397_IL DISORDINE , Italia, Francia; 1962. Regia di Franco Brusati.
L’incipit di Il
disordine di Franco Brusati è sorprendente: arriva un auto in una lussuosa
villa, ne scende Susan Strasberg (Isabella) snella ed elegante; intanto Alida
Valli (madre di Isabella), si agita intorno al letto del marito (nel film Curd
Jürgens). La macchina da presa che segue la ragazza sulla splendida scalinata e
si insinua negli ampi spazi della sontuosa villa, l’efficace bianco e nero
delle immagini: la regia si avverte e sembra preannunciare una storia avvincente,
un classico dramma a tinte forti, visto i primi toni che sembrano accesi sin da
subito. Ma è una clamorosa falsa partenza; il protagonista di questo film non è
il vecchio allettato, e nemmeno la moglie interpretata dalla diva italiana,
come neppure la bella figlia o l’altro figlio, Carlo (Sami Frey). No, il centro
della scena in realtà è vuoto, per così dire, ma ad aggirarsi quasi continuamente
per tutto il film è Mario (Renato Salvadori), inizialmente figura di contorno
(è un semplice cameriere a chiamata),
che si ritaglia, nel corso del lungometraggio, uno spazio che si snoda tra alcune
delle varie storie raccontate da Brusati. Una teoria narrativa piuttosto
curiosa e un po’ caotica, ma d’altra parte il film si intitola Il disordine e a quello, evidentemente,
aspira il regista come idea formale della sua opera. Sotto accusa è il modello
borghese, imperante nella Milano del boom economico, ma il film lascia più che
altro sospesi i suoi motivi di perplessità circa la società italiana. Si diceva
del presunto protagonista: presunto, perché Mario non partecipa a tutte le
varie vicende raccontate; in quel caso, ci sarebbe almeno una sorta di ordine
nella scaletta di Brusati.
Il
protagonista del suo film sarebbe il personaggio comune a tutte le diverse
sottotrame, in alcuni casi in veste di protagonista, in altri di comparsa; ma
non è così. In ossequio al titolo ed, evidentemente, al suo intendimento, il
regista evita una matrice comune per tutti i risvolti dell’opera, per cui anche
il personaggio di Mario, che come si è detto prende spesso il centro della
scena, in alcuni segmenti del lungometraggio rimane estraneo. Ma quello del
protagonista è solo un aspetto, si potrebbe quasi dire un pretesto di analisi,
nel senso che permette di cristallizzare in breve l’impressione scomposta dell’opera
nel suo complesso.
Se era questo quello a cui ambiva Brusati, certamente
c’è riuscito: Il disordine lascia lo
spettatore con una sensazione di spaesamento, di mancanza. E’ mancata la
storia, sono mancati i protagonisti; e quello che succede appare perlopiù fuori
luogo e anche ingiusto, forse anche senza una ragione (che Brusati non si
premura certo di chiarire). E’ un problema se la coppia di giovani
eterosessuali non si ricompone, ma lo fa quella omo? E’ giusto che il prete
dia tutti i soldi alla vecchia madre di Mario, lasciando le altre povere donne
nella miseria? E lo stesso falso prete non sembrava certo un modello di
rettitudine, visto che permetteva la prostituzione nella sua casa: ma quando
vediamo le ruspe abbattergliela, possiamo dirci soddisfatti?
Questi interrogativi lasciati sospesi, se è vero che le domande sono spesso più interessanti delle risposte, sono una testimonianza del valore de Il disordine.
Questi interrogativi lasciati sospesi, se è vero che le domande sono spesso più interessanti delle risposte, sono una testimonianza del valore de Il disordine.
Alida Valli
Susan Strasberg
Antonella Lualdi
Nessun commento:
Posta un commento