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domenica 13 luglio 2025

AMERICA COSì NUDA, COSì VIOLENTA

1697_AMERICA COSì NUDA, COSì VIOLENTA, Italia 1970. Regia di Sergio Martino 

la carriera registica di Sergio Martino si svilupperà negli anni all’interno di quel cinema ‘di genere’ in cui l’autore poteva costantemente infrangere, o quanto meno insidiare, i normali confini del buon gusto. In ambito erotico, con le sue commedie scollacciate, o in quello violento, con i suoi thriller, il cineasta romano ne fu uno dei migliori interpreti, capace di gestire al meglio l’ambiguità di queste produzioni. Quasi a fornire prima una sorta di credenziali sui suoi reali convincimenti, Martino cominciò la sua filmografia dirigendo documentari in cui si issò a severo censore morale. Se, nel suo esordio, Mille peccati, nessuna virtù, aveva preso di mira i paesi del nord Europa e la loro emancipazione di stampo progressista, con America così nuda, così violenta, mise sotto la lente dell’obiettivo della macchina da presa la culla della società borghese e del capitalismo. Un ulteriore dimostrazione della capacità «democristiana» del regista romano, che in seguito, gli sarà utile per interpretare sempre i gusti del pubblico anche quando il paese sembrò cambiare profondamente. 
Gli Stati Uniti, all’alba degli anni Settanta, offrirono a Martino una marea di spunti, più sul versante violento che su quello erotico, testimonianza dei tempi difficili che il paese stava attraversando. La critica non degnò di particolare interesse America così nuda, così violenta: “Droga, corruzione, alcolismo, nel film-inchiesta a colori che Sergio Martino ha girato in America con l’intenzione di mettere a nudo le pieghe degli States. Ci sono altresì i riti satanici, gli sbandamenti e le morbosità della gioventù dei due sessi, ora attratta dal misticismo, ora vittima della perversione. Non nuovo a impietose di radiografie di questo genere, il documentarista Martino ha cercato di puntualizzare problemi e fenomeni complessi e contradditori”. [Da oggi in prima, America così nuda, così violenta, Stampa Sera, anno 102, n. 178, giovedì 3-venerdì 4 settembre 1970, pagina 7]. Un commento che lascia intendere come il film abbia convinto pienamente l’anonimo recensore del giornale di Torino, il che lascia un po’ stupefatti, per la verità. Forse, non a caso, il giorno dopo, lo stesso quotidiano corresse il tiro: “Scene dal vero pur alternate ad altre realizzate visibilmente in studio, cercano di dare un quadro degli USA d’oggi. C’è una ricerca del sensazionale che confina con l’effettismo degli horror in certe sequenze, tra le quali non va raccomandato agli spettatori di stomaco debole (non stimolante per chiunque la veda prima di cena) quella dei ghiotti mangiatori di scarafaggi. L’America del benessere è, come d’uso, messa a confronto con quella «amara» e peggio che tale, ossia quella delle perversioni e dei riti satanici (non manca la sinistra villa di Bel Air). E, alla tragica strada di Dallas, si contrappongono gli astronauti percorrenti le vie celesti con meta la Luna. Il commento, che sottolinea a dovere il bene e il male dell’America «nuda» e «violenta» è detto dalla voce suadente di Giorgio Albertazzi”. [America così nuda, America così nuda, così violenta, Stampa Sera, anno 102, n. 179, venerdì 4-sabato 5 settembre 1970, pagina 7]. Il problema principale del film, è, manco a dirlo, la difficoltà di stabilire quali siano le parti ricostruite e quali, se ve ne sono, reali. Perché, se alcune mostrano palesemente la propria artificiosità, altre sembrano attendibili, ma nei Mondo movie è doveroso dubitare di ogni fotogramma. In ogni caso, la scena con il ritrovamento del cadavere di un suicida nei dintorni di Las Vegas, se ricostruita, è un capolavoro di credibilità, e mantiene intatta, in ogni caso, la sua efficacia drammatica. Interessante anche l’intervista a Marie Farr Walker, direttrice del Fayette Chronicle, quotidiano di Fayette, Mississippi, un paesino in cui era stato eletto sindaco Charles Ever, un uomo di colore. La signora in questione non si fa alcun problema a esternare frasi palesemente razziste che, provenendo da una donna e giornalista, in ottica «liberal» bilanciano in parte l’ottimismo che l’elezione di un afroamericano come Ever poteva far intendere.

Il film non convince del tutto, per essere onesti, ma alcuni passi del commento lasciano intendere il tipico umorismo che il cinema di Martino, almeno nella sua sponda «leggera», avrà poi in seguito. Per la precisione il testo letto da Giorgio Albertazzi porta la firma di Guido Gerosa e Gian Franco Venè ma, è presumibile che il regista, autore anche del soggetto, abbia sicuramento influito in qualche misura. In ogni caso, alcune battute sono, a loro modo, memorabili: descrivendo le abitudini alimentari che hanno dato come risultato le «bellezze da spiaggia» di Miami, la ‘voce over’ cita “statistiche alla mano, natiche al rallentatore”, mettendo d’accordo commento e immagini sullo schermo; sulle scene prese dall’Altamont Free Concert, lo spirito degli hippy accampati è sintetizzato con un laconico “pace all’americana, pace alla marjuana”. Qui c’è una classica imprecisione tipica dei Mondo movie, anche se potrebbe essere una svista genuina: il commento ci informa che, a fronte di tre nascite, durante questa sorta di Woodstock californiana, ci furono cinque morti. Il conteggio finale che, con un certo humor nero riduce il bilancio ad un “morte batte vita 5 a 3”, non è però attendibile in quanto pare che i bambini nati sui prati dell’Altamont Raceway Park furono quattro e i decessi altrettanti. Ma, certo, un pareggio, nell’ottica dei Mondo movie, è forse la cosa peggiore che ci sia da raccontare. Le scene di sesso libero degli hippy alimentano il versante erotico del film che, quando affronta uno dei cliché del genere, quello degli omosessuali, piazza un paio di battute che potrebbero essere intese anche come scivoloni, forse anche senza scomodare il vigente «politicamente corretto». Ascoltando Albertazzi scopriamo che gli spettatori omosessuali siano esigenti nella scelta degli spettacoli perché “ammettono il loro vizio ma non ammettono di essere truffati”. Quando poi il film torna a mostrare gli eterosessuali, la ‘voce over’ li presenta come “uomini uomini”, affermazione che lascia un po’ disorientati. Più simpatica la battuta con cui vengono suggellati gli spogliarelli integrali femminili: se inizialmente di parlava di «top-less», per alzare la temperatura degli spettacoli si era passati ai «bottom-less»: “abbiamo toccato il fondo”, chiosa Albertazzi.
Insomma, pur nella drammaticità di un quadro a tinte fosche –dal momento che, effettivamente, gli Stati Uniti, nei primi anni Settanta, erano un paese profondamente violento– Martino provò ad alleggerire il suo racconto con un po’ di spirito. Non tagliente come quello di Jacopetti, ma di grana un po’ più goliardica; il che non è necessariamente un limite.     






           

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