionale in Serbia e un terrorista in Austria. La definizione della personalità dell’esecutore materiale dell’assassinio dell’Arciduca che esce dal film di Srdjan Koljevic è, in effetti, molto rispettosa, quasi deferente. Il Gavrilo Princip del film è un rivoluzionario fiero, coraggioso, serio e consapevole della gravità delle sue azioni, di cui riconosce le proprie responsabilità. Da buon anarchico, l’uomo che scagliò la bomba Nedeljko Čabrinović (Marko Grabež) è al contrario un tipo esuberante quanto Princip è ombroso.
Stupisce il suo commento nel finale, quando dice di essersi quasi commosso nell’udire la testimonianza che citava le ultime parole di Francesco Ferdinando alla moglie morente. L’arciduca, colpito a morte come la moglie, l’aveva pregata di non morire, di continuare a vivere per i loro figlioletti; solo allora Čabrinović si era reso conto che Francesco Ferdinando era un padre, un uomo, oltre che l’erede all’odiato trono asburgico. Più taciturno il giovanissimo Trifko Grabež (Marko Pablović), per quanto anch’egli un tipo da prendere con le molle. Più sfumate le altre figure, com’era anche prevedibile. Alla bella moglie di Veljko, Jovanka (Vaja Dujovic) è affidato il compito di introdurre una flebile traccia sentimentale. In parte legata al carteggio col marito, di cui si incarica clandestinamente Zistler nei colloqui col suo cliente, mentre è solo suggerita un’intesa particolare tra Jovanka e l’avvocato. Non succederà però niente di ciò, nonostante lo stesso Veljko, consapevole della condanna a morte che lo attendeva, avesse in pratica spronato entrambi a prendersi cura reciprocamente. Questi aspetti sottolineano l’attenzione in regia di Koljevic perché sono semplici depistaggi narrativi: ogni storia necessità di una dose di sentimento, per prendere corpo e distrarre, in un certo senso, lo spettatore. Perché poi il colpo di scena è strettamente inerente al tema trattato, il processo agli irredentisti della Giovane Bosnia, i colpevoli dell’Attentato di Sarajevo. Le posizioni si delineano, nel corso del film, chiaramente: l’Impero vuole la conferma processuale della responsabilità serba. Il giudice Kurinaldi tratta il duplice omicidio non come un semplice delitto, ma come un attentato alla sovranità imperiale. La matrice politica del gesto comporta fortissime aggravanti per tutti i coinvolti, non andando a concentrarsi solo con gli esecutori materiali. Nel corso del dibattimento Zistler cerca invece attenuanti.
Prova a dimostrare che Veljko sia stato minacciato dagli studenti e, avendo moglie e una figlia piccola, abbia finito per cedere alle pressione dei giovani. Inoltre, più in generale, cerca di decontestualizzare l’attentato dai moti irredentisti, auspicando che venga trattato come un semplice fatto in sé stesso. L’asso nella manica Zistler lo cava però fuori nell’arringa finale. Il capo di accusa peggiore nei confronti degli imputati era alto tradimento: come detto reato di per sé stesso anche più grave dell’omicidio. Si contestava a Princip e compagni di aver tradito l’Impero, attentando alla vita dello stesso, più che aver assassinato la coppia reale. Il giovane avvocato accettava l’accusa di omicidio e complicità nello stesso, per le uccisioni dell’arciduca e consorte, ma aveva trovato il cavillo per contestare l’alto tradimento.
In seguito agli Accordi di Berlino del 1878, l’Impero Austroungarico aveva occupato
Dalla borsa tira fuori il libro del Professor Finger, Das Stafrecht, volume 2, e lo apre a pagina 768 dove trova conferma la tesi esposta da Zistler. Nemmeno il suo giovane collega riesce a spiegarsi come Malek, che sembrava totalmente asservito ad una sentenza di comodo, potesse aver avuto la sua stessa intuizione. Tuttavia l’unico risultato inatteso del processo sarà l’esilio per Zistler, mentre Malek progettava già di andarsene dalla Bosnia. I congiurati verranno tutti condannati; tra di loro, i tre adulti verranno impiccati, compreso, come detto, Veljko Čubrilović, l’imputato a cui aveva prestato attenzione il protagonista della nostra storia. Il finale è mesto, con una suggestiva scena notturna di decine di uomini armati di fiaccole ai lati del treno che porterà i prigionieri al campo di detenzione. C’è ancora tempo per le classiche didascalie che, in questi casi, riassumono il destino dei protagonisti della vicenda. Curiosa la sorte di Zistler: una volta ritornato in Bosnia, verrà arrestato nel 1941 dai nazisti, come visto nelle scene dell’inizio. Poi, nel 1950, sarà la volta dei comunisti: in questa occasione il reato contestatogli sarà il ruolo legale in un caso di espropriazione di patrimoni privati. Come dire, anche in Bosnia per i governanti la legge è sempre un intralcio. Vorremmo poter dire di non conoscere il problema.
Vaja Dujovic
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