633_LA PORTA SUL BUIO: TESTIMONE OCULARE ; Italia, 1973. Regia di Roberto Pariante e Dario Argento.
Ultimo capitolo della miniserie antologica televisiva La porta sul buio, Testimone oculare è probabilmente quello più efficace in termini di messa in scena. Il genere dei racconti è quello che ci si può attendere da Dario Argento, al tempo già maestro italiano del brivido; in questo caso, oltre alla stesura di soggetto e sceneggiatura (congiuntamente a Luigi Cozzi), in un secondo momento l’autore romano interviene direttamente in cabina di regia, subentrando a Roberto Pariante. Visto l’esiguità del plot narrativo, caratteristica comune ai quattro film, è difficile stabilire come siano ripartite le responsabilità creative dell’opera tra i due autori; quello che è certo che stavolta la ricetta funziona egregiamente. L’idea alla base della miniserie è ottima e ricalca le antologie dei racconti o anche certe serie televisive americane dei tempi che avevano come argomento il genere fantastico o del brivido: testi stringati intorno ad un’idea geniale e sviluppo asciutto ed efficace. Anche stavolta l’idea alla base è buona: Roberta (Marilù Tolo, molto brava) denuncia un delitto ma il commissario Rocchi (l’ottimo Glauco Onorato) non ne trova traccia. Sull’ambiguità della situazione che ne scaturisce viene impostato tutto il racconto filmico in un crescendo di tensione fino alla sequenza cruciale, passaggio che fa venire la pelle d’oca in un paio di circostanze.
L’operazione è condotta con maestria soprattutto perché viene giocata sempre fuoricampo, utilizzando i dubbi che aleggiano sulla storia in luogo di quelli che sembrano fatti concreti. E soprattutto ha un ruolo chiave la voce dei personaggi; elemento che al cinema, considerato l’arte visiva per eccellenza, è però in grado di fare la differenza in modo decisivo. Quando sentiamo una voce femminile (quella di Anna, Altea de Nicola) rispondere sostituendosi a quella maschile di Guido (Riccardo Salvino), marito di Roberta e che avrebbe dovuto tranquillizzarla, ci si gela il sangue nelle vene. Il lieto fine, prevedibile visto il tipo di produzione televisivo, è invece legato al caso; quasi che gli autori del soggetto vogliano sottolineare come non sia che un dettaglio particolarmente rilevante. Infatti, in questa circostanza, si può osservare come l’elemento decisivo nella storia, l’idea geniale su cui poggiare un racconto di questo tipo, non è tanto quello a cui si lega la conclusione quanto quello che sta nelle premesse. Qui lo spunto che permette alla vicenda di funzionare a dovere è infatti posto all’inizio della storia e, proprio grazie alla sua ambiguità, permette di imbastire una traccia che poi si rivela tanto efficace quanto fuorviante. A quel punto la chiusura è assai meno determinante e anche se, come in Testimone oculare, i buoni intervengono per puro caso, e quindi non certo con una trovata narrativa originale, lo spettatore, già appagato da tutta quanta la storia, può accettare senza fastidio anche un finale evidentemente di comodo. Insomma, pur con qualche tentennamento, si veda il precedente episodio La bambola, la serie La porta sul buio si congeda in modo lusinghiero e con un bilancio tutto sommato positivo.
Marilù Tolo
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