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venerdì 4 settembre 2020

IL TESORO DI VERA CRUZ

627_IL TESORO DI VERA CRUZ (The Big Steal); Stati Uniti, 1949. Regia di Don Siegel.

Per questo The big steal (titolo originale di Il tesoro di Vera Cruz, la cui traduzione nostrana è piuttosto fantasiosa) ci troviamo di fronte a due scelte: o si pensa che il caso spesso si diverta a comporre magiche alchimie, oppure che bravura e talento riescano a raddrizzare anche situazioni in origine ben poco promettenti. Perché Il tesoro di Vera Cruz partì subito con una serie di ostacoli che sembravano inficiarne la riuscita: Robert Mitchum, la star protagonista, era infatti stato condannato per possesso di marijuana e questo creò un certo scompiglio nell’ambiente. Howard Hughes, al tempo boss della RKO Pictures, temendo ripercussioni in termini di popolarità, evitò di coinvolgere la sua star femminile principale Jane Russell e, visto il diniego di Lizabeth Scott (che peraltro troverà Mitch nel successivo noir, La gang), che non voleva veder compromessa la sua carriera, rifilò l’ingrato ruolo a Jane Greer, rea di averlo abbandonato per sposarsi un altro uomo, almeno stando al gossip dell’epoca. In questo quadro generale, fu certamente curioso il comportamento della Greer che era incinta, ma si premurò di non rivelare la cosa pur di poter lavorare al film. A dirigere il tutto fu chiamato il giovane e senza troppa esperienza Don Siegel, che pare accettò l’incarico per scommessa. Scommessa che il bravo regista americano vinse in modo convincente. Non che Il tesoro di Vera Cruz sia un capolavoro, sia chiaro, ma è divertente e funziona molto bene. 
Si tratta di un classico noir esotico, curiosamente una corrente molto diffusa di quel genere che è riconosciuto come il cinema metropolitano per antonomasia: ci troviamo in Messico, dove i nostri protagonisti sono fuggiti in seguito ad un consistente furto di denaro (The big steal, appunto). L’impatto con la storia è piuttosto duro, il breve scambio di cazzotti tra Douglas Anderson (Mitch) e il capitano Blake (William Bendix) impressiona per realismo e forza d’urto. Ma è un fuoco di paglia: nonostante qualche buon inseguimento in macchina, non sarà sul versante della pura azione che il film si gioca le sue carte migliori. La vicenda è una divertente rincorsa a tre, dove il militare Blake insegue il suo sottoposto Anderson credendolo un ladro, mentre questi insegue il vero autore del furto, Jim Fisher (Patric Knowles).

Anderson è quindi uno dei buoni, che passa però per cattivo: è una sorta di coincidenza con quello che accadeva in quei tempi all’attore americano, condannato per la storia degli stupefacenti ma in seguito riabilitato. Non è però certo questa la circostanza, diciamo così, fortuita, che gioverà alla riuscita del film: ad inserirsi e a trasformare un semplice triplice inseguimento tra guardie e ladri (con ruoli dai contorni indefiniti, come si è detto), in un vero noir è l’arrivo sulla scena di Jane Greer nei panni di Joan Graham. L’attrice, decisamente nella parte di bella e brava ragazza dal fascino comunque un po’ fatale, era stata già la partner di Mitchum in Le catene della colpa di Jacques Tourneur, capolavoro assoluto e pietra angolare del genere, soltanto due anni prima e l’alchimia della coppia sullo schermo è subito evidente. Le schermaglie iniziali fanno parte del gioco di un film che, oltre al citato cliché di guardie e ladri, mette sul terreno anche un po’ di brio romantico, ma sempre con una buona dose di ironia, ad esempio quando l’uomo scherza sulla capacità delle donne al volante e in tutta risposta la giovane semina il capitano Blake nell’inseguimento. Questo continuo alleggerire la tensione da parte di Siegel (la scena delle pecore in mezzo alla strada per fermare l’inseguitore, le frottole raccontate agli operai del cantiere stradale per lo stesso scopo) portano il tenore del racconto più nel campo della commedia (si vedano anche i poliziotti messicani e le loro scenette, i loro errori nel provare a parlare inglese) piuttosto che nel dramma sentimentale, in genere sponda più abituale del noir. E’ un’operazione inconsueta e imprevedibile, almeno prendendo il riferimento delle abitudini del genere: ma forse il regista valuta con insospettabile (data l’età) saggezza la situazione, e fiutando i tanti rischi (la sua inesperienza, lo scetticismo dello studio per via della grana capitata a Mitchum, le beghe sentimentali della Greer con il boss della RKO), li stempera in una storia che, se non coinvolge più di tanto per intensità emotiva, perlomeno diverte. 





Jane Greer









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