399_RAPPORTI PREFABBRICATI (Panelkapcsolat); Ungheria 1982. Regia di Bela Tarr.
Primo film del regista ungherese Béla Tarr girato con attori
professionisti, Rapporti prefabbricati
si presenta, formalmente, come un’opera più canonica e meno sperimentale
rispetto ai precedenti. Il ritorno al bianco e nero, dopo la parentesi del
secondo film L’outsider, sembra
essere anch’essa una scelta autoriale, così come il ricorso a veri attori per
realizzare un’opera meno spontanea e più artificiosa, nel senso di più
cinematografica, e quindi anche più universale. Ora, guardando il suo film, non
lo si ringrazia più per averci fornito un
quadro desolante della realtà ungherese di fine secolo, ma ci si rende
conto che i profondi disagi della famiglia mostrata nella pellicola, non ci
sono poi così alieni. L’opera riprende lo stile documentaristico dei lavori
degli esordi, e insiste nei primissimi piani, nei dialoghi colloquiali, tra un
uomo (Ròbert Koltai) e sua moglie (Judit Pogàny) in apatica e disperata crisi
coniugale. Dopo un incipit sulle case dormitorio, sulle cui finestre si
affacciano volti perlopiù di bambini, il film si apre con la scena di Robert
che arriva a casa per lasciarla definitivamente, mandando nello sconcerto la
moglie. Da qui in poi parte un lungo flashback, che mostra i trascorsi
precedenti al traumatico distacco dell’uomo: la perdurante crisi interna alla
coppia, la donna che si lamenta della condizione di casalinga con due figli,
l’uomo che pensa al football, alla televisione, e soprattutto alla birra.
Certo,
l’ambientazione, lo stile di vita, le ambizioni consumistiche (l’automobile)
sono diverse dalle nostre, anche riferite allo stesso periodo storico, ma
soltanto nella portata: il concetto è lo stesso, si ricerca nei miglioramenti
delle condizioni materiali, una risposta ai problemi di convivenza e sopravvivenza.
E, come da noi, anche nell’Ungheria di Tarr è la donna a soffrire maggiormente
il disagio della coppia, mentre l’uomo per questo problema trova più facilmente
la scappatoia, spesso ammantata anche di buone intenzioni. Come rappresenta la
proposta di lasciare l’intero stipendio raddoppiato alla moglie, a patto di
potersene andare un paio d’anni lontano dalla prigione famigliare. Drammatica,
e anche in questo caso onestamente veritiera anche per i nostri lidi, è poi la
questione legata ai figli, dove i bambini sono visti più che altro come un
impiccio, un impegno troppo gravoso per le misere forze di una coppia di adulti
fondamentalmente immaturi.
A fronte di una situazione tanto disperata, i nostri
cercano, in qualche caso, anche di spassarsela un poco, ad una festa dove si
possa ballare; ma se questo è possibile per l'uomo, anche grazie all’aiuto dell’alcool, la moglie rimane invece in costante stato di insoddisfazione e
sofferenza. Insoddisfazione da parte di lei, mancanza di stimoli da parte di
lui, i due moti arrivano fino al letto coniugale, sancendo la definitiva crisi
anche affettiva della coppia. Si ritorna quindi al punto di partenza, con la
chiusura del flashback, e con Ròbert che rientra a casa per fare la valigia e
andarsene, forse per sempre, forse per quei due anni di lavoro all’estero. Qui
c’è però un passaggio decisivo: perché la scena apparentemente è la stessa, ma
in realtà è differente.
Il che ci pone di fronte ad alcuni dubbi, che
confermano la matrice prettamente cinematografica dell’operato di Tarr in
quest’occasione. Perché girare la stessa scena in modo diverso? Che non sia,
forse, la stessa scena? Che non si tratti, quindi, di un flashback, ma di una
situazione che si ripete nel tempo, a dimostrare, ulteriormente, la mancanza di
via di fuga dalla situazione della coppia? In ogni caso, il finale ci mostra i
due acquistare una lavatrice. Una piccola speranza, un piccolo progresso, un
lieve compromesso: lui è andato all’estero, ma coi soldi, anziché l’auto, hanno
deciso di comprare un elettrodomestico d’aiuto nelle faccende di casa. La
rinuncia all’agognata automobile si deduce dal ritorno a casa a bordo del
cassone del mezzo che consegnerà la lavatrice; unito al ritorno a casa, e
all’acquisto stesso della macchina per lavare, sono il prezzo della pace armata
accettata dalla donna. Ma di sentimenti umani, in quel tragitto sul cassone del
camion, con la coppia chiusa in un severo silenzio, non se ne vedono ancora.
Judit Pogàny
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