641_VITA PRIVATE SHERLOCK (The Private Life of Sherlock Holmes); Regno Unito, 1970. Regia di Billy Wilder.
Occorre una certa dose di azzardo per parlare di Vita privata di Sherlock Holmes, film di Billy Wilder del 1970. Perché il talento del regista di origine austriaca merita rispetto e, in questo caso, non è giusto valutare un’opera per quello che è, come è sacrosanto di norma fare, sapendo che alla versione che possiamo vedere manca un buon 30% di quella prevista da Wilder. L’autore, fu costretto ad assentarsi al momento del montaggio e così affidò Vita privata di Sherlock Holmes al proprio montatore abituale con istruzioni precise su come operare; ma, complici le pressioni della produzione, il fidato collaboratore tradì completamente la fiducia del regista. Nella valutazione, lo stesso Wilder è molto severo nei confronti di un film che, in fin dei conti, è divertente e in alcuni passaggi anche brillante, con battute davvero spassose (‘la signorina è belga’ dice ad un certo punto il Dr. Watson a Mrs. Hudson; ‘Oh poverina!’ risponde la donna, pensando ad una qualche malattia). Certo, rimane l’impressione che il quadro generale sia un po’ frammentario; tra l’altro, il film era (ed è ancora, almeno in parte) strutturato ad episodi; questo, diede probabilmente l’idea ai produttori di poter sforbiciare liberamente (tagliando un episodio, gli altri rimangono integri), riducendo un’opera un po’ lunga (le circa 3 ore previste) rispetto alla consuetudine, in una più ordinaria dimensione di 125 minuti. Il punto è che se Wilder aveva previsto un lavoro ‘a mosaico’, con una serie di tessere autonome sì, ma non autosufficienti in sé stesse, questo lavoro veniva completamente vanificato dai tagli al montaggio.
Il rapporto Holmes – Watson, probabilmente, si sarebbe dovuto sviluppare con una serie di passaggi, ognuno un semplice gradino, per arrivare poi a definire in modo completo la relazione di amicizia tra i due. Nessun segmento narrativo è decisivo, perché è la somma a connotare il risultato; ma il disegno complessivo si perde se ne vengono amputati alcuni pezzi. Ha quindi ragione da vendere Wilder quando impreca all’indirizzo dello scempio perpetrato alla sua opera, sebbene a prima vista possa sembrare esagerato, visto che il film nel complesso non è affatto male. Un’ora di storia è stata cassata sull’altare della comodità di distribuzione nelle sale: infatti uno spettacolo lungo è scomodo da programmare come orari e, giornalmente, rischia di far guadagnare meno alla sala di proiezione. In compenso, abbiamo un film, per assurdo e stando anche alle parole dello stesso Wilder, più corto ma anche meno fruibile e meno scorrevole. Un peccato, quindi, non poter apprezzare l’opera come prevista dal suo autore ma, in ogni caso, Vita privata di Sherlock Holmes è un bel film, molto ben fotografato, ottimamente recitato e diretto con circospezione. Wilder sosteneva di non amare i gialli ma, a conti fatti, dopo la splendida trasposizione cinematografica di un’opera di Agatha Christie (Testimone d’accusa), affrontò così anche l’altro mostro sacro del genere letterario tipicamente britannico, Sherlock Holmes, l’eroe di Arthur Conan Doyle. Anche in questo caso, il regista indovina la giusta alchimia, per quanto conferisca un certo brio alle storie del celebre detective, in letteratura un po’ più compassate. Bravi Robert Stephens (Holmes) e Colin Blakely (Watson), mentre un ulteriore rammarico per le difficoltà del film è legato alla presenza della deliziosa Genevieve Page (nei panni della spia tedesca), che avrebbe meritato finalmente un successo da prim’attrice, anche visto il brillante ruolo ben interpretato. Da notare le analogie con il precedente giallo wilderiano, dove il campione maschile, di razionalità ed intelletto superiore (qui Holmes, in Testimone d’accusa l’avvocato Robarts) viene raggirato dalla fredda e calcolata abilità della protagonista femminile di turno. Un ulteriore analogia è rappresentata dalle nazionalità dei personaggi: inglesi gli uomini, tedesche le donne in tutti e due i film. Ma, diversamente che in Testimone d’accusa, qui sbilanciarsi in analisi è un po’ azzardato, mancando troppa della carne al fuoco prevista dalla ricetta originale dello chef.Geneviève Page
è proprio il caso di dire "se vuoi un lavoro fatto bene, fattelo da solo"... ma quindi non c'è modo di poter accedere alla versione originale?
RispondiEliminaè reperibile la sceneggiatura.
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