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venerdì 6 settembre 2019

CRIMES OF THE FUTURE

406_CRIMES OF THE FUTURE ; Canada, 1970Regia di David Cronenberg.

L’anno seguente a Stereo, David Cronenberg gira un film tutto sommato simile, Crimes of the future. E’ un altro film d’avanguardia, assai sperimentale, la cui visione non è certo di facile approccio. E’ chiaro che, come per il film d’esordio, anche per Crimes of the future i motivi di interesse sono legati alla carriera successiva del regista canadese, piuttosto che per motivazioni intrinseche all’opera in sé stessa. Ha quindi un senso cercare all’interno di Crimes of the future i germi del cinema di Cronenberg, che sono tanti e ritorneranno per svilupparsi nel corso della filmografia dell’autore nato a Toronto. Ci sono i virus, le escrescenze carnali, i mutamenti di genere sessuale, le corporazioni tra individui che sembrano replicare la struttura di un organismo, insomma Crimes of the future è disseminato di quelle spore che in seguito germoglieranno nella carriera di Cronenberg. Però questa sarebbe un po’ l’analisi alle intenzioni: si cercherebbero cioè, quegli spunti che solo in seguito diverranno motivi di vero interesse. Tanto vale rimandare il discorso ad eventuali analisi in proposito di quelle opere che svilupperanno a dovere i temi in questione e concentrarci, piuttosto, su quanto offre Crimes of the future in modo più compiuto e autonomo. Anche perché il film è la seconda opera del regista e quindi è possibile relazionarla con il lungometraggio d’esordio: questo, a differenza di un confronto con opere future, è utile e coerente, perché Cronenberg, nel realizzare Crimes of the future ha ben presente cos’è stato Stereo mentre non poteva certo avere già in mente tutta quanta la sua filmografia in divenire. 
Anzi, stando alle sue dichiarazioni, al tempo non pensava nemmeno di dedicarsi al cinema commerciale. Inoltre, pur se esistono differenze tra le pellicole e può essere interessante andarle a scoprire, è innegabile che tra loro abbiano molti punti di contatto. C’è anzi più di un legame, tra Stereo e Crimes of the future, che invita quasi a considerarle parte di un dittico. Volendo guardare, il primo film si intitola Stereo, a sottolineare una doppia traccia, magari estendibile anche ad un’interpretazione tra le due pellicole. La successiva opera fa riferimento a crimini del futuro, al plurale, forse come fosse possibile includere tra questi gli esperimenti del dottor Stringfellow alla base del film d’esordio del canadese. E poi il tema del doppio non solo è uno degli argomenti ricorrenti in Cronenberg ma, nella sua filmografia, in seguito in modo certamente più consapevole, tornerà l’idea accoppiare alcune pellicole in un legame particolare, a partire da Il demone sotto la pelle (1975) e Rabid –Sete di sangue (1977) fino a A history of violence (2005) e La promessa dell’assassino (2007), con altri esempi che si possono trovare. Comunque, in un confronto tra Stereo e Crimes of the future,  la prima cosa che balza all’occhio è che il secondo è a colori. E’ forse già un primo indizio di un tentativo, da parte di Cronenberg, di adeguare il suo cinema alla contemporaneità e quindi renderlo più accessibile. Negli anni 70 la scelta del bianco e nero era ormai solo un vezzo d’autore. 


Il secondo aspetto che si nota facilmente è l’uso del sonoro: in Stereo era totalmente astratto, con le voci fuoricampo che descrivevano, almeno in parte, quello che succedeva sullo schermo, ma in modo molto distaccato e assai indiretto. In Crimes of the future permaneva il problema della cinepresa Arriflex, piuttosto rumorosa nel filmare, e per evitare che il sonoro venisse rovinato da questo fastidioso suono, Cronenberg non registra l’audio, anche in questo caso, in presa diretta. Stavolta però la voce narrante aggiunta in seguito è quella del protagonista, Adrian Tripod (Ronald Mlodzik); una scelta più convenzionale, sebbene un certo grado di straniamento permanga, alimentato dal fatto che il narratore a tratti parli in prima persona e in altri momenti, specialmente nel proseguo della pellicola, in terza. C’è poi un’ulteriore componente sonora, con rumori del tutto inaspettati, in particolare, a detta dello stesso autore, suoni prodotti da delfini e gamberi. Il rimando all’idea di rappresentare la scena come se stessimo guardando dentro ad un acquario era già in parte abbozzata in Stereo, dove l’edificio dell’Accademia Canadese della Ricerca Erotica ben si prestava allo scopo ma, in Crimes of the future, ci sono passaggi più espliciti, in tal senso. 

Anche se le scene in esterni sono più numerose, e quindi questa impressione è più difficile da ricreare, Cronenberg, mostrando paesaggi e ambienti sempre desolatamente deserti, riesce a rendere il concetto che quello in cui ci stiamo movendo è un universo altro, rispetto al nostro. Si può certo intendere questa scelta nell’ottica della fantascienza distopica, che piace all’autore e che tornerà in seguito nella sua carriera; in realtà quello che vediamo in Crimes of the future, come già anche in Stereo, è un primo sguardo sull’universo di Cronenberg. Sempre rispetto al film di esordio può essere utile confrontare la capacità compositiva dell’autore: se in Stereo era uno dei motivi di forza evocativa, in Crimes of the future, risulta forse più funzionale al racconto pur rimanendo comunque in primo piano, in virtù di alcune inquadrature insolite. Come si vede in questo secondo lavoro il regista canadese affina lo stile messo in campo con il suo esordio; un percorso che, su questa strada, secondo lo stesso autore, non avrà però troppe possibilità evolutive. In effetti, rispetto all’opera prima, Crimes of the future presenta già una storia un filo più classica, perlomeno nel suo dipanarsi sullo schermo. 

Manca anche qui una struttura narrativa consueta (ad esempio i dialoghi) per rendere pienamente fruibile il racconto, ma certamente una componente criptica è ricercata come cifra stilistica da parte del regista. E se è vero che spesso il cinema di Cronenberg rimarrà ostico ad un’immediata comprensione, in questi due primi film l’autore non sembra avere piena consapevolezza del dosaggio di questa sua difficile accessibilità. In ogni caso, alcuni aspetti della trama sono interessanti oltre che spiazzanti: nella società di Crimes of the future, un’epidemia, nota come malattia di Rouge, ha eliminato tutte le donne in età post puberale. L’origine di tale epidemia è legata agli studi di Antoine Rouge, un dermatologo che cercava le cure per le patologie sviluppatesi in seguito all’uso smodato dei cosmetici da parte della popolazione femminile. C’è quindi un cortocircuito interessante, in questa prima analisi della sessualità umana da parte di Cronenberg: le donne, diverse per genere sessuale dall’uomo, per enfatizzare artificialmente il dimorfismo (attraverso l’uso dei cosmetici), finiscono per scomparire. 

A quel punto, nel mondo di Crimes of the future, ci sono solo uomini, è svanita la differenza. Quella stessa differenza tra i sessi che si era cercato di aumentare con la scienza, la cultura, l’educazione; concetti che nel film sono sintetizzati dall’uso della cosmetica. Senza più donne, il ruolo femminile, che è naturalmente presente, tende ad emergere in ogni individuo: dallo smalto sulle unghie, all’aspetto effeminato di Tripod (in effetti Mlodzik era un esponente gay piuttosto noto sulla scena cittadina di Toronto), finanche ai rimandi feticisti per rimanere negli ambiti meno estremi. 
Ma ci sono anche piedi palmati che riecheggiano una natura acquatica, e quindi femminile, della specie umana o, al contrario, un inquietante e futuribile individuo in grado di replicare organi interni ed esterni con una sorta di cancro creativo, che può essere inteso come una malata parodia del parto. Il discorso di Cronenberg sembra intendere che la naturale inclinazione a manifestare la parte femminile (ma il discorso potrebbe essere analogo per quella maschile) in ogni individuo della società, uomo o donna che sia, è mortificato dalle normali infrastrutture culturali che indirizzano maschi e femmine su comportamenti più accentuati sui generi di appartenenza. Questo senza negare che ci sia una sostanziale differenza tra le due componenti, quella femminile e quella maschile, che è naturale e non culturale. Perché il confine tra le varie entità è assai labile, come dimostra la disturbante soluzione finale di Crimes of the future. Antoine Rouge, il dermatologo, si era ammalato a sua volta della letale malattia che porta il suo nome; ma Tripod alla fine lo ritrova, reincarnato nel corpo di una bambina. Un uomo nel corpo di una bambina e un individuo dalla sessualità poco definita. 
Gli esperimenti di Cronenberg sono appena cominciati. 



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