760_L'AMORE BREVE - LO STATO D'ASSEDIO . Italia; 1969. Regia di Romano Scavolini.
Pur non avendo ripetuto i problemi produttivi dei suoi
precedenti tre film, anche Lo stato d’assedio (o L’amore breve) di
Romano Scavolini pare abbia subito pesanti tagli al montaggio finale e persino modifiche
nei dialoghi. In ogni caso, già il fatto che il film fu presentato come L’amore
breve alla Mostra di Venezia salvo poi venir distribuito nelle sale con il
titolo Lo stato d’assedio testimonia una certa confusione da parte dei
produttori. Naturalmente la questione del titolo è più che altro simbolica ma è
indicativa del fatto che il risultato finale non era convincente né sul piano
della vicenda privata, l’amore breve ovvero la sbandata passeggera tra Lorenzo
(Mathieu Carrière) e Roberta (Joan Collins, sprecata), e tanto meno lo era su quello
politico, lo stato d’assedio in cui la società borghese era sottoposta
dalla contestazione. Quando i tagli imposti dalla produzione, in genere
per finalità legate alla distribuzione e quindi non di natura artistica, sono
notevoli è poi difficile valutare un’opera che si mostra palesemente monca. In
questo senso è giusto sospendere la valutazione sulla qualità del lavoro di
Scavolini, del quale non sappiamo effettivamente quanto sia rimasto sullo
schermo. Tuttavia è forte l’impressione che, perlomeno per il film in sé stesso,
i tagli non siano stati poi questo gran male. Nei 90 minuti lasciati per la
versione giunta a noi, non si vede l’ombra di un serio sviluppo narrativo, un
barlume di qualcosa di interessante, per cui è difficile pensare che tutta la
differenza dovesse risiedere nei frammenti che oggi sono mancanti. I personaggi
sono sostanzialmente tutti negativi e nessuno sembra avere una scintilla di
valore a cui aggrapparsi per muovere almeno un po’ la storia. Non è una
questione sul pessimismo o l’ottimismo di un racconto; è un dettaglio tecnico. E
poi c’è almeno un passaggio, evidentemente cruciale sin negli intenti dell’autore,
che desta un certo fastidio. La Collins interpreta una donna indipendente e la
scelta dell’attrice inglese non sembra affatto casuale: la tresca con il
partner più giovane, il personaggio di Carrière, sembra alludere al tentativo
di emancipazione, anche in ambito sessuale, delle donne. Era un tema del tempo,
si era nel pieno della contestazione, ma la Collins interpretò la cosa sempre in
modo molto personale ed autonomo. In ogni caso, la scena in cui uno sbarbatello
le impone di spogliarsi completamente, oltre a suscitare il ricercato fremito
nel pubblico, è di per sé oscena. Si vuole, probabilmente, rivendicare la
sudditanza della donna di fronte all’uomo, tanto che una borghese emancipata
come Roberta si umilia nell’ubbidire in quel modo ad un bamboccio viziato. Ma è
solo una bigotta scena volgare nel senso più puro del termine che qualifica
come tale l’opera. Inoltre, se non c’è mai, nel racconto, nemmeno
momentaneamente, qualcosa di buono ma tutti i personaggi si muovono per scopi
puramente egoistici (che sia per motivi economici, sessuali, sociali, poco
importa) la storia perde ulteriormente significato. Si assiste ad uno
sprofondamento collettivo che non desta particolare attenzione perché non vi è
alcuna possibilità che accada qualcosa di inaspettato. Il personaggio di
Vallauri (Frank Wolff), che avrebbe dovuto alimentare la sponda sociale del
testo ed è un po’ estraneo alle vicende pruriginose (che, di fatto, sostengono
il film), è quello che potremmo definire il testimone (sorta di
spettatore dentro la pellicola) di questa situazione (di questo Stato
d’assedio; in questo senso è azzeccato il titolo scelto per distribuire la
pellicola). Prima si dice sconsolato per il degrado generale, poi si ubriaca,
infine si suicida. Metaforicamente, il percorso a cui la visione del film
potrebbe indurre lo spettatore.
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