407_IL DEMONE SOTTO LA PELLE (The Parasite murders); Canada, 1975. Regia di David Cronenberg.
Dopo i due film sperimentali Stereo e Crimes of the future,
Il demone sotto la pelle è il vero e
proprio esordio nel cinema convenzionale
di David Cronenberg. Per la verità di convenzionale in Il demone sotto la pelle c’è ben poco: si tratta di un horror a
basso costo che, fosse anche preso soltanto per i suoi aspetti raccapriccianti
legati agli effetti speciali, lascerebbe esterrefatto anche lo spettatore più
scafato. Non che Cronenberg, una volta approdato al cinema commerciale, si sia
lasciato prendere dal sensazionalismo di bassa lega, anzi; Il demone sotto la pelle è un film che riesce ad essere più
concreto, più diretto, più strettamente aderente al suo punto focale rispetto
ai precedenti lavori. O comunque i suoi film sperimentali davano appunto l’idea
di essere degli esperimenti, delle prove di laboratorio asettiche, fuori
contesto e, quindi, anche più svincolate dalla realtà. Erano studi in
laboratorio; con Il demone sotto la pelle
David Cronenberg comincia a fare sul serio, a mettere in pratica le sue
idee. E grazie all’illuminante Castoro
di Gianni Canova si può facilmente cogliere il forte indizio che il cinema per
Cronenberg sia uno strumento di analisi, l’unico in grado di svelare la
malattia, il virus, il parassita. Il film è ambientato in un complesso
residenziale chiamato Arca di Noè
(folcloristica interpretazione dei distributori italiani per Starliner Towers) di cui, in apertura
del lungometraggio, alcune diapositive mostrano l’attraente vita comoda e
tranquilla.
Mentre la voce narrante tesse le lodi del residence, scorrono le diapositive, che sono identificabili in modo netto come tali. Il cinema, il cinema vero, l’arte delle immagini in movimento, arriva poco dopo, con una scena frammentata e in montaggio alternato alle suddette diapositive; e che le smentisce categoricamente. Nella scena un uomo di mezza età uccide una giovane ragazza proprio in quella struttura che ci è appena stata presentata come un’oasi di pace. In modo tutto sommato analogo, nel finale, mentre gli abitanti dell’Arca di Noè si dirigono in città, verso il mondo esterno, come in una qualunque mattina, lo speaker della radio avrebbe la pretesa di tranquillizzarci. Ma il cinema, il cinema di Cronenberg, ci ha però mostrato che c’è poco da stare tranquilli e che il contagio è ormai cominciato.
Mentre la voce narrante tesse le lodi del residence, scorrono le diapositive, che sono identificabili in modo netto come tali. Il cinema, il cinema vero, l’arte delle immagini in movimento, arriva poco dopo, con una scena frammentata e in montaggio alternato alle suddette diapositive; e che le smentisce categoricamente. Nella scena un uomo di mezza età uccide una giovane ragazza proprio in quella struttura che ci è appena stata presentata come un’oasi di pace. In modo tutto sommato analogo, nel finale, mentre gli abitanti dell’Arca di Noè si dirigono in città, verso il mondo esterno, come in una qualunque mattina, lo speaker della radio avrebbe la pretesa di tranquillizzarci. Ma il cinema, il cinema di Cronenberg, ci ha però mostrato che c’è poco da stare tranquilli e che il contagio è ormai cominciato.
Cronenberg è di Toronto; non fosse nato in quella città e in
quel periodo, avrebbe fatto altro o comunque un altro cinema. Vivere a Toronto, nel XX secolo, era come stare in un
acquario o qualcosa del genere; almeno quella era l’impressione che aveva un
individuo certamente singolare come Cronenberg. Tuttavia una certa costrizione,
un eccesso di conformismo, è presumibile ci fosse; e non è un dettaglio
biografico buono per i curiosi. E’ forse una delle motivazioni circostanziali alla
base della poetica dell’autore canadese: la vita opprimente di Toronto è stata
l’incubazione del cinema di Cronenberg.
Le regole e i divieti dell’austera società anglo canadese, non permettevano al giovane Cronenberg di assistere ai film con Brigitte Bardot, figuriamoci a quelli sessualmente più espliciti: ecco da dove deriva l’interesse cinematografico per alcune tematiche, sebbene questi siano solo dettagli superficiali. Con Il demone sotto la pelle l’autore è certamente conscio di dover fare un horror di cassetta; ma allo stesso tempo il suo film risponde prima alle esigenze della sua poetica e solo dopo a quelle di genere. Il film fonda gran parte della sua efficacia sugli effetti speciali, ben congegnati da Joe Blasco, ma la motivazione che è alla base di questa scelta non è la ricerca di un impatto esasperato delle immagini sullo spettatore.
Il parassita protagonista de Il demone sulla pelle, qualcosa con attinenze falliche e scatologiche allo stesso tempo, è troppo fuori dall’immaginario comune per poter utilizzare con efficacia la tecnica della ‘suspense per la minaccia fuori campo’. Nessuno potrebbe immaginare il pericolo dovuto ai parassiti di Cronenberg senza vederli, perché nessuno ha la minima idea di quello che ha in mente il regista canadese. E’ quindi una scelta di stretta logica comunicativa e non la ricerca dell’effettaccio da horror di terza categoria. Poi, certo, il risultato finale ben si presta alla funzionalità di un film del terrore, e certamente il gusto dell’autore è soddisfatto dalla resa complessiva che l’opera ha sullo schermo. E va detto che alcune scene sono particolarmente efficaci: quella in cui Betts (Barbara Steele) è attaccata nel parassita nella vasca da bagno, è addirittura rievocata in Nightmare (1984) di Wes Craven.
Tuttavia si può obiettivamente osservare come scene truculente o comunque scabrose di altra natura, presenti in quella che è pur sempre una storia dell’orrore, non siano affatto ostentate. Già da questo primo, tutto sommato grezzo lungometraggio, si può leggere quello che forse è il tema principale in Cronenberg, che non è legato al sesso o a qualche particolare perversione. Questi aspetti sono presenti, perché da sempre hanno stimolato l’interesse nell’autore, ma il suo vero cruccio è di natura più profonda: da sempre c’è, da parte di Cronenberg, un tentativo di prendere coscienza di sé. Prendendo a prestito alcuni concetti dalla psicanalisi, si potrebbe dire che il nocciolo del discorso risieda nel rapporto tra Es, la nostra parte naturale più atavica, e il SuperIo, che impone i codici di comportamento all’individuo. Su questa sommaria struttura possiamo ricalcare alcuni tra i grandi temi cronenberghiani: il corpo umano altro non è che un entità che, costringendo le nostre viscere, i nostri organi, vorremmo potesse assumere quell’aspetto esteriore modellato in ossequio ai criteri di bellezza dettati dalla cultura o dal buon gusto.
Lo stesso meccanismo è riscontrabile nella società, dove le regole del quieto vivere, del bon ton, costringono tutti ad assumere comportamenti che siano codificati secondo schemi fissi; ed evidentemente, questo aspetto doveva essere molto forte nel Canada anglofono al tempo. Questa onnipresente battaglia tra forma e contenuto, tra cultura e natura, tra ragione e istinto, Cronenberg la ripropone nelle corporazioni (ancora assenti però ne Il demone sotto la pelle), dove gli individui sono paragonabili ai singoli organi all’interno di un sistema più vasto, o anche nelle strutture architettoniche.
Questo tema era già alla base delle prime opere sperimentali, e la presenza dello stesso protagonista dei due precedenti film, Ronald Mlodzik, che ci introduce all’Arca di Noè, mette anche qui l’accento su un tema caro al regista. Il complesso residenziale Arca di Noè è rappresentato come un grande organismo, con i vari settori deputati ai diversi scopi (appartamenti, garage, locale spazzatura, ecc), una filosofia comune e, soprattutto, un codice di comportamento che mantiene, almeno in principio, ordine e disciplina. La macchina da presa di Cronenberg vi entra e corre lungo i corridoi, allo stesso modo in cui i parassiti si muovono all’interno dei corpi: il cinema è il parassita della vita. Ovvero il mezzo che può rompere e far deragliare la struttura opprimente.
Tuttavia il motivo scatenante dell’apocalisse è legato al tentativo da parte della scienza, e quindi, diciamo così, della struttura complessiva, di controllare gli specifici organi interni. Le ricerche del dottor Hobbes vorrebbero infatti creare dei parassiti in grado di simulare e sostituire la funzione di eventuali organi malati dell’individuo. La società umana, dopo aver imposto codici di comportamento e di bellezza, costringendo l’individuo ad adeguarcisi, cerca ora di modificare a piacimento fin dentro l’organismo del singolo soggetto. Non c’è una critica politica, in questo, da parte di Cronenberg: gli studiosi del film sono mossi da intenti positivi: si cercano cure per le malattie.
In parte si ripresenta ancora lo stesso meccanismo dei film sperimentali: gli studi non hanno mai una matrice maligna coscientemente tale, sebbene i risultati siano devastanti. Piuttosto, Cronenberg, che nei suoi film sembra rivendicare i diritti della parte animalesca dell’uomo, della nostra interiorità, in senso anche e soprattutto fisico, è però consapevole che è da lì che possono arrivare gli impulsi più pericolosi. Se lo scopo della società, almeno in buona fede, è migliorare la condizione umana, il nome del dottore che si occupa di questo nel film di Cronenberg è proprio Hobbes, ovvero lo stesso di quel filosofo inglese che teorizzava come alla base del comportamento umano ci fosse solo l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione sull’altro.
E’ questa forza dirompente che è materializzata nei parassiti de Il demone sotto la pelle e che si manifesta anche, in modo persino più esplosivo, nell’opporsi e nel reagire al tentativo da parte della struttura sociale umana di controllare e omologare l’individuo. Questo aspetto della forza umana di matrice animalesca nel film è rappresentata in forma più sottile e forse migliore rispetto agli effetti speciali legati al ruolo dei parassiti, ed è certamente l’aspetto più significativo del primo lavoro commerciale di Cronenberg. L’infermiera Frances Forsythe (la meravigliosa Lynn Lowry), vera protagonista del film insieme al parassita stesso, ad un certo punto confessa un sogno al dottor Roger St. Luc (Paul Hampton).
C’è un vecchio, cadente e maleodorante, in questo sogno, che prova a convincere la donna di come tutto quanto sia erotico, anche un vecchio nelle sue condizioni; persino le stesse parole che sta pronunciando sono erotiche. Naturalmente il vecchio ci riesce, a convincere Frances: il sogno è il terreno dell’inconscio, della nostra parte più animalesca e le regole del buon gusto possono essere inefficaci. La pulsione sessuale, che è il vero motore della società, è stata da questa incanalata secondo rigidi schemi. Questa operazione di costrizione ha creato forze eguali e contrarie e ora, queste forze, anarchiche per loro natura in quanto in opposizione al conformismo sessuale della società, sono alla base del lavoro di Cronenberg.
Il parassita de Il demone sotto la pelle scatena le voglie sessuali senza inibizioni; chi ne è affetto non è affatto rabbioso, sembra piuttosto contento anzi, addirittura eccitato. Certo, può essere un caso che, in anticipo di qualche anno sull’esplosione del virus dell’AIDS, Cronenberg abbia concepito un’idea dai risultati tutto sommato abbastanza simili; forse è la capacità dell’artista di cogliere prima degli altri i rischi di una determinata situazione sociale. Tuttavia Cronenberg non sembra troppo preoccupato, anzi sembra anch’egli in preda a quell’eccitazione che il suo parassita trasmette con l’infezione: la scena, nel finale, nella piscina, è la migliore dell’opera ed esprime proprio questo.
Il dottor St. Luc sta scappando dal complesso residenziale, ma si trova circondato dagli infetti, che avanzano come zombie. Allora l’uomo torna dentro all’Arca di Noè, nella zona delle piscine coperte: ad attenderlo, tra gli altri, ci sono Frances e Betts, anch’esse ormai in preda al parassita e quindi vogliose di sesso. E presto anche i contagiati dall’esterno penetreranno nell’edificio e si uniranno in un orgia collettiva a bagnomaria. Cronenberg filma questa scena con una capacità ambigua notevole: c’è paura, perché la struttura del racconto evoca tipiche scene da film del terrore ma, in effetti, questa gente vuole sostanzialmente fare sesso, e quindi è in preda ad un’isterica eccitazione che non ha intenzioni prettamente malvagie. Quello che spaventa, non è l’ignoto, qualcosa di alieno: è qualcosa che conosciamo benissimo ma che tenevamo nascosto e il parassita ha portato allo scoperto.
Le regole e i divieti dell’austera società anglo canadese, non permettevano al giovane Cronenberg di assistere ai film con Brigitte Bardot, figuriamoci a quelli sessualmente più espliciti: ecco da dove deriva l’interesse cinematografico per alcune tematiche, sebbene questi siano solo dettagli superficiali. Con Il demone sotto la pelle l’autore è certamente conscio di dover fare un horror di cassetta; ma allo stesso tempo il suo film risponde prima alle esigenze della sua poetica e solo dopo a quelle di genere. Il film fonda gran parte della sua efficacia sugli effetti speciali, ben congegnati da Joe Blasco, ma la motivazione che è alla base di questa scelta non è la ricerca di un impatto esasperato delle immagini sullo spettatore.
Il parassita protagonista de Il demone sulla pelle, qualcosa con attinenze falliche e scatologiche allo stesso tempo, è troppo fuori dall’immaginario comune per poter utilizzare con efficacia la tecnica della ‘suspense per la minaccia fuori campo’. Nessuno potrebbe immaginare il pericolo dovuto ai parassiti di Cronenberg senza vederli, perché nessuno ha la minima idea di quello che ha in mente il regista canadese. E’ quindi una scelta di stretta logica comunicativa e non la ricerca dell’effettaccio da horror di terza categoria. Poi, certo, il risultato finale ben si presta alla funzionalità di un film del terrore, e certamente il gusto dell’autore è soddisfatto dalla resa complessiva che l’opera ha sullo schermo. E va detto che alcune scene sono particolarmente efficaci: quella in cui Betts (Barbara Steele) è attaccata nel parassita nella vasca da bagno, è addirittura rievocata in Nightmare (1984) di Wes Craven.
Tuttavia si può obiettivamente osservare come scene truculente o comunque scabrose di altra natura, presenti in quella che è pur sempre una storia dell’orrore, non siano affatto ostentate. Già da questo primo, tutto sommato grezzo lungometraggio, si può leggere quello che forse è il tema principale in Cronenberg, che non è legato al sesso o a qualche particolare perversione. Questi aspetti sono presenti, perché da sempre hanno stimolato l’interesse nell’autore, ma il suo vero cruccio è di natura più profonda: da sempre c’è, da parte di Cronenberg, un tentativo di prendere coscienza di sé. Prendendo a prestito alcuni concetti dalla psicanalisi, si potrebbe dire che il nocciolo del discorso risieda nel rapporto tra Es, la nostra parte naturale più atavica, e il SuperIo, che impone i codici di comportamento all’individuo. Su questa sommaria struttura possiamo ricalcare alcuni tra i grandi temi cronenberghiani: il corpo umano altro non è che un entità che, costringendo le nostre viscere, i nostri organi, vorremmo potesse assumere quell’aspetto esteriore modellato in ossequio ai criteri di bellezza dettati dalla cultura o dal buon gusto.
Lo stesso meccanismo è riscontrabile nella società, dove le regole del quieto vivere, del bon ton, costringono tutti ad assumere comportamenti che siano codificati secondo schemi fissi; ed evidentemente, questo aspetto doveva essere molto forte nel Canada anglofono al tempo. Questa onnipresente battaglia tra forma e contenuto, tra cultura e natura, tra ragione e istinto, Cronenberg la ripropone nelle corporazioni (ancora assenti però ne Il demone sotto la pelle), dove gli individui sono paragonabili ai singoli organi all’interno di un sistema più vasto, o anche nelle strutture architettoniche.
Questo tema era già alla base delle prime opere sperimentali, e la presenza dello stesso protagonista dei due precedenti film, Ronald Mlodzik, che ci introduce all’Arca di Noè, mette anche qui l’accento su un tema caro al regista. Il complesso residenziale Arca di Noè è rappresentato come un grande organismo, con i vari settori deputati ai diversi scopi (appartamenti, garage, locale spazzatura, ecc), una filosofia comune e, soprattutto, un codice di comportamento che mantiene, almeno in principio, ordine e disciplina. La macchina da presa di Cronenberg vi entra e corre lungo i corridoi, allo stesso modo in cui i parassiti si muovono all’interno dei corpi: il cinema è il parassita della vita. Ovvero il mezzo che può rompere e far deragliare la struttura opprimente.
Tuttavia il motivo scatenante dell’apocalisse è legato al tentativo da parte della scienza, e quindi, diciamo così, della struttura complessiva, di controllare gli specifici organi interni. Le ricerche del dottor Hobbes vorrebbero infatti creare dei parassiti in grado di simulare e sostituire la funzione di eventuali organi malati dell’individuo. La società umana, dopo aver imposto codici di comportamento e di bellezza, costringendo l’individuo ad adeguarcisi, cerca ora di modificare a piacimento fin dentro l’organismo del singolo soggetto. Non c’è una critica politica, in questo, da parte di Cronenberg: gli studiosi del film sono mossi da intenti positivi: si cercano cure per le malattie.
In parte si ripresenta ancora lo stesso meccanismo dei film sperimentali: gli studi non hanno mai una matrice maligna coscientemente tale, sebbene i risultati siano devastanti. Piuttosto, Cronenberg, che nei suoi film sembra rivendicare i diritti della parte animalesca dell’uomo, della nostra interiorità, in senso anche e soprattutto fisico, è però consapevole che è da lì che possono arrivare gli impulsi più pericolosi. Se lo scopo della società, almeno in buona fede, è migliorare la condizione umana, il nome del dottore che si occupa di questo nel film di Cronenberg è proprio Hobbes, ovvero lo stesso di quel filosofo inglese che teorizzava come alla base del comportamento umano ci fosse solo l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione sull’altro.
E’ questa forza dirompente che è materializzata nei parassiti de Il demone sotto la pelle e che si manifesta anche, in modo persino più esplosivo, nell’opporsi e nel reagire al tentativo da parte della struttura sociale umana di controllare e omologare l’individuo. Questo aspetto della forza umana di matrice animalesca nel film è rappresentata in forma più sottile e forse migliore rispetto agli effetti speciali legati al ruolo dei parassiti, ed è certamente l’aspetto più significativo del primo lavoro commerciale di Cronenberg. L’infermiera Frances Forsythe (la meravigliosa Lynn Lowry), vera protagonista del film insieme al parassita stesso, ad un certo punto confessa un sogno al dottor Roger St. Luc (Paul Hampton).
C’è un vecchio, cadente e maleodorante, in questo sogno, che prova a convincere la donna di come tutto quanto sia erotico, anche un vecchio nelle sue condizioni; persino le stesse parole che sta pronunciando sono erotiche. Naturalmente il vecchio ci riesce, a convincere Frances: il sogno è il terreno dell’inconscio, della nostra parte più animalesca e le regole del buon gusto possono essere inefficaci. La pulsione sessuale, che è il vero motore della società, è stata da questa incanalata secondo rigidi schemi. Questa operazione di costrizione ha creato forze eguali e contrarie e ora, queste forze, anarchiche per loro natura in quanto in opposizione al conformismo sessuale della società, sono alla base del lavoro di Cronenberg.
Il parassita de Il demone sotto la pelle scatena le voglie sessuali senza inibizioni; chi ne è affetto non è affatto rabbioso, sembra piuttosto contento anzi, addirittura eccitato. Certo, può essere un caso che, in anticipo di qualche anno sull’esplosione del virus dell’AIDS, Cronenberg abbia concepito un’idea dai risultati tutto sommato abbastanza simili; forse è la capacità dell’artista di cogliere prima degli altri i rischi di una determinata situazione sociale. Tuttavia Cronenberg non sembra troppo preoccupato, anzi sembra anch’egli in preda a quell’eccitazione che il suo parassita trasmette con l’infezione: la scena, nel finale, nella piscina, è la migliore dell’opera ed esprime proprio questo.
Il dottor St. Luc sta scappando dal complesso residenziale, ma si trova circondato dagli infetti, che avanzano come zombie. Allora l’uomo torna dentro all’Arca di Noè, nella zona delle piscine coperte: ad attenderlo, tra gli altri, ci sono Frances e Betts, anch’esse ormai in preda al parassita e quindi vogliose di sesso. E presto anche i contagiati dall’esterno penetreranno nell’edificio e si uniranno in un orgia collettiva a bagnomaria. Cronenberg filma questa scena con una capacità ambigua notevole: c’è paura, perché la struttura del racconto evoca tipiche scene da film del terrore ma, in effetti, questa gente vuole sostanzialmente fare sesso, e quindi è in preda ad un’isterica eccitazione che non ha intenzioni prettamente malvagie. Quello che spaventa, non è l’ignoto, qualcosa di alieno: è qualcosa che conosciamo benissimo ma che tenevamo nascosto e il parassita ha portato allo scoperto.
Nessun commento:
Posta un commento