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mercoledì 10 febbraio 2021

FERMATA PER 12 ORE

748_FERMATA PER 12 ORE (The Wayward Bus). Stati Uniti1957. Regia di Victor Vicas.

Il romanzo La corriera stravagante del 1947 di John Steinbeck era stato a lungo sul punto di essere messo in produzione, con un casting che aveva toccato moltissimi nomi altisonanti di Hollywood. Poi, nel 1956, per la 20th Century Fox uscì Fermata d’autobus, commedia di Joshua Logan con Marilyn Monroe, che fu un bel successo al botteghino. Allo studio californiano avevano sotto contratto anche l’altra bionda platinata del momento, Jayne Mansfield, e il soggetto di Steinbeck venne ripescato per cercare di sfruttare le similitudini come effetto traino. Sotto questo aspetto, alla 20th Century Fox saranno rimasti delusi dal risultato al box-office di Fermata per 12 ore che ottenne giusto qualche ricavo rispetto al budget investito. Ma, crucci dei produttori a parte, l’esordio hollywoodiano di Victor Vicas è un film molto interessante e pienamente riuscito. Certo, alcuni limiti sono evidenti, allo studio avevano deciso di investire molto di meno rispetto al citato Fermata d’autobus (un’idea di quanto ce l’ha da lo stesso rapporto che può esserci tra Marilyn Monroe e la sua rivale Jayne Mansfield). Tuttavia alcuni fattori concorreranno a favore di Fermata per 12 ore: ad esempio la mano discreta di Vicas in regia, che lascia emergere il racconto alla sua base. Il soggetto di Steinbeck verteva su una serie di rapporti interconnessi, tra i personaggi che si ritrovano sul vecchio Sweetheart, uno scalcagnato bus che fa la tratta tra Rebels Corners e San Juan, nelle montagne interne della California. E se la messa in scena non è certo quella di un tipico film mainstream della Hollywood del tempo, il bianco e nero e le location malmesse contribuiscono a rendere il racconto uno spaccato di quell’America rurale che spesso si poteva vedere nei B-movie ma dove sarebbe stato difficile imbattersi in una sventola come la Mansfield. Che, per la verità, non è la vera star femminile dell’opera, nonostante la platinata diva faccia pienamente la sua parte; perché il ruolo più importante nel film è affidato a Joan Collins, che lo valorizza da par suo. Il valore artistico dell’attrice inglese era già noto sin dai suoi esordi e si può vedere come, in un film che, come detto, vuole sfruttare l’effetto bionda platino alle prese con un corteggiatore sull’autobus (elementi comuni all’opera di Logan), il nome della Collins venga sempre prima e sia messo in maggiore evidenza sui cartelloni e sui titoli di testa. 


Non è una questione secondaria, perché sottolinea come in piena golden age del divismo femminile più scintillante, ci fosse già posto per la figura di una donna dalla personalità più strutturata, più tridimensionale, che la Collins era perfetta nel rendere sulla scena. In realtà Joan rientrava a pieno titolo nella galleria delle divinità cinematografiche di assoluta bellezza ma, rispetto alle colleghe, aveva una personalità meno passiva, meno soggetta allo sguardo del partner. Portava naturalmente in dote alcune caratteristiche di emancipazione di cui la donna si sarebbe appropriata negli anni, sia in campo professionale (in questo film è lei che tiene i cordoni della borsa) che sessuale (al marito dice testualmente “ti ho sposato per poterti mettere le mani addosso”). Comunque, per calarsi nel ruolo di Alice Chicoy, la Collins viene un po’ trascurata al trucco e dal costumista, tanto che la sua cameriera, l’anonima Norma (Betty Lou Keim) la accusa di essere gelosa di lei. E, a titolo di ulteriore sberleffo, aggiunge anche di comprenderla, vista la sua condizione. Ora, Joan Collins aveva al tempo 24 anni e basta dare uno sguardo al contemporaneo L’isola nel sole (1957, di Robert Rossen) dove si aggira in un attendibile costume da bagno, per farsi un’idea del suo personale; in Fermata per 12 ore veste semplicemente i panni di una donna che deve mandare avanti un locale nei pressi della stazione dell’autobus. Suo marito, Johnny (Rick Jason), l’autista del citato Sweetheart, è un marcantonio ed è innamoratissimo di lei, ricambiato. 

Ma, si è detto, la Collins oltre alla bellezza dava sempre ai suoi personaggi un mix di forza e debolezza, e dal contrasto tra le due componenti l’attrice riusciva sempre a ritagliare personalità memorabili. Come la Alice di Fermata per 12 ore: capace, ad esempio, di litigare con il giovanissimo e volenteroso aiutante del marito, Ed Kit Carson detto Brufoli (Dee Pollack), per una misera fetta di torta, schiaffeggiare la povera Norma, litigare a più riprese con Johnny e, per finire, ubriacarsi senza ritegno. Ma poi, poteva chiedere pubblicamente scusa alla cameriera rimborsandole pure i danni morali, essere fedele al marito mandando a quel paese energicamente il poliziotto che cercava di approfittare delle sue liti coniugali e, naturalmente, riprendersi il proprio uomo con tenacia, dolcezza e comprensione. Nonostante la storia tra Alice e Johnny sia quella preponderante, Fermata per 12 ore è un film corale, con storie che si sviluppano e contemporaneamente si intrecciano, come tipico nei romanzi. La Mansfield è Camille, una ballerina di burlesque (in incognito, se così si può dire) che deve andare a fare uno spettacolo privato a San Juan e finisce sotto le attenzioni di Ernst (Dan Dailey), un venditore. In questo caso lo sviluppo è molto più prevedibile: inizialmente Ernst, un tizio qualunque sulla mezza età, non ha alcuna possibilità con l’avvenente ragazza. Poi, quando il pullman deraglia e lui si getta sopra di lei per proteggerla, finendo ferito al volto, le cose cambiano; ora Camille comincia a ponderare meglio le avventate proposte di matrimonio dell’uomo. 


Che una donna come Jayne Mansfield si intenerisca per la promessa di un appartamentino arredato in stile spagnolo con il forno automatico non è tanto credibile e va detto che questa traccia che vorrebbe essere tenera è, in effetti, più che altro un po’ debole. Il passaggio decisivo, nel suo sviluppo, accade quando Ernst scopre la professione di Camille: sul momento decide di interrompere la relazione. Poi avrà modo di ravvedersi, confermando lo schematismo di questa trama sentimentale che certo non contribuisce più di tanto a rendere memorabile l’opera. In questo, Jayne se la cava molto meglio ondeggiando le curve e i capelli biondo platino e va detto che la sua presenza scenica è, in ogni caso, un elemento a favore del film. Anche perché, personaggio di Alice a parte, gli altri protagonisti del racconto di Steinbeck sono più che altro figure caratteristiche che servono per tenere in piedi una vicenda che si svolge quasi tutta dentro un pullman. 

Sì, ci sono i passaggi ad alta tensione, con la frana e il ponte pericolante, che una certa povertà nella messa in scena contribuisce a rendere quasi naif, e quindi accettabili in quest’ottica, ma i rapporti umani hanno un peso determinante. I personaggi sono però tutti mezze caricature: Van Brunt (Will Wright) è il classico vecchio ottuso che non vede al di là del proprio specifico interesse, i coniugi Pritchrad (Kathryn Giveney e Larry Keating) battibeccano continuamente come una coppia di una sit-com, mentre la figlia Mildred (la bella Dolores Michael) li provoca andando a stuzzicare l’autista, sapendo di indispettire la madre. Sul pullman salgono anche Brufoli, che nel viaggio saprà guadagnarsi il rispetto perdendo quindi tale appellativo, e Norma; ma si tratta solo di personaggi appena abbozzati. Visto il soggetto d’origine, è chiaro che uno dei punti di forza del film sia la struttura dell’intreccio e i pregevoli incastri narrativi: come l’orecchino perso da Mildred nella stalla, prima di passarci del tempo con Johnny, e non dopo o durante questo. A causa del mezzo diluvio che si era abbattuto sulla corriera, Sweetheart era finito impantanato e l’autista si era recato in una fattoria vicina a chiedere l’aiuto del trattore. 


Mentre aspettava il contadino, Johnny era stato raggiunto da Mildred, che aveva quindi atteso con lui, nella stalla. Appena entrata la ragazza si era accorta di aver perso l’orecchino; questo particolare, quando ritorna a più riprese, è equivocato e l’idea che passa è che sia stato perso durante la permanenza della giovane in compagnia dell’uomo, prevedibilmente a causa di una situazione movimentata, veniva a quel punto facile da immaginare. Anche l’intervento dell’elicottero dello sceriffo è ben gestito, ancora una volta sottolineando come la tempistica sia la chiave per fare reggere un racconto in cui, sostanzialmente, non succede niente. Infatti, se il pullman, nonostante i rischi se la cava comunque, anche gli sbandamenti sentimentali rimangono tali senza deragliare completamente. 

Di Johnny e Mildred nella stalla, si è detto, e, dopo questo, Alice riceve la visita dello sceriffo che arriva in elicottero. Il suo aiutante vorrebbe anch’egli scendere dal velivolo per prendere qualcosa alla locanda ma lo sceriffo lo rassicura: ti porterò una tazza di caffè, dopo. La cosa è sottolineata dall’aiutante che chiede stupito “dopo cosa?”. Lo sceriffo, è proprio il caso di dirlo, ha fatto i conti senza l’oste, perché nonostante Johnny sia andato via sbattendo la porta, l’oste in questione, Alice, non intende tradirlo. Neanche dopo le insinuazioni del tutore dell’ordine che cerca di approfittare scorrettamente dello stato disperato della donna. Ma, come detto, Alice tiene il punto e, piuttosto, si fa portare con l’elicottero sul luogo dove il pullman si è impantanato. Il suo arrivo è quanto mai intempestivo: Johnny e Mildred tornano dalla loro presunta scappatella e perfino Camille, che per via del suo aspetto appariscente era vista con un po’ di sospetto da Alice, si trova a solidarizzare con lei. In una situazione che lascia intendere una possibile rottura definitiva, Alice riesce invece a trovare la forza per pagare i suoi debiti (con Norma) e perdonare l’eventuale tradimento del marito. Un finale commovente che valorizza l’intero film, perfettamente credibile soprattutto grazie alle capacità artistiche di Joan Collins. La classe è classe anche in abiti da taverniera.   








Joan Collins






Jayne Mansfield






4 commenti:

  1. bello il parallelismo fra gli sbandamenti subiti dall'autobus e quelli sentimentali dei personaggi :)
    fra l'altro l'autobus è un qualcosa che fa parte del mio immaginario da tanto tempo, mi capita sovente di sognare degli autobus e ci ho pure scritto qualche breve racconto in passato...
    molto bella la foto in cui la Collins posa insieme alla bionda sul retro dell'autobus! :))

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  2. Mandaci il Gaviale in autobus, allora, nel prossimo episodio! :))
    (ehm... ehm... quella che definisci genericamente "bionda" è Jayne Mansfield, mica una pischella qualsiasi :)))

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  3. sì, avevo letto il nome nella rece... ho poi scritto "bionda" per semplificare, fra di noi ;)

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