135_UNA CALIBRO 20 PER LO SPECIALISTA (Thunderbolt and Lightfoot). Stati Uniti, 1974; Regia di Michael Cimino
Il regista Michael Cimino è un esordiente dietro la macchina
da presa e la cosa va tenuta presente, nella valutazione di questa Una calibro 20 per lo specialista, per
fare almeno due considerazioni.
La prima, quella che salta all’occhio sin dalla sequenza iniziale, è la straordinaria capacità della messa in scena del regista
americano. C’è Clint Eastwood, quello dell’ispettore Callaghan o dei film
western di Sergio Leone, travestito da prete, quasi irriconoscibile; poi arriva
il giovanissimo Jeff Bridges, che dimostra di avere la stoffa del grande
attore: la storia raccontata da Cimino se li trascina via veloce, e noi con
loro. Ecco, questa capacità narrativa, soprattutto la sua resa sullo schermo, è
notevole per un esordiente; e notevole è anche il modo in cui Cimino gestisce un attore già
famoso come Clint Eastwood, che tra l’altro figura tra i produttori dell’opera.
L’altro lato della medaglia dell’inesperienza di Cimino si manifesta in alcuni passaggi un po’ approssimativi della vicenda, che forse soffre
la riduzione da soggetto a opera cinematografica. Rimangono così alcuni punti
un po’ oscuri, qualche personaggio abbozzato e poi abbandonato, ma niente che
possa guastare la visione del film nel suo complesso.
In ogni caso, l’opera, nel suo insieme, non ha mai la pretesa di essere
perfetta, dal punto di vista della confezione. Tutt’altro. Ci sono molti
passaggi che, quasi certamente in modo consapevole da parte del regista,
lasciano senza parole: si pensi all’incontro con il tizio che ha i conigli
bianchi nel baule dell’auto. E’ solo uno dei tanti passaggi un po’ casuali che
dominano la vicenda, che del resto si chiude con il ritrovamento fortuito
dell’agognato tesoro.
Così com’è casuale lo starnuto del Rosso che,
unito al lembo della camicia rimasto anch’esso accidentalmente fuori dal baule,
manda all’aria il piano congeniato e studiato al secondo per rapinare la banca.
Il fato, il destino, è quindi il vero protagonista del film, e i personaggi si muovono
nella pellicola senza una direzione precisa, ma condotti dalle circostanze.
Caribù (Jeff Bridges), personaggio di punta del film, è un giovane sbandato alla
ricerca di amicizia, e la trova nell’Artigliere (Clint Eastwood). Il quale è in
fuga perché sospettato dai suoi complici di rapina di averli traditi. Tra
questi c’è il Rosso (George Kennedy), un bruto in cerca di vendetta; contro
l’Artigliere, certo, ma anche contro chiunque gli si pari di fronte. Per finire
c’è Goody (Geoffrey Lewis), più che buono,
come vorrebbe il nomignolo, è l’anello debole del gruppo. I quattro non sono
certo una squadra unita, anzi; l’unico rapporto sincero è quello tra Caribù e
l’Artigliere. Anche se il primo ha stima e amicizia per il secondo, mentre quest’ultimo sembra più che altro provare un senso di paterna protezione,
doverosa più che sentita. Il Rosso è invece palesemente ostile ai suoi compagni di
ventura: ostilità di maniera nei confronti dell’Artigliere, con il quale
condivide il passato, ma aperta e sincera nei confronti del giovane Caribù. Peraltro, i maltrattamenti che riserva a Goody sono probabilmente più una sorta di valvola
di sfogo che vera cattiveria. In ogni caso non è nello sviluppo dei rapporti e
delle personalità che il film compie la sua strada: il senso di vagabondaggio
sia fisico che morale, domina i personaggi, ai quali chiedere un qualunque
percorso di crescita sarebbe vano.
Il senso di spaesamento è il lascito di questa
pellicola, con la star Clint Eastwood incapace di catalizzare su di sé
l’umore finale, che è tutto nella desolante fine di Jeff Bridges/Caribù, morente in seguito ai colpi ricevuti dal Rosso, senza un reale motivo, a bordo dell'agognata Cadillac convertibile bianca. Eastwood ormai è il mito, il
modello: ma per chi arriva adesso alla ribalta, non sembra essere così semplice
seguirne le orme, sembra quindi dirci l’esordiente Cimino. Il suo alter ego, l’altrettanto
novizio Caribù, finge, all’inizio del film, di essere zoppo; l’Artigliere ha
invece davvero una gamba artificiale. C’è quindi un legame tra
i due, con il primo che, metaforicamente, imita
il secondo, quasi fosse il suo punto di riferimento. Questa sorta di legame tornerà nel finale, virato in
chiave negativa, quando la ferita mortale paralizzerà metà del corpo Caribù: un
Destino segnato ma avverso, e non basterà fare la propria parte al minuto
secondo.
Catherine Bach
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