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lunedì 23 aprile 2018

UNA CALIBRO 20 PER LO SPECIALISTA

135_UNA CALIBRO 20 PER LO SPECIALISTA (Thunderbolt and Lightfoot). Stati Uniti, 1974;  Regia di Michael Cimino

Il regista Michael Cimino è un esordiente dietro la macchina da presa e la cosa va tenuta presente, nella valutazione di questa Una calibro 20 per lo specialista, per fare almeno due considerazioni.
La prima, quella che salta all’occhio sin dalla sequenza iniziale, è la straordinaria capacità della messa in scena del regista americano. C’è Clint Eastwood, quello dell’ispettore Callaghan o dei film western di Sergio Leone, travestito da prete, quasi irriconoscibile; poi arriva il giovanissimo Jeff Bridges, che dimostra di avere la stoffa del grande attore: la storia raccontata da Cimino se li trascina via veloce, e noi con loro. Ecco, questa capacità narrativa, soprattutto la sua resa sullo schermo, è notevole per un esordiente; e notevole è anche il modo in cui Cimino gestisce un attore già famoso come Clint Eastwood, che tra l’altro figura tra i produttori dell’opera.
L’altro lato della medaglia dell’inesperienza di Cimino si manifesta in alcuni passaggi un po’ approssimativi della vicenda, che forse soffre la riduzione da soggetto a opera cinematografica. Rimangono così alcuni punti un po’ oscuri, qualche personaggio abbozzato e poi abbandonato, ma niente che possa guastare la visione del film nel suo complesso.
In ogni caso, l’opera, nel suo insieme, non ha mai la pretesa di essere perfetta, dal punto di vista della confezione. Tutt’altro. Ci sono molti passaggi che, quasi certamente in modo consapevole da parte del regista, lasciano senza parole: si pensi all’incontro con il tizio che ha i conigli bianchi nel baule dell’auto. E’ solo uno dei tanti passaggi un po’ casuali che dominano la vicenda, che del resto si chiude con il ritrovamento fortuito dell’agognato tesoro.

Così com’è casuale lo starnuto del Rosso che, unito al lembo della camicia rimasto anch’esso accidentalmente fuori dal baule, manda all’aria il piano congeniato e studiato al secondo per rapinare la banca. Il fato, il destino, è quindi il vero protagonista del film, e i personaggi si muovono nella pellicola senza una direzione precisa, ma condotti dalle circostanze. Caribù (Jeff Bridges), personaggio di punta del film, è un giovane sbandato alla ricerca di amicizia, e la trova nell’Artigliere (Clint Eastwood). Il quale è in fuga perché sospettato dai suoi complici di rapina di averli traditi. Tra questi c’è il Rosso (George Kennedy), un bruto in cerca di vendetta; contro l’Artigliere, certo, ma anche contro chiunque gli si pari di fronte. Per finire c’è Goody (Geoffrey Lewis), più che buono, come vorrebbe il nomignolo, è l’anello debole del gruppo. I quattro non sono certo una squadra unita, anzi; l’unico rapporto sincero è quello tra Caribù e l’Artigliere. Anche se il primo ha stima e amicizia per il secondo, mentre quest’ultimo sembra più che altro provare un senso di paterna protezione, doverosa più che sentita. Il Rosso è invece palesemente ostile ai suoi compagni di ventura: ostilità di maniera nei confronti dell’Artigliere, con il quale condivide il passato, ma aperta e sincera nei confronti del giovane Caribù. Peraltro, i maltrattamenti che riserva a Goody sono probabilmente più una sorta di valvola di sfogo che vera cattiveria. In ogni caso non è nello sviluppo dei rapporti e delle personalità che il film compie la sua strada: il senso di vagabondaggio sia fisico che morale, domina i personaggi, ai quali chiedere un qualunque percorso di crescita sarebbe vano.
Il senso di spaesamento è il lascito di questa pellicola, con la star Clint Eastwood  incapace di catalizzare su di sé l’umore finale, che è tutto nella desolante fine di Jeff Bridges/Caribù, morente in seguito ai colpi ricevuti dal Rosso, senza un reale motivo, a bordo dell'agognata Cadillac convertibile bianca. Eastwood ormai è il mito, il modello: ma per chi arriva adesso alla ribalta, non sembra essere così semplice seguirne le orme, sembra quindi dirci l’esordiente Cimino. Il suo alter ego, l’altrettanto novizio Caribù, finge, all’inizio del film, di essere zoppo; l’Artigliere ha invece davvero una gamba artificiale. C’è quindi un legame tra i due, con il primo che, metaforicamente, imita il secondo, quasi fosse il suo punto di riferimento. Questa sorta di legame tornerà nel finale, virato in chiave negativa, quando la ferita mortale paralizzerà metà del corpo Caribù: un Destino segnato ma avverso, e non basterà fare la propria parte al minuto secondo.





Catherine Bach








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