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lunedì 22 febbraio 2021

L'AMORE BREVE - LO STATO D'ASSEDIO

760_L'AMORE BREVE - LO STATO D'ASSEDIO . Italia1969. Regia di Romano Scavolini.

Pur non avendo ripetuto i problemi produttivi dei suoi precedenti tre film, anche Lo stato d’assedio (o L’amore breve) di Romano Scavolini pare abbia subito pesanti tagli al montaggio finale e persino modifiche nei dialoghi. In ogni caso, già il fatto che il film fu presentato come L’amore breve alla Mostra di Venezia salvo poi venir distribuito nelle sale con il titolo Lo stato d’assedio testimonia una certa confusione da parte dei produttori. Naturalmente la questione del titolo è più che altro simbolica ma è indicativa del fatto che il risultato finale non era convincente né sul piano della vicenda privata, l’amore breve ovvero la sbandata passeggera tra Lorenzo (Mathieu Carrière) e Roberta (Joan Collins, sprecata), e tanto meno lo era su quello politico, lo stato d’assedio in cui la società borghese era sottoposta dalla contestazione. Quando i tagli imposti dalla produzione, in genere per finalità legate alla distribuzione e quindi non di natura artistica, sono notevoli è poi difficile valutare un’opera che si mostra palesemente monca. In questo senso è giusto sospendere la valutazione sulla qualità del lavoro di Scavolini, del quale non sappiamo effettivamente quanto sia rimasto sullo schermo. Tuttavia è forte l’impressione che, perlomeno per il film in sé stesso, i tagli non siano stati poi questo gran male. Nei 90 minuti lasciati per la versione giunta a noi, non si vede l’ombra di un serio sviluppo narrativo, un barlume di qualcosa di interessante, per cui è difficile pensare che tutta la differenza dovesse risiedere nei frammenti che oggi sono mancanti. I personaggi sono sostanzialmente tutti negativi e nessuno sembra avere una scintilla di valore a cui aggrapparsi per muovere almeno un po’ la storia. Non è una questione sul pessimismo o l’ottimismo di un racconto; è un dettaglio tecnico. E poi c’è almeno un passaggio, evidentemente cruciale sin negli intenti dell’autore, che desta un certo fastidio. La Collins interpreta una donna indipendente e la scelta dell’attrice inglese non sembra affatto casuale: la tresca con il partner più giovane, il personaggio di Carrière, sembra alludere al tentativo di emancipazione, anche in ambito sessuale, delle donne. Era un tema del tempo, si era nel pieno della contestazione, ma la Collins interpretò la cosa sempre in modo molto personale ed autonomo. In ogni caso, la scena in cui uno sbarbatello le impone di spogliarsi completamente, oltre a suscitare il ricercato fremito nel pubblico, è di per sé oscena. Si vuole, probabilmente, rivendicare la sudditanza della donna di fronte all’uomo, tanto che una borghese emancipata come Roberta si umilia nell’ubbidire in quel modo ad un bamboccio viziato. Ma è solo una bigotta scena volgare nel senso più puro del termine che qualifica come tale l’opera. Inoltre, se non c’è mai, nel racconto, nemmeno momentaneamente, qualcosa di buono ma tutti i personaggi si muovono per scopi puramente egoistici (che sia per motivi economici, sessuali, sociali, poco importa) la storia perde ulteriormente significato. Si assiste ad uno sprofondamento collettivo che non desta particolare attenzione perché non vi è alcuna possibilità che accada qualcosa di inaspettato. Il personaggio di Vallauri (Frank Wolff), che avrebbe dovuto alimentare la sponda sociale del testo ed è un po’ estraneo alle vicende pruriginose (che, di fatto, sostengono il film), è quello che potremmo definire il testimone (sorta di spettatore dentro la pellicola) di questa situazione (di questo Stato d’assedio; in questo senso è azzeccato il titolo scelto per distribuire la pellicola). Prima si dice sconsolato per il degrado generale, poi si ubriaca, infine si suicida. Metaforicamente, il percorso a cui la visione del film potrebbe indurre lo spettatore. 



Joan Collins




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