635_HAMMAMET . Italia, 2020. Regia di Gianni Amelio.
“Qualcuno mi aiuti a dire che il mio Hammamet non è un film su Craxi. E’ piuttosto un film su Fausto” [Gianni Amelio su Film TV n.1 del 7/1/2020]. E il regista calabrese non si limita a queste parole ma, sulla citata rivista, scrive direttamente un articolo che fornisce alcune istruzioni per il suo film, in concomitanza con l’uscita nelle sale. Che, detta così, fa davvero brutto, ma Amelio se lo merita. Non perché sia un cattivo regista o perché il film in questione, Hammamet, sia da evitare; ma scrivere un articolo preparatorio suona un po’ come una excusatio non petita, accusatio manifesta. Insomma, se Amelio si prende la briga di preparare il suo pubblico è perché, evidentemente, si rende conto che nel film qualcosa non gira per il verso giusto. D’altra parte, perché scomodare Craxi se poi su vuole parlare di tal Fausto, tizio che non esiste (sempre stando al famoso articolo) e che ha un nome di un precedente personaggio della cinematografia di Amelio. Nel suo scritto il regista va oltre, riportando i nomi dei film che si vedono sugli schermi televisivi di Hammamet, ammettendo esplicitamente che si tratta di una sorta di richiesta di aiuto a Jacques Tourneur, Anthony Mann e Douglas Sirk, gli autori delle opere in questione. Viene difficile pensare che questi tre giganti del cinema mondiale possano in qualche modo aiutare Amelio nel suo tentativo di schivare quella sorta di monumento che è Craxi che, forse un po’ incautamente, l’autore italiano si è tirato in casa.
Perché quella di Bettino Craxi è una figura chiave della realtà contemporanea italiana che non è ancora stata affrontata in modo compiuto e quindi tutt’altro che sdoganata. Non si può prendere Craxi e parlare di Fausto, o del rapporto tra padre e figlio o di qualunque altra cosa che non sia tangentopoli; non si può ancora. O meglio, si può, naturalmente, ma poi occorre scrivere un goffo articolo per cercare di istradare il pubblico, come se un film non fosse un’opera autonoma. Hammamet non affronta la questione storica di tangentopoli ma accosta al personaggio di Craxi, riportato in vita da una maiuscola prestazione attoriale di Pierfrancesco Favino, alcuni personaggi perlopiù inventati: il Fausto che si diceva (Luca Filippi), suo padre Vincenzo (Giuseppe Cederna), l’esponente politico in visita (Renato Carpentieri), l’amante (Claudia Gerini). Più ancorati alla realtà i famigliari dell’ex presidente del consiglio: sua moglie (Silvia Cohen) e i figli, Anita (Livia Rossi) e Bobo (Alberto Paradossi). In effetti l’idea di inserire un personaggio storico interpretato in modo mimetico in un contesto con elementi inventati è assai stuzzicante; ma il personaggio deve appunto essere storico, cioè passato alla Storia.
Il problema, in Italia, è che non esistendo più una capacità sociale di affrontare e superare i propri problemi, questi rimangono sospesi in eterno, restando sempre d’attualità anche fossero passati decenni. E le parti in causa rimangono sulle proprie barricate, pronte ad ogni occasione a rinfocolare la disputa in modo strumentale. C’è, al massimo, il tentativo di confondere l’analisi storica, per sua natura fredda e distaccata, con la messa in pratica di sanatorie e condoni che ascrivano tutto alle convergenze e circostanze dell’epoca in questione; proprio Craxi fu uno dei massimi esponenti di questo modo di pensare, ma lo fu soprattutto quando era parte in causa e cercava una scappatoia che alleviasse le sue responsabilità. E’ soprattutto perché manca, probabilmente in Italia più che altrove, la capacità di affrontare a piè fermo argomenti spinosi o scomodi che ci sono temi che non possono essere utilizzati dalla narrativa d’evasione in modo del tutto proprio.
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