398_AGORA (Ágora), Spagna; 2009. Regia di Alejandro Amenábar.
Film storico di produzione spagnola, Agora si presenta con una maestosità delle scene che non ha nulla
da invidiare ad un prodotto hollywoodiano.
E, se vogliamo, di un certo modo americano, anzi all’americana, di raccontare le storie presenta anche molte
caratteristiche. Non che sia un grosso difetto, per carità, però romanzare
eccessivamente i fatti storici nuoce sempre alla credibilità dell’operazione
complessiva. Per intenderci: Agora è
un buon film, appassionante, divertente, che fornisce anche qualche spunto di
riflessione, senza dubbio. Viene però da chiedersi: se questi spunti fossero
davvero validi, serviva davvero l’appoggio
di una vicenda storica che poi non viene rispettata già per ammissione dello
stesso autore tramite le didascalie? Sia come sia, Agora è ambientato ad Alessandria nel 400 dopo Cristo, ed è
incentrato sulla vita di Ipazia (Rachel Weisz), filosofa dedita agli studi
sull’astronomia e la matematica. Che una donna possedesse un simile prestigio
scientifico in epoca tanto remota, è già un fatto su cui riflettere; così come
è un elemento da considerare che, ad ucciderla con l’accusa di stregoneria,
siano stati i parabolani, una setta
di monaci cristiani. Quanto al resto, le lotte di potere tra il prefetto Oreste
(Oscar Isaac) ed il vescovo Cirillo (Sammy Damir), gli scontri tra i cristiani,
ebrei e pagani, e la presenza di schiavi come Davo (Max Minghella), sono tutti
elementi interessanti di una società, quella alessandrina del tempo, con
rimandi o echi addirittura nella nostra contemporaneità. Episodi storici come
la presa della Biblioteca di Alessandria da parte dei cristiani, che ne
distrussero i numerosi testi è un altro elemento di forte impatto narrativo ma
anche simbolico.
E, come detto, l’uccisione di Ipazia per mano cristiana, è
motivo di riflessione che non passa certo inosservato. Con tutta questa carne
al fuoco, il regista Alejandro Amenábar inserisce ulteriormente alcuni elementi
di fantasia, che lasciano certamente perplessi. Non certo le trame sentimentali
e i vari risvolti, utili allo scorrimento del testo, ma aspetti tecnici come
deduzioni scientifiche ed astronomiche attribuite ad Ipazia che sembrano
davvero azzardate, almeno allo spettatore comune. Ha senso ipotizzare che la
filosofa possa aver avuto intuizioni in quell’ambito con un migliaio di anni di
anticipo su scienziati che furono già a loro volta dei precursori secoli dopo?
Certamente tutto è possibile, specie agli occhi dello spettatore ignorante, ma
l’impressione è che in questo modo si svilisca l’importanza delle cose
concrete, reali, credibili: Ipazia, personaggio storico la cui fama è giunta
fino a noi dal 400 d.C., ha evidentemente fatto cose clamorose e storicamente
documentate, che ne giustificano la eccezionale notorietà. In un contesto di
ricostruzione storica, attribuirle scoperte di cui non si ha riscontro, solo
per aumentarne il fascino in modo sensazionalistico, ottiene l’effetto
contrario.
Ma questo non fa che confermare, in fondo, quello che era
un’impressione avvertibile guardando già i primi minuti di Agora che, sul momento, si poteva intimamente chetare pensandosi in
errore. Perché il film di Amenábar ricorda quei fantasy, come certi episodi di Star
Wars, che traggono a loro volta ispirazione dalle ambientazioni storico/mitologiche.
Forse non è la radice comune a farceli sembrare simili e inducendoci in errore:
è proprio vero che il riferimento di Agora
è il fantasy, e quindi il richiamo
alla Storia passi solo attraverso quel genere
fantastico. In questo senso le stralunate
scelte narrative di Amenábar sono giustificabili, e ben si prestano ad una
associazione con le immagini che inquadrano la Terra da altezze satellitari, o i paragoni
metaforici con le operose formiche. Ma forse la scena chiave è quella che
avviene nella biblioteca, con l’immagine che Amenábar ribalta sottosopra, per
mostrarci un mondo che va alla rovescia se la religione che insegna la pace
distrugge la cultura. O, anche, se nemmeno i film storici sono attendibili
storicamente.
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