411_L'OMBRA DEL DUBBIO (Shadow of a doubt); Stati Uniti, 1943. Regia di Alfred Hitchcock.
Girato
quando Alfred Hitchcock era sottoposto ad una grandissima tensione, di natura
prevalentemente famigliare ma non solo, L'ombra del dubbio è
forse uno dei film del maestro dove la personalità dell'autore viene esposta in
maniera più evidente. Oltre ad una incompleta realizzazione professionale,
ancora da raggiungere in America, a preoccuparlo erano le condizioni della
madre, a cui Hitchcock era evidentemente legato in modo particolare; si possono
prendere a testimonianza, in questo senso, alcuni dei suoi film senza
scomodarne la biografia. L’anziana donna stava morendo e l'impossibilità di
recarsi in Inghilterra per via della guerra, mise Hitch in una
condizione di profonda prostrazione. E, come ogni grande autore, di fronte alle
difficoltà della vita, il regista inglese traduce questa tensione indotta dalle
circostanze in un’opera di eccezionale valore. Un film tutto basato sulla
duplicità dell'animo umano, con due protagonisti che potrebbero essere l'ideale
incarnazione della figura dello stesso Hitchcock, almeno secondo la sua
percezione delle cose. Teresa Wright (Carla) è la protagonista, apparentemente
un'ingenua fanciulla poco più che adolescente; per la verità, per quel che è
mostrato dal film, il personaggio è davvero positivo ma qualcosa sembra
filtrare dietro l'ostentata innocenza. Il suo affetto e la sua ammirazione per
l’altro protagonista, suo zio Carlo (Josep Cotten), sono quantomeno sospetti.
Sullo schermo, la Wright e
Cotten formano una coppia perfettamente compatibile: anagraficamente ci sono
solo 13 anni di differenza e per di più l'uomo è un tipo giovanile. Inoltre, se
la ragazza è presentata sempre come un’anima candida, una sua possibile
ambiguità è suggerita dal gioco strutturale che organizza il
regista.
Tra loro, i due protagonisti, sono speculari, ovvero uguali ma anche
contrari: il criterio di uguaglianza è rispettato dai nomi
(identici nell'originale, Charlie) e da come vengono introdotti nel film, con
due scene molto simili (dal tipo di ripresa fino alla posizione in cui si
trovano, sdraiati sul letto); la contrarietà, l’essere uno opposto all’altra, è
invece evidente nel loro essere un uomo e una donna, oltre che il protagonista
cattivo e quella buona della storia. A questo punto, se uno è un
rispettabile uomo d'affari che nasconde un lato oscuro, l'altra non può essere una semplice ragazzetta
ingenua.
Avrebbe potuto essere una donna frivola che nasconde un animo buono, rispettando così la specularità; ma se in apparenza anche il personaggio di Carla è positivo, allora va rispettato il criterio di uguaglianza (come detto nella specularità le cose sono uguali e/o contrarie) e quindi, proprio come lo zio, deve avere un lato oscuro oltre l’evidenza. In effetti, la protagonista del film è una giovinetta ingenua fin che si vuole ma, forse, sotto l'innocenza di facciata brucia di desiderio per l'ammirato zio. In ogni caso, qualche traccia inquietante la lascia: c’è una scena emblematica in tal senso. I due personaggi protagonisti si incrociano sulla scala di casa Newton dopo che c’è già stata qualche frizione, lo zio Carlo sta salendo i gradini, lo vediamo di spalle; ad un certo punto di ferma e si gira verso la ragazza che è rimasta ferma ai piedi della scalinata a fissarlo. L’uomo è in alto e ripreso dal basso, in posizione che dovrebbe essere tipicamente dominante; la ragazza è oltre la luce della porta aperta, sullo sfondo. Eppure, forse la prospettiva usata da Hitchcock, forse l’ombra della ragazza che si allunga fin dentro l’atrio d’ingresso, ma Carla sembra davvero minacciosa: anche lo zio sembra esserne intimorito.
Un altro momento cruciale del film riguarda l’altro protagonista, quello interpretato da Cotten, quando in modo del tutto inaspettato l’attore guarda in macchina, in calce ad un discorso di estremo disprezzo per le vedove vittime degli omicidi: è come se lo sguardo trapassasse lo schermo cinematografico e arrivasse fino a noi.
E’ lo sguardo di Hitchcock che ci dice che quello sullo schermo non è più l’affascinante ma ambiguo zio Carlo ma semmai lo zio Alfred; altrettanto affascinante e altrettanto ambiguo. Così come, specularmente, nella scena della scala, sullo sfondo, nella luce della porta, non c’è più la nipote, ma la sottilmente inquietante facciata perbenista che il genio inglese si premurava sempre di tenere in pubblico.
Hitchcock per tutto il lungometraggio prosegue su questo lavoro in parallelo sulle personalità dei due protagonisti, ora discordanti, ora non poi così dissimili; a questo proposito, va ricordato che lo schema narrativo del doppio è ripetuto ossessivamente da Hitchcock nel suo film. Francois Truffaut, sui Cahiers du Cinema conterà quattordici ripetizioni nel lungometraggio. Tra queste, oltre ai protagonisti dal nome uguale e alle scene molto simili con cui vengono introdotti nel film, abbiamo: due indiziati, due poliziotti, due visite dei poliziotti stessi, due cerimonie, due scene alla stazione, due fratellini, due doppi brandy serviti dalla cameriera che lavora da sole due settimane al bar Till Two, e così via. Tra l'altro il nome dell'opera condensa una serie di raddoppi di significato in poche parole: L'ombra del dubbio è un'espressione dal senso compiuto che raddoppia il senso di incertezza; non c'è un dubbio, ma solo l'ombra.
L'ombra è il doppio dell'individuo; a sua volta l'origine del termine dubbio è legato a due, indicando l'incertezza tra due opzioni. Quindi abbiamo il raddoppio di un doppio: con questo gioco di specchi Hitch vuole forse confonderci, perché in realtà con questo film parlerà quasi a cuore aperto, rivelandoci scopertamente la sua duplice natura. Grazie al prezioso Il lato oscuro del genio di Donald Spoto (edito da Lindau nel 1999), è possibile comprendere però come tutti i protagonisti principali della vicenda siano manifestazioni parziali o comunque legate alla personalità e alla vita dell’autore inglese. Il personaggio di Herbie, il vicino di casa, è oppresso dalla madre e ossessionato dall’idea dell’omicidio; Mr. Newton (Henry Travers), il papà di Carla, anch’esso appassionato di crimini, è passivo di fronte alla personalità del cognato, e come Hitchcock non guida l’auto; sua moglie e sorella di Carlo, si chiama Emma (Patricia Collinge), come la madre del regista, al tempo in cima ai suoi pensieri per i citati motivi di salute.
Il rapporto tra Emma e suo fratello minore Carlo, è simile a quello che c’è tra la madre e Hitchcock; c’è anche un racconto autobiografico del regista, scritto di suo pugno, in cui, nel film, Emma racconta dell’infanzia del fratello; si tratta di un episodio che è preso di peso dalla giovinezza dell’autore inglese. Il biografo Spoto trova delle similitudini anche nelle caratteristiche, nelle abitudini e nelle letture, dei due bambini di casa Newton con l’infanzia di Hitchcock; persino la cifra che Carlo deposita in banca, 40.000 dollari, ha un rimando con la vita reale dell’autore inglese: era il costo della villa appena comprata in Bellagio Road. Insomma, se è pur vero che c’è sempre un po’ dell’autore in ognuno dei suoi personaggi, in questo caso Hitchcock sembra un tantino esagerare.
In particolar modo, nella scena in cui Carlo si lascia andare alle citate riflessioni, eccessivamente dure nei confronti delle vedove uccise, sembra quasi che queste possano essere condivise, almeno in una piccola percentuale, dall’autore inglese, e fanno rabbrividire più di altri passaggi tecnicamente più adeguati a questo scopo. Certamente il lato di Hitchcock più conforme alle regole, incarnato nel film da Carla, è più rassicurante. Resta da capire se il finale, che prevede che la minuta ragazzina riesca a prevalere nella lotta sul treno contro uno spilungone come suo zio, (Cotten era quasi1 metro e 90 cm ), sia semplicemente legato alle esigenze produttive di rispettare il lieto fine. Ma ci rimane… l’ombra di un dubbio che sia invece perché delle due metà (oscure) della personalità di Hitchcock, quella interpretata da Carla, quella più conformista, sia la più pericolosa.
Teresa Wright
Avrebbe potuto essere una donna frivola che nasconde un animo buono, rispettando così la specularità; ma se in apparenza anche il personaggio di Carla è positivo, allora va rispettato il criterio di uguaglianza (come detto nella specularità le cose sono uguali e/o contrarie) e quindi, proprio come lo zio, deve avere un lato oscuro oltre l’evidenza. In effetti, la protagonista del film è una giovinetta ingenua fin che si vuole ma, forse, sotto l'innocenza di facciata brucia di desiderio per l'ammirato zio. In ogni caso, qualche traccia inquietante la lascia: c’è una scena emblematica in tal senso. I due personaggi protagonisti si incrociano sulla scala di casa Newton dopo che c’è già stata qualche frizione, lo zio Carlo sta salendo i gradini, lo vediamo di spalle; ad un certo punto di ferma e si gira verso la ragazza che è rimasta ferma ai piedi della scalinata a fissarlo. L’uomo è in alto e ripreso dal basso, in posizione che dovrebbe essere tipicamente dominante; la ragazza è oltre la luce della porta aperta, sullo sfondo. Eppure, forse la prospettiva usata da Hitchcock, forse l’ombra della ragazza che si allunga fin dentro l’atrio d’ingresso, ma Carla sembra davvero minacciosa: anche lo zio sembra esserne intimorito.
Un altro momento cruciale del film riguarda l’altro protagonista, quello interpretato da Cotten, quando in modo del tutto inaspettato l’attore guarda in macchina, in calce ad un discorso di estremo disprezzo per le vedove vittime degli omicidi: è come se lo sguardo trapassasse lo schermo cinematografico e arrivasse fino a noi.
E’ lo sguardo di Hitchcock che ci dice che quello sullo schermo non è più l’affascinante ma ambiguo zio Carlo ma semmai lo zio Alfred; altrettanto affascinante e altrettanto ambiguo. Così come, specularmente, nella scena della scala, sullo sfondo, nella luce della porta, non c’è più la nipote, ma la sottilmente inquietante facciata perbenista che il genio inglese si premurava sempre di tenere in pubblico.
Hitchcock per tutto il lungometraggio prosegue su questo lavoro in parallelo sulle personalità dei due protagonisti, ora discordanti, ora non poi così dissimili; a questo proposito, va ricordato che lo schema narrativo del doppio è ripetuto ossessivamente da Hitchcock nel suo film. Francois Truffaut, sui Cahiers du Cinema conterà quattordici ripetizioni nel lungometraggio. Tra queste, oltre ai protagonisti dal nome uguale e alle scene molto simili con cui vengono introdotti nel film, abbiamo: due indiziati, due poliziotti, due visite dei poliziotti stessi, due cerimonie, due scene alla stazione, due fratellini, due doppi brandy serviti dalla cameriera che lavora da sole due settimane al bar Till Two, e così via. Tra l'altro il nome dell'opera condensa una serie di raddoppi di significato in poche parole: L'ombra del dubbio è un'espressione dal senso compiuto che raddoppia il senso di incertezza; non c'è un dubbio, ma solo l'ombra.
L'ombra è il doppio dell'individuo; a sua volta l'origine del termine dubbio è legato a due, indicando l'incertezza tra due opzioni. Quindi abbiamo il raddoppio di un doppio: con questo gioco di specchi Hitch vuole forse confonderci, perché in realtà con questo film parlerà quasi a cuore aperto, rivelandoci scopertamente la sua duplice natura. Grazie al prezioso Il lato oscuro del genio di Donald Spoto (edito da Lindau nel 1999), è possibile comprendere però come tutti i protagonisti principali della vicenda siano manifestazioni parziali o comunque legate alla personalità e alla vita dell’autore inglese. Il personaggio di Herbie, il vicino di casa, è oppresso dalla madre e ossessionato dall’idea dell’omicidio; Mr. Newton (Henry Travers), il papà di Carla, anch’esso appassionato di crimini, è passivo di fronte alla personalità del cognato, e come Hitchcock non guida l’auto; sua moglie e sorella di Carlo, si chiama Emma (Patricia Collinge), come la madre del regista, al tempo in cima ai suoi pensieri per i citati motivi di salute.
Il rapporto tra Emma e suo fratello minore Carlo, è simile a quello che c’è tra la madre e Hitchcock; c’è anche un racconto autobiografico del regista, scritto di suo pugno, in cui, nel film, Emma racconta dell’infanzia del fratello; si tratta di un episodio che è preso di peso dalla giovinezza dell’autore inglese. Il biografo Spoto trova delle similitudini anche nelle caratteristiche, nelle abitudini e nelle letture, dei due bambini di casa Newton con l’infanzia di Hitchcock; persino la cifra che Carlo deposita in banca, 40.000 dollari, ha un rimando con la vita reale dell’autore inglese: era il costo della villa appena comprata in Bellagio Road. Insomma, se è pur vero che c’è sempre un po’ dell’autore in ognuno dei suoi personaggi, in questo caso Hitchcock sembra un tantino esagerare.
In particolar modo, nella scena in cui Carlo si lascia andare alle citate riflessioni, eccessivamente dure nei confronti delle vedove uccise, sembra quasi che queste possano essere condivise, almeno in una piccola percentuale, dall’autore inglese, e fanno rabbrividire più di altri passaggi tecnicamente più adeguati a questo scopo. Certamente il lato di Hitchcock più conforme alle regole, incarnato nel film da Carla, è più rassicurante. Resta da capire se il finale, che prevede che la minuta ragazzina riesca a prevalere nella lotta sul treno contro uno spilungone come suo zio, (Cotten era quasi
Teresa Wright
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