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lunedì 19 maggio 2025

100% OFF

1670_100% OFF, Ucraina, 2023. Regia di Sashko Protyah

Dal punto di vista formale, il mediometraggio 100% Off di Sashko Protyah, composto da filmati di differenti formati e integrato dai disegni animati di Natasha Tzeliuba, più che sperimentale, si potrebbe definire «sfidante». Una sfida, quella dei due cineasti ucraini che fanno parte del collettivo Freefilmers, non solo formale ma radicale, sia nell’aspetto del film che nel suo opporsi concettualmente tanto all’oppressione russa che al sistema capitalistico a cui ha aderito l’Ucraina. Il tema, intorno al quale ruotano le immagini, i dialoghi e le affascinanti animazioni, sono i saccheggi avvenuti a Mariupol' nella primavera del 2022, quando la città portuale fu costantemente sottoposta a bombardamenti. Certamente quello dei saccheggi, delle ruberie e delle vili speculazioni è un fenomeno che, in questi casi, affligge puntualmente i luoghi già colpiti da queste tragedie. È successo a Mariupol', è successo in altre mille città bombardate dalla guerra, ed è successo perfino dove sono i terremoti o altre calamità naturali a portare distruzione. Non è, però, tanto l’inclinazione dell’uomo a dare il peggio di sé quando le circostanze sono pessime ad interessare gli autori del film. Anche perché questa tendenza è bilanciata, e lo abbiamo visto proprio nell’altro lavoro di Protyach, My favorite job, da una forza uguale e contraria, ovvero quella di coloro si prodigano per aiutare il prossimo in queste situazioni. Ci sono un paio di passaggi che è utile citare per cogliere, probabilmente, il vero senso di 100% Off: il più esplicito è quello che chiude il film, interamente illustrato dai poetici disegni di Tzeliuba, nel quale si racconta come Kiusha, con il compagno e il cane, si avventurino nella città in macerie alla ricerca di latte per i bambini. C’è da aver paura, visto il contesto, ma in tre si possono fare almeno un po’ di coraggio l’un l’altra. Di latte non se ne trova ma, ad un certo punto, accanto ad un carro armato in fiamme, scorgono una stazione di servizio distrutta dal bombardamento. Tra gli scaffali rovesciati e in rovina, Kiusha riesce a trovare intatta una bottiglia di liquido infiammabile per caminetti, che andrà bene per accendere il fuoco, dal momento che la legna che hanno è tutta bagnata. È anche questo un saccheggio, sembra provocatoriamente chiedere nella sua chiusa Protyah? Formalmente sì, che si può dire. Eppure è chiaro che, a fronte di una tragedia immane –un numero incalcolabile di vittime, di traumi, di dolore, di sofferenza– voluta e ottenuta scientemente, il recupero –si può davvero parlare di saccheggio? seriamente?– di una bottiglia di alcool può avere una qualche –anche concettuale, simbolica, quel che si vuole– rilevanza? Ma, qui –adesso qui sì– entra in gioco il punto di vista morale della questione: se saccheggiare, in taluni casi, è tollerabile, chi stabilisce quali siano questi casi? Una guerra? Una carestia? La sopravvivenza? E che tipo, che livello, di sopravvivenza? È qui che i contorni si fanno sfumati e le regole del sistema capitalistico vanno in crisi. Ma c’è un altro momento, forse ancora più consono, per cogliere il nocciolo della questione. Ad un certo punto, scherzando, in un dialogo, si osserva come, per sopravvivere alla guerra, sia necessario vivere in una zona dove ci siano parecchi supermarket. Da notare anche il successivo riferimento all’«algoritmo» che, nella logica della battuta, avrebbe generato questa conclusione. L’algoritmo è forse il più grande totem della società capitalistica attuale, un concetto o riferimento che giustifica le peggiori nefandezze in virtù di una presunta scientificità che ne santifichi i presupposti. La realtà è che non serve l’algoritmo fittizio di 100% Off e nemmeno serve vivere in una città bombardata, per comprendere come la logica capitalistica sia contraria alla sopravvivenza di ciascuno, a meno che non risponda al profilo del consumatore ideale. In genere, nella mia attività di scrittura, non faccio riferimenti personali ma, per una simile occasione, farò un’eccezione. Vivo in Italia, in una cittadina perfettamente servita di ogni genere di servizio e infrastrutture; se non che, io personalmente abito in una frazione lievemente periferica. Particolare irrilevante se hai la patente, l’auto o, volendo anche la bicicletta. Ma una mia vicina di casa è sola, se non per il suo cagnolino e, forse mi è venuta in mente proprio guardando Kiusha camminare col suo cane. In ogni caso, la mia vicina è una donna anziana, non guida, non ha l’auto, non ha la bicicletta, né può andarci, vista l’età e la pericolosità delle strade. Nella mia frazione c’è una chiesa, memoria di un tempo in cui il Bettolino era una comunità, piccola ma con tutti i servizi necessari e indispensabili a ciascuno, a portata di cammino. Oggi è rimasto un panetterie, tre ristoranti –che in Italia non si morirà mai di fame– il British college e due saloni di parrucchiere. Non c’è una farmacia, un fruttivendolo, un’edicola, un macellaio; certo, a cinque minuti d’auto sono raggiungibili numerosi supermercati e centri commerciali, con buona pace della mia vicina e del suo cagnolino che, finché ne hanno la forza, vanno in giro a piedi. Parafrasando il buon vecchio Bogey ne L’ultima minaccia: «È la libertà, bellezza!». Almeno quella in chiave capitalista.

LA STUDENTESSA E L'ORSO è uno studio sulla guerra russo-ucraina attraverso il cinema. 


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