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mercoledì 2 settembre 2020

FRANKENSTEIN JUNIOR

626_FRANKENSTEIN JUNIOR (Young Frankenstein); Stati Uniti, 1974. Regia di Mel Brooks.

Se si pensa che un film traumatico per lo spettatore come L’esorcista di William Friedkin del 1973 sia l’horror emblematico dei seventies, appare chiaro quanto la formidabile trasposizione in chiave comica della storia di Frankenstein operata da Mel Brooks e Gene Wilder con il loro Frankenstein Junior possa sembrare completamente fuori tempo. Che i mostri degli anni ’30 potessero suscitare una certa simpatia, era già stato capito dai produttori del tempo, che fecero decine di film (tra mogli, figli, amanti, ecc.), unicamente ispirandosi al carisma di quelle terrificanti creature (Dracula, Frankenstein, l’Uomo Invisibile, la Mummia, e compagnia). Ed era già arcinota anche la vicinanza tra le emozioni (almeno al cinema) legate a paura e divertimento, che fecero la fortuna, ad esempio, di Gianni e Pinotto nei tanti film che li videro alle prese coi mostri sacri del terrore. Per cui, Frankenstein Junior, quando arrivò nelle sale negli anni ’70, si presentò con pochi elementi propizi, almeno sulla carta, in quanto rievocava sensazioni che sembravano un po’ fuori moda o comunque superate. Ma il grande successo arrise in modo eclatante al film che, diretto da Mel Brooks ed interpretato, tra gli altri, da Gene Wilder, verteva su una scrittura (soggetto e sceneggiatura) a quattro mani dei due artisti, tanto che si dovrebbe forse dividere paternità e meriti in parti uguali. Va detto che i favori del pubblico il film se li guadagnò (e continua a farlo) in modo totalmente meritato con una prima metà davvero strepitosa in cui le gag, le battute, ormai celeberrime, sono numerosissime: lupu ululà castello ululì; quale gobba?; potrebbe piovere.
Basta naturalmente un accenno, perché sono ormai tutte arcinote, come del resto le altre trovate che fanno scompisciare da anni gli spettatori di tutto il mondo, dai cavalli che nitriscono quando sentono pronunciare il nome di Frau Blücher (Cloris Leachman) al morso di Igor (uno strepitoso Marty Feldman) al collo di pelliccia di Elizabeth (Madeleine Kahn). La prima parte del film passa così di filata da una trovata ad una gag, sorretta dalle tante battute; nella seconda metà, Brooks deve giocoforza portare la trama al suo compimento, essendo Frankenstein Junior un film strutturato su una storia più o meno coerente e non una serie di sketches e, da un punto di vista umoristico, il tono inevitabilmente tende un filo a contenersi. Ma, in compenso, la trama imbastita con giusto mestiere a quel punto sorregge l’operazione e il film resta godibilissimo fino all’ultimo secondo dell’ultimo minuto. La formula del successo del film di Brooks è quindi la grande cura nella realizzazione, che per un film comico non è affatto scontata; le tante trovate sono poi ben orchestrate da una generale attenzione ai dettagli unita ad una grande convinzione complessiva. Curiosamente, con gli schermi dei cinema pieni di protagonisti di quei film dell’orrore degli anni ’70, personaggi sadici, crudeli, cattivissimi, il film prende sostanzialmente in giro il mito di una buonanima come la creatura di Frankenstein dei film classici; può sembrare un sano esempio di umorismo politicamente scorretto (e potrebbe anche esserlo) ma è più che altro un moto d’affetto. Mascherato, e molto bene, da satira umoristica. 









Madeline Kahn




Teri Garr





2 commenti:

  1. sì infatti, penso anch'io che il regista volesse più che altro omaggiate simpaticamente il mito di Frankenstein... ricordo che questo film lo vedevo in casa di un collega di mio padre :-)

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