418_UOVA FATALI ; Italia, 1977. Regia di Ugo Gregoretti.
Bizzarra ed imprevedibile trasposizione televisiva
dell’omonimo romanzo di fantascienza di Michail Afanas'evič Bulgàkov, Uova fatali è uno sceneggiato di Ugo
Gregoretti. Il libro non era certo semplice da rappresentare sullo schermo,
soprattutto per i mezzi tecnici della Rai degli anni settanta; Gregoretti ci
mette estro e fantasia. In effetti il merito che viene maggiormente
riconosciuto al suo lavoro in Uova fatali
è l’avveniristico uso del chroma key,
che permetteva, in soldoni, di inserire un’immagine in movimento in un’altra
immagine in movimento. Al di là di queste soluzioni francamente un po’
empiriche, Uova fatali è da ricordare
prevalentemente per la curiosa storia fantascientifica di Bulgàkov, per il
timbro scanzonato ma genuino della produzione televisiva e per l’interpretazione
di Gastone Moschin, nei panni del professor Persikov. Il racconto di Bulgàkov è
del 1925 e vi si può leggere un’interpretazione tecnologica dei classici
meccanismi del racconto fantastico: per esempio, può essere inteso come una
sorta di aggiornamento della vicenda di Frankenstein, nella quale si cercava di
ridare vita ad un essere inanimato. Qui, grazie al misterioso, e fortuitamente
scoperto, raggio rosso, si accelera e
aumenta lo sviluppo delle uova. La vicenda è grottesca, uno sberleffo alla
dittatura comunista che si illudeva, con il progresso tecnologico sotto l’egida
del partito, di riuscire a costruire una società vitale e perfetta. Bulgàkov ha
un intento satirico: del resto, il raggio che rinvigorisce, che ridà la vita, è
rosso come le bandiere del partito.
Il raggio ha un effetto miracoloso, ma saranno proprio i suoi effetti che, per
un banale errore di consegna nelle spedizioni, scateneranno l’orrore.
Gregoretti cavalca la deriva surreale innestando innovazioni come il citato chroma key, all’epoca certamente
stupefacente in senso tecnico, ma non per questo sullo schermo credibile in
senso assoluto. A salvare la funzionalità di un simile espediente è proprio
l’atmosfera scanzonata che si respira nello sceneggiato. In cui Moschin, come
detto, gigioneggia mantenendo viva l’attenzione dello spettatore anche quando
la storia si perde un po’ nelle sue bizzarre divagazioni. Insomma, nell’insieme, una
produzione certamente originale, simpatica e, a suo modo, anche
coraggiosa.
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