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martedì 29 settembre 2020

IL GENERALE DELLA ROVERE

642_IL GENERALE DELLA ROVERE . Italia, Francia; 1959. Regia di Roberto Rossellini.

Dopo la parentesi indiana, Roberto Rossellini rientra in Italia e, con Il generale della Rovere, vince il Leone D'oro 1959 (ex-aequo con La Grande Guerra di Monicelli). Un ritorno col botto, insomma. Il film è ben diretto e ben fotografato, Rossellini dirige con mano sicura, facendo ricorso alla sua rinomata capacità registica. Dal punto di vista interpretativo, Vittorio De Sica mantiene un registro contenuto: il suo personaggio è il Della Rovere del titolo, ovvero Emanuele Bardone, un imbroglione napoletano che viene opportunamente spacciato dai tedeschi per il generale badogliano che dà il titolo all’opera. Nella prima metà del lungometraggio, nei suoi reali panni di Bardone, assistiamo ai suoi viscidi loschi affari ai danni dei poveri parenti degli uomini catturati dai tedeschi e, per la verità, la cosa alla lunga viene anche un po' a noia (per non dire nausea). Ma si tratta, evidentemente, di uno scotto da pagare per rendere al meglio l'idea di un personaggio di un opportunismo vile ai limiti (o forse oltre) dello sciacallaggio. Finalmente si arriva alla parte ambientata nella prigione di San Vittore, interessante anche da un punto di vista storico-architettonico. I tedeschi, d'accordo con lo stesso Bardone, che è stato scoperto e imprigionato, lo rinchiudono spacciandolo per il generale Della Rovere, nella speranza che il capo dei partigiani si metta in contatto con lui. In sostanza gli viene prospettata la libertà, con l’aggiunta di una cospicua somma di denaro, in cambio di un lavoro spionistico. La trama si fa quindi interessante, per cui si può ben dire che Il generale Della Rovere sia un film sorretto da una scrittura di ottimo livello. 

D’altronde, alla base del film c'è un romanzo di Indro Montanelli, in parte autobiografico, che collabora anche alla realizzazione di soggetto e sceneggiatura. E sapendo Montanelli alla base dell'opera, la svolta finale diventa anche prevedibile, tanto che verrebbe da pensare che Il generale Della Rovere sia un film dove l'influenza del giornalista è più importante rispetto a quella di Rossellini; perlomeno del Rossellini del 1959. Infatti, il regista, sembra quasi adagiarsi sulla propria fama ancora in parte legata alla trilogia antifascista di oltre dieci anni precedente; e, a dirla onestamente, sembra proprio che il regista romano diriga un po' di maniera, senza eccessiva partecipazione. In ogni caso, con uno spunto eroico, il malandrino Bardone, a furia di spacciarsi per l’impavido generale, finisce per voler fare davvero l’eroe e sceglie di non rivelare il nome del capo dei partigiani e di farsi fucilare insieme ai compagni di cella. Un finale enfatico, quasi d'annunziano, ma forse un po' fuori tempo quando ormai si era all'alba degli anni sessanta, e le macerie, anche morali, della guerra avrebbero dovuto essere superate. Avrebbero






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