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domenica 7 febbraio 2021

IL FAVORITO DELLA GRANDE REGINA

745_IL FAVORITO DELLA GRANDE REGINA (The Virgin Queen). Stati Uniti1955. Regia di Henry Koster.

Nonostante sia considerato un po’ approssimativo dal punto di vista storico, Il favorito della Grande Regina, film del 1955 di Henry Koster, può piuttosto essere considerato un prodotto ideale hollywoodiano in materia di Storia. Agile, scattante, ricco di colpi di scena (perlopiù di matrice storica), sgargiante nei colori e nella ricostruzione scenografica, avvalorato da solide interpretazioni attoriali di cui almeno una ufficialmente riconosciuta come straordinaria. La performance in questione è, naturalmente, quella di Bette Davis nei panni di Elisabetta d’Inghilterra; la Davis aveva già magistralmente interpretato la Regina Vergine anni prima, ne Il Conte di Essex (1939, di Michael Curtiz) e sciorina un’altra prestazione superlativa. Con la sua straordinaria e straripante personalità, la diva americana era perfetta per il ruolo e ne era ampiamente consapevole: un mix che sullo schermo lascia un’interpretazione memorabile. E che già basterebbe a rendere Il favorito della Grande Regina un film degno di nota. Ma, tra i meriti della pellicola di Koster, va messa a registro anche una facilità di fruizione notevole, come detto grazie ad una serie di scene d’azione di primo livello, a cominciare con il duello nella taverna in avvio. A questo proposito, il protagonista della storia è Walter Raleigh (Richard Todd, tonico) personaggio storico (fu esploratore nelle Americhe per conto della regina) oltre che protagonista del romanzo a lui dedicato da Harry Brown che fornisce da soggetto per il film di Koster. 

Todd non è un interprete trascendentale ma qui gli si chiede un personaggio abbastanza lineare: sicuro di sé al punto di essere un po’ spaccone, leale ma all’occorrenza anche scaltro, svelto di mano quanto di lingua. In effetti i dialoghi sono tra le cose migliori del film e le battute cruciali non sono tutte appannaggio della Davis, come potrebbe essere invece prevedibile. Anzi, la grande attrice dimostra il proprio talento in un ruolo che la costringe, nonostante la posizione di assoluto privilegio, a ingoiare qualche rospo. A tenerle testa, oltre all’ambizioso Raleigh, per la quale la sovrana ha un debole che giustifica il titolo italiano del film, c’è quella che, sul piano sentimentale, è da considerare la sua rivale, la dama di corte Beth Throgmorton, interpretata da una giovanissima ma già tostissima Joan Collins. La Collins, ventiduenne, era di una bellezza folgorante e una capacità recitativa che lasciavano intendere che sarebbe divenuta una star di prima grandezza di Hollywood; status alla quale la diva arriverà, in definitiva, ma con un percorso più lungo e tortuoso di quanto non fosse lecito attendersi vedendola rivaleggiare ad armi pari, ancora così acerba, con un mostro di bravura come Bette Davis. La sua Beth Throgmorton è una ragazza di ideali sani (al netto della scappatella con Raleigh, le cui conseguenze gestisce però con responsabilità) ma, e qui interviene il talento di Joan, è audace, ficcante, focosa e, in modo sorprendente considerato l’ambientazione, anche e soprattutto intraprendente in campo sentimentale. 


E’ infatti lei che mette gli occhi su Raleight per prima, anche se poi quando accade l’inverso l’uomo rimane stregato dalla sua bellezza. E’ interessante notare come Joan Collins, col visto ancora di una bambolina, durante il ricevimento a corte dove si presenta Raleigh, fosse già in grado di essere credibile nell’andare a sfidare e stuzzicare un uomo fatto e finito, non soltanto considerato l’ambientazione cinquecentesca del film ma anche negli anni cinquanta della sua uscita nelle sale. Il periodo del dopoguerra era peraltro il periodo in cui la figura femminile, soprattutto negli Stati Uniti, reclamava il suo spazio e Joan, come artista, ne rappresentava una sorta di apripista, visto che non temeva di mostrare che la donna poteva prendere l’iniziativa anche in tema sentimentale e sessuale, assumendo un ruolo meno passivo di quanto canonicamente previsto. 

Come detto, i dialoghi di Il favorito della Grande Regina sono ben costruiti e ce n’è uno, in particolare, che esprime bene questo concetto. Walter e Beth sono al loro primo vero e proprio incontro romantico, e l’uomo confida all’amata: “Quante sere prima del sonno, mi chiedevo di quale colore fossero questi occhi, e sono stato anche più audace, nei loro riguardi.”, al che la donna replica curiosa “si può essere audaci nei riguardi degli occhi?”. L’uomo chiarisce sornione: “mi chiedevo se al contatto delle mie labbra sulle tue, quelle palpebre si sarebbero abbassate” introducendo, nel tema romantico, anche l’aspetto che il personaggio della Collins, pur essendo una donna, non fosse remissiva, non abbassasse mai lo sguardo. La scena continua con il prevedibile bacio, nel quale la macchina da presa mostra la ragazza chiudere gli occhi. Il dialogo riprende, sempre molto ben articolato pur nella sua semplicità: “Ebbene, si sono abbassate?” chiede allora la giovane e l’uomo risponde “non lo so”, come dire che, se anche l’avessero fatto, quelle di lui si erano abbassate per prime e non poteva aver visto. 


Questo aspetto è interessante perché il personaggio di Joan Collins introduce già al tempo quegli argomenti di cui l’attrice diventerà massima interprete, in qualche caso anche eccessivo, tanto da venir spesso sottovalutata come artista. 
Qui, in un film degli anni cinquanta, si può invece vedere come stesse cambiando il ruolo della donna nella società: donne forti e autonome ce n’erano sempre state, e Bette Davis nei panni della Regina Vergine ne era un bell’esempio. Ma erano figure che avevano dovuto rinunciare alle più evidenti caratteristiche di genere, divenendo asessuate (come appunto la Davis nel film) quando non androgine o mascolinizzate. In campo cinematografico la Garbo, che stava attenta a non farsi scappare neanche la debolezza di un mezzo sorriso, e Marlene Dietrich, con il cappello a cilindro da uomo de L’Angelo Azzurro, possono rendere l’idea. Joan Collins cominciava a dire che, già negli anni cinquanta, voleva l’autonomia e l’indipendenza di quelle figure ma non intendeva privarsi di tutti gli orpelli (trucco, vestiti, accessori) che la sua esuberante femminilità necessitava. Una femminilità che, ne Il favorito della Grande Regina, non rinuncia alla maternità, come bene manifestato nel dialogo in cui manda al tappeto Elisabetta ribadendo che è lei che sta aspettando un figlio dall’uomo amato anche dalla sovrana. Un atteggiamento audace, quello di Beth Throgmorton, forse anche troppo, tanto che procurerà alla dama di corte più di qualche noia. Prima del lieto fine hollywoodiano, la vediamo addirittura condannata a morte: a conti fatti è andata meglio alla Collins, seppure troppo spesso le si è riconosciuto solo parte del grande valore artistico.    







Bette Davis






Joan Collins





 

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