408_RABID - SETE DI SANGUE (Rabid); Canada, 1977. Regia di David Cronenberg.
Il demone sotto la
pelle, l’esordio commerciale di
Cronenberg, era andato sorprendentemente bene: a fronte di un investimento
ridicolo di 180.000 dollari ne aveva incassati 5 milioni. Alla Cinepix, la piccola società di
produzione canadese, erano entusiasti e commissionarono al regista un altro
horror a basso costo. Nella realizzazione di Rabid, Cronenberg verrà assalito da qualche dubbio sulla validità
del suo operato; in effetti il suo secondo film per la Cinepix
è una sorta di prova di maturità e l’autore si trova alle prese con i classici
problemi connessi all’assunzione di una maggior consapevolezza. Il demone sotto la pelle era stato quasi
il risultato di una combinazione: allo studio
canadese serviva un film horror e le tematiche che premevano a Cronenberg si
erano prestate allo scopo in modo naturale. Ma la spontaneità e il candore che
derivano da una certa dose di inconsapevolezza erano un bonus che si poteva
spendere solo all’esordio e, ora, Cronenberg si trovava di fronte ad una sfida
diversa. In effetti la seconda prova è, a suo modo, un ulteriore prima volta:
la prima volta che ci si ripete. E per Cronenberg, che svilupperà nella sua
filmografia una deriva ad accoppiare i propri lavori, è l’occasione per
raddoppiare il suo primo film commerciale, ma non tanto per ripeterlo, quanto semmai per completarlo. E’ innegabile ed evidente
che tra i due film ci siano analogie, a cominciare dalla presenza dell’attore
Joe Silver che era anche nel cast de Il
demone sotto la pelle. A proposito di presenze ricorrenti, il solito Ronald
Mlodzik, una sorta di alter-ego del primissimo Cronenberg, con un breve cameo fa
gli onori di casa e ci da il benvenuto nell’universo cronenberghiano.
Ci sono anche alcuni spunti discordanti,
naturalmente: il più evidente è che il parassita de Il demone sotto la pelle scatenava la voglia di sesso che culminava
nell’orgia finale nella piscina, mentre in Rabid
il contagio mortifica la storia d’amore tra i due protagonisti. La scelta di
sacrificarsi della protagonista femminile, visto l’impossibilità di essere
ancora la ragazza amata dal fidanzato, getta sulla storia una luce melodrammatica,
per quanto gelida. La deriva melò è
quindi già presente, anche se diverrà più accentuata in Cronenberg soprattutto
in futuro (La mosca, 1986, M . Butterfly, 1993).
Ma le similitudini
tra le due opere realizzate dal regista in seno alla Cinepix sono comunque davvero rilevanti: l’idea del contagio, la
forma stessa dell’escrescenza che lo diffonde (che ricorda i parassiti de Il demone sotto la pelle),
l’ambientazione, la natura scientifica delle cause scatenanti l’orrore. Ma
ognuna di queste analogie ha significative differenze, che dimostrano la
volontà di Cronenberg di affinare e ampliare la sua analisi: in Rabid è come se il contagio continuasse
dove era finito quello ne Il demone sotto
la pelle. Nel precedente film l’epidemia si sviluppava in un ambiente
circoscritto, il residence l’Arca di Noè,
e nel finale vedevamo gli infetti recarsi in città; in Rabid, Montreal è già sotto attacco dai batteri che diffondono la
moderna versione del vampirismo e, in chiusura, da una voce fuoricampo
scopriamo che tutto il mondo ormai ne è contagiato. Queste rivelazioni finali
rafforzano il concetto di specularità reciproca tra i due film di Cronenberg
presi in esame: il commento è sempre affidato ad uno speaker, senza supporto video,
in modo quindi uguale tra le due opere, ma rovesciato
(come allo specchio) laddove ne Il demone
sotto la pelle il deejay alla radio annunciava una serena giornata e solo
lo spettatore del film poteva intuire l’ironia involontaria delle sue parole.
L’ambientazione
simile, legata ai limiti della produzione a basso costo, è comunque sfruttata
da Cronenberg nella stessa direzione: il luogo geografico è lo stesso, ma in Rabid le scene girate in esterni sono
moltissime. Si allarga così lo spettro delle operazioni rispetto al complesso
residenziale dove era ambientato Il
demone sotto la pelle. La possibilità di un clima rigido, nel film c’è
spesso la neve, e il paesaggio spoglio, permettono al regista di replicare su
scala maggiore la freddezza minimalista degli interni del primo lungometraggio.
Sulle cause scientifiche del contagio Cronenberg lavora invece concettualmente:
ne Il demone sotto la pelle gli studi
da cui si era originato il parassita avevano lo scopo di sostituire gli organi
interni in caso di malattia del paziente.
In Rabid il tutto nasce da una clinica legata alla chirurgia della
pelle, abitualmente addetta al miglioramento estetico dei suoi pazienti. Da un
punto di vista politico, è evidente
la critica ad una società in cui si pensa che la cosa più importante sia
apparire, ma Cronenberg è un autore molto più basilare, più profondo, di quanto possano esserlo i
temi politici, nel senso comunemente utilizzato. La ragazza che il padre ha
spedito alla Keloid, la clinica in questione, per rifarsi ancora una volta il
nasino, mostra all’infermiera un libro di Sigmund Freud che lo stesso genitore
le ha dato da leggere durante la degenza. Quasi che Cronenberg voglia darci un
avviso: attenti a reputare gli scopi estetici, superficiali, della clinica Keloid come un passo indietro rispetto ai nobili intenti del professor Hobbes de Il demone sotto la pelle.
L’argomento
principale in Cronenberg, la comprensione di sé stessi, è, come in Cartesio, il
rapporto tra la mente e il corpo, ma il regista prende un’ottica nuova per la
sua analisi rispetto ai filosofi classici. Cartesio e i successori usarono la
scrittura, un linguaggio artificiale e cerebrale; in sostanza di parte. Con i suoi film, inizialmente piuttosto grezzi
nella forma (il genere horror), Cronenberg affronta questa analisi con
un’attenzione spostata sul corpo, essendo il cinema un’arte prevalentemente
visiva. Il tentativo è di bilanciare, almeno negli intenti, il risultato del
rapporto psiche/corpo, con il secondo storicamente sempre sfavorito già dalle premesse; in fondo è sempre una mente umana che
studia la questione.
L’approccio non convenzionale al tema induce il regista
canadese a precisare meglio le coordinate del suo cinema, cosa avvertibile in Rabid, che è un film meno spontaneo e,
forse per questo, apparentemente meno riuscito de Il demone sotto la pelle. L’incipit di Rabid è probabilmente un piccolo omaggio ma è anche simbolicamente
programmatico. Hart (Frank Moore) e Rose (Marilyn Chambers) stanno andando in
motocicletta, vestiti come provetti centauri, in abiti in pelle nera. La Cinepix ,
la casa di produzione di Rabid,
produceva film di bassissima lega, prevalentemente erotici, tra cui Valerie, in cui due giovani disinibiti
(un ragazzo e la Valerie
del titolo) scorazzavano con una Harley Davidson facendo sesso e spassandosela.
E’ chiaro che l’intento di Hart e Rose sia simile: la volontà spinge l’uomo verso il piacere, il benessere. Lo
stesso moto positivo che tipicamente
anima i personaggi di Cronenberg. Va specificato l’utilizzo simbolico e
metalinguistico, che dimostra una consapevolezza fuori dall’ordinario, da parte
del regista con gli elementi a disposizione; ad esempio gli interpreti. La Chambers era una nota
pornostar salita alla ribalta con l’hard Dietro
la porta verde (1972), cult del periodo secondo solo al celeberrimo Gola Profonda (1972). La possibilità di
ingaggiarla per un film normale,
viene mirabilmente sfruttata dal regista per evocare l’idea di quello che possa
fare andando in giro in attillati abiti in pelle. Torniamo quindi in sella coi
nostri due ragazzi che sfrecciano in motocicletta: avviene un terribile incidente.
Il corpo, la fisicità materiale dei mezzi meccanici così come degli umani,
riporta i nostri ai loro limiti concreti. Gli incidenti stradali sono uno dei
temi ricorrenti in Cronenberg: ce n’era già uno ne Il demone sotto la pelle, in Rabid
danno il là alla vicenda e ce ne
saranno anche altri. Ovviamente Cronenberg tornerà ancora sull’argomento, in
particolare basti ricordare Crash
(1996), ma già con Veloci di mestiere
(1977), il film successivo a Rabid,
il regista pone al centro del suo obiettivo i mezzi meccanici, il corpo macchina delle automobili. In
sostanza con Rabid è come se
Cronenberg prendesse il cinema nella sua forma più grezza, i filmacci della Cinepix, un cinema meno nobile, meno
raffinato, meno sofisticato, si potrebbe quasi dire più primitivo e quindi più
autentico, per sviluppare il suo lavoro senza influenze. Che, cosa
simbolicamente espressa dall’incidente occorso a Rose e Hart, ha su di esso un
effetto traumatizzante. Qui subentra la parte più complessa e anche meno
scorrevole dell’opera. Rose viene ricoverata alla clinica Keloid, dove il dottor
Dan Keloid (Howard Ryshpan) la opera immediatamente. Nell’incidente la ragazza
ha subito gravi lesioni cutanee e, in prima istanza, sembra addirittura
fortunata ad essere accolta in una clinica specializzata nel trapianto della
pelle.
Tra il girato da Cronenberg,
c’era una scena in cui il dottor Keloid spiegava come ci fossero complicanze
più interne, non limitate al solo apparato cutaneo della povera ragazza. Era
quindi ricercato dagli stessi medici il fatto che il tessuto dovesse avere uno
sviluppo più profondo e non limitato alla sola pelle. Difficile pensare quanto
l’idea che alla paziente servisse un nuovo intestino, che si sarebbe dovuto
generare come conseguenza del trapianto, potesse funzionare poi sullo schermo.
Certo, avrebbe tolto qualche dubbio che, obiettivamente, viene guardando il
film. Cronenberg, in fase di realizzazione finale, optò invece per una scelta
più funzionale in senso strettamente cinematografico: le spiegazioni toglievano
ritmo e vennero eliminate.
Oggi possiamo essere anche maggiormente abituati a
simili passaggi oscuri nella trama; al tempo, l’origine dell’escrescenza pronta
ad uscire aggressivamente da sotto l’ascella di Rose, lasciò perplessi anche
gli spettatori più favorevoli al film. Le motivazioni alla base di questa scelta
tanto bizzarra, il pungiglione fallico, sono legate alla ricerca di Cronenberg
di affrontare in modo autonomo il suo lavoro. Rabid è un film sul vampirismo; gli infetti hanno sete di sangue e
come molti vampiri della cultura classica non possono alimentarsi normalmente.
C’è
un rimando anche ai tipici due piccoli fori che si trovano sui corpi dei
malcapitati che vengono morsi; infine, Rose, che produce il contagio e che si
differenzia fisicamente per via dell’escrescenza retrattile, richiama la figura
del maestro vampiro (ad esempio
Dracula), che è in genere più caratterizzato rispetto ai semplici vampirizzati.
Ma i tipici rimandi sessuali che sarebbe quasi spontaneo ipotizzare (pensate maliziosamente
ad una pornostar che interpreta una vampira per farvene un’idea) vengono
disattesi: non è nel bacio o nell’atto di succhiare, il modo in cui si
trasmette il contagio primario (da Rose verso le vittime di primo grado) ma attraverso un assai più
casto abbraccio.
Ritorna il concetto, già espresso dall’infermiera interpretata
da Lynn Lowry ne Il demone sotto la pelle,
secondo cui tutto è erotico e non
solo quei tipici e consueti argomenti
(la bocca, gli organi genitali, il seno, le gambe, ecc) che, secondo
Cronenberg, la cultura ha deputato a svolgere tale ruolo. Il sesso è centrale nel
cinema di Cronenberg ma non per appagare appetiti pruriginosi; in effetti, pur
avendo a disposizione un’attrice fisicamente apprezzabile come Marilyn
Chambers, il regista non le regala scene piccanti. L’aspetto che interessa al
genio canadese è che il sesso sia stata la leva che la cultura umana ha usato
per creare una struttura per incanalare, ingabbiare, l’individuo.
Quasi per
contrappasso, quella stessa leva Cronenberg vuole usarla per aprire qualche
spiraglio in quella sovrastruttura opprimente. L’organo che si sviluppa sotto
l’ascella di Rose è del tutto inimmaginabile: simile ad un orifizio, ha quindi
i connotati femminili; ma poi ne esce un’escrescenza vagamente fallica, e
quindi maschile. Non c’è quindi una distinzione di ruolo maschio/femmina, il
punto focale del regista va oltre la differenza di genere. L’organo di Rose è
certamente qualcosa di ripugnante, e questo ci dice che il sesso ha anche
questo aspetto, ma è comunque l’argomento centrale del film, e il suo farsi desiderare, sullo schermo, lo
rende attraente, almeno a livello cinematografico.
E la settima arte è lo strumento di diagnosi in grado di rivelare la
natura delle cose: la scena in cui l’organo mostruoso si vede in modo chiaro è
del tutto incoerente con la logica realistica, Rose è vestita ma la macchina da
presa riesce, in modo innaturale, a riprendere sotto gli abiti della ragazza,
rivelando l’orrore. E’ la capacità del cinema di superare il limite della
realtà e, significativamente, il passaggio è ambientato proprio in un sala cinematografica
(a luci rosse): il cinema è sia strumento di analisi che elemento di diffusione
del contagio. Inoltre Cronenberg rende, attraverso gli stilemi del cinema
horror, (l’elemento spaventoso è prima solo intuito, poi intravvisto, infine
mostrato) l’idea di come funzioni il sesso: qualcosa che ci spaventa ma di cui
siamo inevitabilmente attratti.
Come il suo cinema.
Marilyn Chambers
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