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mercoledì 24 febbraio 2021

L'ESECUTORE

762_L'ESECUTORE (The Executioner). Regno Unito1970. Regia di Sam Wanamaker.

A prima vista, L’esecutore di Sam Wanamaker è un buon film di spionaggio degno rappresentate della cinematografia inglese che, di quel genere, ha sempre avuto una solida tradizione. Per la verità il regista americano si ingarbuglia un po’ con i flashback ma, in fin dei conti, una certa mancanza di chiarezza è anche legittima in un film in cui segreti ed intrighi sono elementi base del testo. Anzi, va dato atto a L’esecutore di essere un film avvincente, soprattutto nella seconda parte, quando cioè comincia a cambiare un po’ la prospettiva del racconto. Inizialmente il film sembra infatti la tipica esaltazione della spia glaciale ed infallibile (George Peppard nei panni di John Shay) che, in questo caso, si deve scontrare non tanto con il nemico ma piuttosto contro i propri superiori. Il che amplifica la statura eroica di Shay, visto che sembra l’unico ad aver scoperto come vanno le cose in mezzo ad un’organizzazione, il controspionaggio di Sua Maestà, dove resta da capire chi non è abbastanza acuto e chi invece sta facendo il doppio gioco. Ben presto Shay individua nel collega Adam Booth (Keith Michell) la mela marcia; ma la commissione d’inchiesta richiesta dal nostro protagonista gli si ritorcerà contro, visto che l’indagato è scagionato mentre è proprio Shay, già malvisto per il fallimento dell’ultima missione, ad essere accusato circa i metodi utilizzati per indagare sulla presunta talpa. E qui introduciamo l’elemento che rende interessante, oltre alla buona verve narrativa, L’esecutore, ovvero quello femminile. Non si tratta, però, di osservare le grazie di qualche emula delle famose Bond Girls, ma di un taglio meno estetico alla questione. 

A fornire le informazioni necessarie a Shay per la sua personale inchiesta alla ricerca dell’infiltrato è infatti Polly (Judy Geeson), impiegata dell’archivio del controspionaggio inglese. Polly è dichiaratamente innamorata di Shay che sfrutta senza alcun ritegno il suo ascendente su di lei; questo rapporto rappresenta la tipica situazione del film di spionaggio, con l’agente segreto bello e impossibile e la ragazza (non più che carina, in questo caso), che fa di tutto per assecondarlo e ottenere in cambio un po’ di attenzione. E’ un’impostazione evidentemente da maschi per un genere narrativo tipicamente maschile; James Bond, grazie all’ironia e al carisma di Connery oltre che del personaggio, riuscirà a sdoganare il genere presso il grande pubblico (femminile incluso) ma Peppard, pur essendo certamente un attore di rango, non è certo ai livelli del mitico interprete scozzese. Peraltro in L’esecutore è perfettamente funzionale: glaciale e infallibile fin tanto che è convinto di essere nel giusto contro tutto e contro tutti, vede nel finale le proprie certezze crollare. Ma il vero punto di interesse è poco prima a quando scopre di aver preso un granchio colossale e di essersi macchiato di un omicidio, per di più a sangue freddo, del tutto ingiustificato. Lì è quando la storia deflagra e si incendia, divenendo davvero avvincente; e Peppard, tanto è bravo a fare l’uomo tutto d’un pezzo, quanto è convincente a dare corpo alla disperazione che lo assale quando si rende conto di essersi completamente sbagliato. 


Tuttavia l’aspetto più importante è più sottile e, come detto, riguarda la figura femminile ma non quella citata di Polly, quanto piuttosto il suo opposto, Sarah, interpretata dalla sontuosa Joan Collins. La Collins non era nuova a recitare ruoli chiave (L’altalena di velluto rosso, 1955 di Richard Fleischer o Fermata per 12 ore, 1957 di Victor Vicas, tanto per fare due titoli molto sottostimati) e in L’esecutore è il perno centrale attorno al quale ruota tutta la vicenda, nonostante il suo spazio nel film non sia certo proporzionale alla sua importanza. Peraltro, una prerogativa della grande attrice inglese era di riuscire a rendere memorabili e dense di significato anche interpretazioni che non le concedevano ampi spazi di manovra. In questo caso il suo apporto al film è decisivo: è lei, e il fatto è rimarcato più volte da personaggi diversi, in modo esplicito o implicito, il motore della vicenda. Wikipedia inglese definisce L’esecutore un neo-noir, il sito di riferimento per il cinema IMDB lo definisce un dramma od un thriller, mentre in Italia è considerato un film di spionaggio; l’idea che qualcuno possa ritenere quello di Wanamaker un neo-noir è curiosa, ma non del tutto infondata. Sarah è infatti una perfetta dark lady: una donna per la quale il marito, una spia, perde la vita in un omicidio organizzato da Philip Crawford (George Baker), un altro agente segreto innamorato di lei, messo in pratica (come fosse un’esecuzione opera di un boia, da lì probabilmente il titolo dell’opera) da Shay, ancora infatuato della bella moglie del collega e sua ex fidanzata. 

E, nonostante il glaciale protagonista del film non lo ammetta mai esplicitamente, è chiaro che la possibilità di eliminare fisicamente l’uomo che si frapponeva, in quanto marito, tra sé e Sarah, era stato un incentivo non trascurabile nella decisione fatale. Del resto Crawford lo rinfaccia esplicitamente a Shay, che non può replicare. Ecco dunque che quella interpretata in modo ambiguamente trattenuto dalla Collins è perciò una vera femme fatale degna di un noir (o neo-noir): una donna che è un tale centro di attrazione per tre uomini che finisce per rovinarli tutti. Ai tempi, le rivendicazioni femministe della rivoluzione sessantottina viaggiavano su altri binari, e per anni la diva inglese sembrò fuori registro, continuando, con il proseguo degli anni settanta, a venire sottovalutata. In realtà, la capacità di gestire il desiderio che Joan Collins riesce sempre ad impersonare in modo sublime sullo schermo, anche nei suoi film meno espliciti, è moderna ancora oggi. E sempre lo sarà, essendo Joan, una di quelle star senza tempo.



Joan Collins








Judy Geeson



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