1667_VARTA 1, LVIV, UKRAINE , Ucraina, 2015. Regia di Yuri Hrytsyna
Euromaidan,
sia che lo si intenda come rivoluzione, sia che lo si intenda come colpo di
stato orchestrato dall’occidente, si chiudeva ponendo le classiche domande che
sorgono nel momento postrivoluzionario: con che criterio si riorganizza il
potere? Chi si assume le responsabilità di governo? Come si costruisce una
democrazia? Chi controlla i reati e le violazioni? Chi stabilisce le punizioni?
Pochi giorni prima, in quei nevralgici frangenti in cui la protesta sembrava
sul punto di essere sedata nel sangue e, al contrario, il potere costituito
implose, si decise il destino del Paese. Alcuni passaggi cruciali avvennero a
Leopoli, con i membri dell’Automaidan [Movimento socio-politico ucraino nato sulla
scia di Euromaidan e che prevedeva l’utilizzo di veicoli a motore come mezzo di
protesta] particolarmente attivi e la faccenda dell’occupazione dei posti di
polizia da parte di alcuni individui che sequestrarono le armi delle caserme.
Chi erano i protagonisti di quest’ultima azione? Non è una domanda secondaria,
perché se a prendere le armi della polizia furono i manifestanti in forma
organizzata, allora prenderebbe corpo l’idea che Euromaidan sia stato un colpo
di stato più che una rivoluzione. Certo è che, storicamente, quando avviene un
colpo di stato, chi lo imbastisce sa bene cosa fare prima, durante e,
soprattutto, dopo, ovvero come riorganizzare il potere. Non a caso, ad
occuparsi di queste operazioni in genere sono i militari, che
dell’organizzazione e dell’efficienza derivante dalla disciplina hanno il
tratto distintivo. Cosa avvenne, quindi, a Leopoli, da qualche parte definita il «Piemonte Ucraino»
proprio per la sua importanza nella svolta indipendentista del Paese
dall’ingombrante influenza russa? Il regista ucraino Yuri Hrytsyna ha
realizzato un film sperimentale, originalissimo e di fondamentale importanza
per fare un po’ di chiarezza in questo ambito. Ha raccolto le conversazioni sul
canale radio Zello [Zello è una sorta di Walkie-Talkie; nello specifico una
piattaforma di comunicazione vocale push-to-talk in tempo reale che trasforma
qualsiasi dispositivo intelligente in una radio digitale ricetrasmittente.] che
avvennero in quei giorni –compresi tra il crollo del vecchio regime e
l’istaurazione ufficiale di un nuovo governo– tra gli attivisti di Automaidan a
Leopoli. Il vuoto di potere è il momento decisivo e le comunicazioni radio Zello
erano concepite per essere temporanee e non lasciare traccia; in questo senso possono
essere illuminanti, poiché nelle parole degli attivisti non c’è il timore che,
in un secondo tempo, qualcuno possa andare ad indagare su questa o quella
affermazione. In effetti, guardando il film di Hrytsyna, Varta1,
Lviv, Ukraine, non si ha l’impressione di una regia dietro i commenti
degli attivisti che passano parte del tempo a discutere quale sia il loro ruolo
nella gestione della sicurezza della città. Se l’idea principale è quella di
bloccare i teppisti e i saccheggiatori, ci sono quelli che si spingono più in
là, prendendo di mira anche i vagabondi ubriachi. Di contro, c’è chi fa notare
che ubriacarsi alla domenica è una libertà che deve essere concessa, a maggior
ragione dopo l’Euromaidan. La polemica spesso verte proprio su questo: si è
battagliato in piazza per una maggior libertà e difesa dei diritti umani e ora si
cerca di privare la popolazione di queste conquiste con la scusa della
sicurezza. Insomma, se si tratta di colpo di stato, non si può certo dire che
sia stato pianificato con cura; più attendibile la ricostruzione che Euromaidan
sia una protesta che poi ha preso la mano, forse più al regime che ai
manifestanti, e ha ottenuto il risultato di una rivoluzione. Meglio, per capire
queste dinamiche e, anche, per comprendere come Hrytsyna abbia organizzato il
suo particolare film, lasciare spazio alle parole dello stesso regista che, per
cominciare, inquadra cronologicamente la sua opera: “il 18 febbraio 2014, la
polizia attaccò una marcia di protesta su larga scala a Kiyv. Ci fu un vero e
proprio bagno di sangue nel distretto governativo e tutti avevano l’impressione
che la fine della rivolta fosse solo questione di un paio di giorni. Non c’era
un piano generale, l’opposizione era totalmente confusa. Nella città di
Leopoli, gruppi di persone iniziarono a riunirsi, senza un coordinamento
evidente. Prima di allora, gli attivisti avevano bloccato le uscite delle unità
militari dove si trovava la polizia antisommossa. Ma, a quel punto, persone
completamente diverse iniziarono ad arrivare alle unità militari e,
improvvisamente, le occuparono. Anche l’ufficio del procuratore e diversi
dipartimenti di polizia furono occupati. Qualcuno sequestrò le armi mentre l’ufficio
del procuratore era impegnato a bruciare documenti. E nessuno può in realtà
dire chi stesse facendo tutto questo, e qual era lo scopo di tutto questo, a
parte, forse, mostrare al governo centrale che la città era fuori dal loro
controllo”. [Intervista di Oleksiy Radynski a Yuri Hrytsyna, dal sito e-flux,
pagina web https://www.e-flux.com/film/335633/varta1-lviv-ukraine/, visitata
l’ultima volta il 21 dicembre 2024]. Il 20 febbraio la situazione a Kyiv precipitò,
ci furono più di cento morti, e, in seguito, l’allora presidente Janukovyč fu accusato di aver
dato ordine alle milizie governative di sparare sulla folla. Va ricordato che Janukovyč
ha più volte rigettato questa accusa, ma, in ogni caso, l’impressione era che
le proteste avessero vita breve, a fronte di una simile brutalità della Berkut e
delle forze di polizia in genere. Il giorno successivo si intavolarono
trattative tra il governo e le opposizioni, che ottennero significativi
risultati, tra cui la sospensione del ministro dell’interno Vitalij Zacharčenko e la liberazione di Julija Tymošenko, storica leader del partito filoeuropeo
Patria. La frangia estremista dei manifestanti, in particolare il Pravyj Sektor, criticò aspramente questi
accordi reclamando le dimissioni di Janukovyč, minacciando, in caso contrario, di continuare
attivamente con le proteste. Un po’ a sorpresa, nella notte tra il 21 e il 22
febbraio il presidente abbandonò Kyiv in areo, arrivando a Charkiv, dove riuscì
a dileguarsi per riparare quindi in Russia. Questo breve riassunto è importante
per collocare l’ascolto delle conversazioni radio degli attivisti di Varta1, questo
il nome del canale online Zello utilizzato dai membri di Automaidan, che
costituisce il punto di interesse del film di Hrytsyna. In quegli attimi
cruciali, gli attivisti non sembrano affatto organizzati, tutt’altro; e viene
davvero difficile pensare che abbiano imbastito un colpo di stato con un simile
livello di improvvisazione. Molto interessante, per capire le dinamiche che
diedero come risultato lo sviluppo di Euromaiden, un passaggio della citata
intervista, a cominciare dalla domanda dell’acuto giornalista del sito e-flux
Oleksiy Radynski: “Uno dei partecipanti a Varta1 [Il canale radio Zello
utilizzato dagli attivisti di Automaidan] nel tuo film menziona l’ascolto sui
canali online di anti-Maidan [Movimento filogovernativo sorto in risposta ad
Euromaidam]. E diventa chiaro che anche i partecipanti all’anti-Maidan stessero
ascoltando il canale Varta1 e traendo le proprie conclusioni. C’è l’idea che la
guerra in Ucraina sia stata in larga misura determinata dalle tecnologie di
comunicazione digitale o dall’incapacità di controllare gli effetti del loro
utilizzo? Di sicuro, alcuni esperimenti sono stati messi in scena; qualcuno
potrebbe aver pensato di poter modellare e controllare la situazione, o creare
un certo scenario di eventi. E ognuno di questi scenari è crollato uno dopo l’altro,
poiché l’effetto della mobilitazione sui social media è stato quasi sempre
completamente diverso da quello che ci si aspettava. Cosa ne pensi del ruolo
della radio online Zello in questa situazione?” Prima di passare alla risposta
di Hrytsyna, va sottolineata la perspicace osservazione sul ruolo dei social
network nell’alimentare fenomeni –anche politici, come in questo caso– che poi
non sono governabili o indirizzabili con certezza. Questa la risposta del
regista a proposito del sistema Zello e del suo uso durante Automaidan: “Zello
è una tecnologia senza memoria, programmata per reazioni immediate e per una
presenza costante. È impossibile riavvolgere ciò che si sente su Zello, per
poterlo analizzare in qualche modo. È una grande fonte di escalation emotiva,
perché le informazioni false che sono state annunciate un’ora fa, e poi
confutate, rimangono nella memoria emotiva di coloro che ne sono entrati in
contatto. Tutti avevano uno Zello in questi giorni. C’erano anche molti canali
anti-Maidan nel Donbas. Tutti ascoltavano tutti e cercavano di infiltrarsi nei
canali degli altri per compiere atti di sabotaggio e così via. Tutte le
conversazioni sono state registrate, poi sono state pubblicate con alcune
modifiche per dimostrare un certo punto. Molte fonti mediatiche sono state
utilizzate nel Donbas durante la diffusione del panico. Zello, infatti, era uno
strumento per diffondere voci, piuttosto che uno strumento per un vero
coordinamento immediato: era davvero difficile arrivare sui canali dove stava
accadendo la vera azione”. [Ibidem] Il lavoro di Hrytsyna per realizzare il suo
film è stato quello di recuperare le registrazioni delle conversazioni dagli
archivi prima che venissero distrutte, disinnescando, in un certo senso, il
principio base di funzionamento del sistema Zello che, per sua natura, non
prevede una catalogazione. Per far questo, il regista ha, di fatto, manipolato
questi documenti, come lui stesso ammette: “In una certa misura, si tratta di
manipolazione, anche se mi sono avvicinato al materiale con molta attenzione,
cercando di attenermi al suo contesto. Ho creato i dialoghi che volevo sentire
nella realtà. Mi sembrava che, se questi dialoghi avessero ricevuto più
attenzione all’epoca, il corso degli eventi avrebbe potuto essere diverso”.
[Ibidem]. Si tratta di un approccio onesto e legittimo, essendo Varta1,
Lviv, Ukraine cinema e quindi frutto dell’intelligenza, della creatività e
della sensibilità di Hrytsyna. Può essere, quindi, che alcuni accostamenti
vogliano sottolineare qualcosa, e quel qualcosa sia più nelle corde del regista
che nella semplice documentazione della realtà; questo non implica che sia più
o meno vero, perché siamo di fronte ad un’arte, come è il cinema, che richiede
sempre allo spettatore uno sforzo per distinguere ciò in cui credere e ciò in
cui non credere. Ad esempio, ad un certo punto gli attivisti menzionano un
blocco dei treni merci di Rinat Akhmetov [Oligarca ucraino al tempo filogovernativo],
che viene presto soppiantato, come argomento, dalla ricerca di una fantomatica
Porsche Cayenne nera, rea di una serie di infrazioni che non sembrano così
cruciali. Fu un’azione fatta deliberatamente per distrarre l’attenzione da un
argomento «scomodo»? Ricordando, in questo senso, come l’oligarca in questione sia
poi rimasto uno degli uomini più influenti del Paese, rinnegando il suo
appoggio a Janukovyč.
A parole, Hrytsyna, getta però acqua sul fuoco: “Il blocco dei treni è stato un
passo molto avanzato. Forse, è stato il gesto più politico a Leopoli in quei
giorni. Ma non ne sono rimaste menzioni ufficiali, come nel caso della maggior
parte degli eventi che si sono svolti a Leopoli all’epoca. Tutti sentivano che
bisognava fare qualcosa, ma nessuno aveva idea di cosa esattamente.
Quindi ognuno cercava di coprire il proprio settore della realtà, qualsiasi cosa potesse raggiungere. Sono sicuro che le persone che inseguivano la Porsche Cayenne nera pensavano che fosse arrivato il momento più importante della loro vita”. [Ibidem]. Tuttavia, il regista è consapevole che quei giorni, a Leopoli, furono decisivi, in particolare gli eventi legati all’occupazione dei posti di polizia e al sequestro delle armi. “È molto più difficile parlare degli eventi di Leopoli. Ciò che ne rimane sono queste conversazioni radiofoniche, ma praticamente nessun video o ricordo. Non c’è alcun tipo di storia orale. Non ci sono risultati ufficiali delle indagini. Anche se, ai miei occhi, questo sequestro delle armi a Leopoli è stato un evento centrale della rivoluzione. I filorussi in Crimea e nel Donbas vi facevano costantemente riferimento per giustificare le loro azioni. Ci sono un sacco di teorie del complotto su di esso, ma nessuna ricostruzione adeguata, nessuna comprensione nemmeno della sua necessità. La questione delle armi sequestrate è cruciale. Dove sono finite? Le pattuglie non hanno trovato una sola arma da fuoco in quei primi giorni. Alla fine, nel corso del 2014, molte delle armi scomparse quella notte sono state restituite alla polizia in forma anonima. Le armi sequestrate hanno avuto un ruolo da qualche parte? Sono stati usate ad un certo punto? Non credo. Ma l’idea stessa delle armi nelle mani di alcune persone aveva messo in moto una catena di eventi. All’improvviso tutti avevano una scusa”. [Ibidem]. Per completare l’analisi del film, che è certamente più interessante che bello da un punto di vista classico del termine, manca da affrontarne l’aspetto visivo, costituito da una serie di immagini quasi astratte della desolata periferia post sovietica di Leopoli. Con il solito acume, il giornalista di e-flux Radynski osserva come l’Unione Sovietica abbia intriso i propri territori di una tale quantità della propria filosofia in ogni possibile ambito –culturale, urbanistico, architettonico, eccetera, eccetera– da rendere queste lande indigeste per qualunque forma di capitalismo. Commento interessante, allo scopo di cogliere lo spirito dei luoghi ripresi, a cui si può aggiungere la replica di Hrytsyna: “I paesaggi di Varta1, Lviv, Ukraine, sono spazi praticamente anonimi, potrebbero essere girati nella maggior parte delle città post-sovietiche. Il film elude il centro della città, qualcosa che in realtà si pensa sia la città di Leopoli. Ma la mia memoria di questa città è costruita in modo tale che le mie emozioni siano collegate a questi spazi”. [Ibidem]. Ultimo dettaglio a proposito del film, la motivazione del regista a proposito della scelta di Varta1, Lviv, Ukraine come titolo del documentario: “Questo titolo è un tentativo di localizzazione molto precisa e sottolinea anche che il film parla di tre fenomeni. Si tratta di attivisti spontanei in tempi di rivoluzione. Si tratta di Leopoli come città alla periferia di questa rivoluzione ma che è, allo stesso tempo, una città che è in qualche modo centrale nell’immaginario collettivo ucraino. Ed è un film sull’Ucraina, poiché i conflitti e le discussioni che traspaiono nel film sono sempre stati decisivi per questo paese, e sempre lo saranno. Volevo fare un film su un evento molto specifico e allo stesso tempo una dichiarazione sulle tendenze della Storia ucraina”. [Ibidem]. E si può dire con certezza che c’è riuscito.
LA STUDENTESSA E L'ORSO è uno studio sulla guerra russo-ucraina attraverso il cinema.
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