406_CRIMES OF THE FUTURE ; Canada, 1970. Regia di David Cronenberg.
L’anno seguente a Stereo,
David Cronenberg gira un film tutto sommato simile, Crimes of the future. E’ un altro film d’avanguardia, assai sperimentale, la cui visione non è certo di
facile approccio. E’ chiaro che, come per il film d’esordio, anche per Crimes of the future i motivi di
interesse sono legati alla carriera successiva del regista canadese, piuttosto
che per motivazioni intrinseche all’opera in sé stessa. Ha quindi un senso
cercare all’interno di Crimes of the
future i germi del cinema di Cronenberg, che sono tanti e ritorneranno per
svilupparsi nel corso della filmografia dell’autore nato a Toronto. Ci sono i
virus, le escrescenze carnali, i mutamenti di genere sessuale, le corporazioni
tra individui che sembrano replicare la struttura di un organismo, insomma Crimes of the future è disseminato di
quelle spore che in seguito germoglieranno nella carriera di Cronenberg. Però
questa sarebbe un po’ l’analisi alle
intenzioni: si cercherebbero cioè, quegli spunti che solo in seguito
diverranno motivi di vero interesse. Tanto vale rimandare il discorso ad
eventuali analisi in proposito di quelle opere che svilupperanno a dovere i
temi in questione e concentrarci, piuttosto, su quanto offre Crimes of the future in modo più
compiuto e autonomo. Anche perché il film è la seconda opera del regista e
quindi è possibile relazionarla con il lungometraggio d’esordio: questo, a differenza
di un confronto con opere future, è utile e coerente, perché Cronenberg, nel
realizzare Crimes of the future ha
ben presente cos’è stato Stereo
mentre non poteva certo avere già in mente tutta quanta la sua filmografia in
divenire.
Anzi, stando alle sue dichiarazioni, al tempo non pensava nemmeno di
dedicarsi al cinema commerciale. Inoltre,
pur se esistono differenze tra le pellicole e può essere interessante andarle a
scoprire, è innegabile che tra loro abbiano molti punti di contatto. C’è anzi
più di un legame, tra Stereo e Crimes of the future, che invita quasi a
considerarle parte di un dittico. Volendo guardare, il primo film si intitola Stereo, a sottolineare una doppia
traccia, magari estendibile anche ad un’interpretazione tra le due pellicole.
La successiva opera fa riferimento a crimini
del futuro, al plurale, forse come fosse possibile includere tra questi gli
esperimenti del dottor Stringfellow alla base del film d’esordio del canadese.
E poi il tema del doppio non solo è uno degli argomenti ricorrenti in
Cronenberg ma, nella sua filmografia, in seguito in modo certamente più consapevole,
tornerà l’idea accoppiare alcune pellicole in un legame particolare, a partire
da Il demone sotto la pelle (1975) e Rabid –Sete di sangue (1977) fino a A history of violence (2005) e La promessa dell’assassino (2007), con
altri esempi che si possono trovare. Comunque, in un confronto tra Stereo e Crimes of the future, la
prima cosa che balza all’occhio è che il secondo è a colori. E’ forse già un
primo indizio di un tentativo, da parte di Cronenberg, di adeguare il suo
cinema alla contemporaneità e quindi renderlo più accessibile. Negli anni 70 la
scelta del bianco e nero era ormai solo un vezzo d’autore.
Il secondo aspetto
che si nota facilmente è l’uso del sonoro: in Stereo era totalmente astratto, con le voci fuoricampo che
descrivevano, almeno in parte, quello che succedeva sullo schermo, ma in modo
molto distaccato e assai indiretto. In Crimes
of the future permaneva il problema della cinepresa Arriflex, piuttosto rumorosa nel filmare, e per evitare che il
sonoro venisse rovinato da questo fastidioso suono, Cronenberg non registra
l’audio, anche in questo caso, in presa diretta. Stavolta però la voce narrante
aggiunta in seguito è quella del protagonista, Adrian Tripod (Ronald Mlodzik); una scelta più convenzionale,
sebbene un certo grado di straniamento permanga, alimentato dal fatto che il
narratore a tratti parli in prima persona e in altri momenti, specialmente nel
proseguo della pellicola, in terza. C’è poi un’ulteriore componente sonora, con rumori del tutto
inaspettati, in particolare, a detta dello stesso autore, suoni prodotti da
delfini e gamberi. Il rimando all’idea di rappresentare la scena come se
stessimo guardando dentro ad un acquario era già in parte abbozzata in Stereo, dove l’edificio dell’Accademia Canadese della Ricerca Erotica
ben si prestava allo scopo ma, in Crimes
of the future, ci sono passaggi più espliciti, in tal senso.
Anche se le
scene in esterni sono più numerose, e quindi questa impressione è più difficile
da ricreare, Cronenberg, mostrando paesaggi e ambienti sempre desolatamente
deserti, riesce a rendere il concetto che quello in cui ci stiamo movendo è un
universo altro, rispetto al nostro.
Si può certo intendere questa scelta nell’ottica della fantascienza distopica,
che piace all’autore e che tornerà in seguito nella sua carriera; in realtà
quello che vediamo in Crimes of the
future, come già anche in Stereo,
è un primo sguardo sull’universo di Cronenberg. Sempre rispetto al film di
esordio può essere utile confrontare la capacità compositiva dell’autore: se in
Stereo era uno dei motivi di forza
evocativa, in Crimes of the future,
risulta forse più funzionale al racconto pur rimanendo comunque in primo piano,
in virtù di alcune inquadrature insolite. Come si vede in questo secondo lavoro
il regista canadese affina lo stile messo in campo con il suo esordio; un
percorso che, su questa strada, secondo lo stesso autore, non avrà però troppe
possibilità evolutive. In effetti, rispetto all’opera prima, Crimes of the future presenta già una
storia un filo più classica, perlomeno nel suo dipanarsi sullo schermo.
Manca
anche qui una struttura narrativa consueta (ad esempio i dialoghi) per rendere
pienamente fruibile il racconto, ma certamente una componente criptica è
ricercata come cifra stilistica da parte del regista. E se è vero che spesso il
cinema di Cronenberg rimarrà ostico ad un’immediata comprensione, in questi due
primi film l’autore non sembra avere piena consapevolezza del dosaggio di questa sua difficile
accessibilità. In ogni caso, alcuni aspetti della trama sono interessanti oltre
che spiazzanti: nella società di Crimes
of the future, un’epidemia, nota come malattia
di Rouge, ha eliminato tutte le donne in età post puberale. L’origine di
tale epidemia è legata agli studi di Antoine Rouge, un dermatologo che cercava
le cure per le patologie sviluppatesi in seguito all’uso smodato dei cosmetici
da parte della popolazione femminile. C’è quindi un cortocircuito interessante,
in questa prima analisi della sessualità umana da parte di Cronenberg: le
donne, diverse per genere sessuale dall’uomo, per enfatizzare artificialmente
il dimorfismo (attraverso l’uso dei cosmetici), finiscono per scomparire.
A
quel punto, nel mondo di Crimes of the
future, ci sono solo uomini, è svanita la differenza. Quella stessa differenza
tra i sessi che si era cercato di aumentare con la scienza, la cultura,
l’educazione; concetti che nel film sono sintetizzati dall’uso della cosmetica.
Senza più donne, il ruolo femminile, che è naturalmente presente, tende ad
emergere in ogni individuo: dallo smalto sulle unghie, all’aspetto effeminato
di Tripod (in effetti Mlodzik era un esponente gay piuttosto noto sulla scena
cittadina di Toronto), finanche ai rimandi feticisti per rimanere negli ambiti
meno estremi.
Ma ci sono anche piedi palmati che riecheggiano una natura
acquatica, e quindi femminile, della specie umana o, al contrario, un inquietante
e futuribile individuo in grado di replicare organi interni ed esterni con una
sorta di cancro creativo, che può essere inteso come una malata parodia del
parto. Il discorso di Cronenberg sembra intendere che la naturale inclinazione
a manifestare la parte femminile (ma il discorso potrebbe essere analogo per
quella maschile) in ogni individuo della società, uomo o donna che sia, è
mortificato dalle normali infrastrutture culturali che indirizzano maschi e
femmine su comportamenti più accentuati sui generi di appartenenza. Questo senza negare che ci sia una sostanziale
differenza tra le due componenti, quella femminile e quella maschile, che è
naturale e non culturale. Perché il confine tra le varie entità è assai labile,
come dimostra la disturbante soluzione finale di Crimes of the future. Antoine Rouge, il dermatologo, si era
ammalato a sua volta della letale malattia che porta il suo nome; ma Tripod alla
fine lo ritrova, reincarnato nel corpo di una bambina. Un uomo nel corpo di una
bambina e un individuo dalla sessualità poco definita.
Gli esperimenti di Cronenberg
sono appena cominciati.
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