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venerdì 9 maggio 2025

IL SASSO IN BOCCA

1665_IL SASSO IN BOCCA . Italia, 1969. Regia di Giuseppe Ferrara

L’esordio in regia di Giuseppe Ferrara è un sorprendente ibrido tra il documentario –le scene di repertorio, la voce narrante– e il cinema di finzione –le ricostruzioni degli avvenimenti con attori– che, per autorevolezza, lascia a bocca aperta. Ferrara, del resto, è sicuro di sé e delle sue idee e il suo cinema non semina dubbi ma spara certezze a raffica, e, in questo suo procedere «a tesi» c’è il limite del regista toscano. L’argomento del film è la mafia, come si potrebbe capire dal titolo – che fa riferimento dall’uso di Cosa Nostra di infilare una pietra in bocca ai cadaveri di chi avesse parlato troppo – e, se fa piacere vedere un giovane autore affrontare a muso duro tale argomento, forse qualche semplificazione nello spiegare il fenomeno pare eccessiva. Ferrara è politicamente di Sinistra e il suo associare la Mafia al Capitalismo è certamente lecito, come tutte le opinioni, ma, per essere credibile, andrebbe motivato un po’ più a fondo. Che gli americani, durante la Seconda Guerra Mondiale, abbiano agevolato i mafiosi per poter meglio controllare la Sicilia, isola su cui prevedevano di sbarcare, è storia nota, e probabilmente si trattò di una scelta di comodo. Ferrara cerca ancora più indietro nel tempo, all’epoca dell’elezione di Roosevelt quando, stando al suo commento, Frank Costello, il noto mafioso, fu uno dei suoi più illustri elettori. Tanto per non sbagliare, il famosissimo Lucky Luciano (Bill Vanders), altro mafioso italoamericano, spalleggiò l’avversario di Roosevelt, Smith: qui Il sasso in bocca sembra davvero un Mondo movie, almeno per l’azzardo e la libertà con cui sono ricostruiti gli intrallazzi tra i vertici politici americani e i boss della mafia locale. Ma non è finita qui: stando al testo Al Capone era al servizio degli industriali per combattere il sindacato. Un parallelo tra la situazione negli Stati Uniti e quella siciliana è imbastito coinvolgendo, da una parte le compagnie monopoliste americane, dall’altra la società italiana dei baroni che mantennero, con l’aiuto della mafia, i contadini in condizioni di semischiavitù. L’avvento del capitalismo, che faceva dell’opportunismo una delle sue prerogative, permise alla mafia di trarne giovamento. Però andrebbe dimostrato, per suffragare le affermazioni con cui Ferrara introduce il suo film, che prima dello sviluppo dell’«economia di mercato» la mafia non ci fosse o fosse qualcosa di folcloristico e di relativa importanza. Ma il regista toscano è un fiume in piena e non ha tempo da perdere con chi si pone qualche dubbio: il suo schema è semplice, il Capitale si serve della Mafia per controllare i contadini e i proletari, di conseguenza, da uomo di sinistra, sono suoi nemici sostanzialmente allo stesso modo. In sostanza, la mafia è, per usare direttamente le parole del commento del film “la forma più violenta del Capitale per la conservazione dei privilegi”. Da buon cineasta militante, Ferrara insiste poi con particolare forza con le stoccate al regime fascista e alle sue collusioni con la mafia. Ma, come detto, Il sasso in bocca non argomenta su questi passaggi, che sono più che altro coordinate per capire il fenomeno mafioso, almeno secondo il regista. Proprio per questa sua scarsa riflessività Il sasso in bocca lascia piuttosto perplessi, se preso come documentario: la mancanza di approfondimento, la scarsa accuratezza di certi passaggi a favore della loro efficacia scenica, l’attenzione ai dettagli morbosi su cui in qualche momento si insiste. Un altro fattore un po’ destabilizzante è l’utilizzo di un montaggio frenetico, compulsivo, associando scene completamente diverse per veicolare parallelismi. Lo scopo di Ferrara è stupire, scuotere, e in questo la sua opera è anche funzionale; ma certi argomenti richiederebbero calma, rigore, freddezza, e, in questo senso, Il sasso in bocca non ha la necessaria lucidità. Anche l’impiego di filmati di natura e forma differente è un elemento che viene utilizzato per dare un quadro di autenticità, al testo nel suo insieme, ma, non venendo specificato di volta in volta l’origine dei vari frammenti, l’operazione risulta strumentale. Le scene di repertorio servono a far pensare che si tratti di un’opera storicamente attendibile, e anche l’utilizzo di sequenze tratte da Salvatore Giuliano, film del 1962 di Francesco Rosi, aumentano la confusione. Scene in bianco e nero di repertorio, spezzoni di finzione a colori, sequenze in bianco e nero dal forte sapore documentaristico tratte appunto dal film di Rosi; se ci fossero anche le ballerine sculettanti, sarebbe un Mondo movie perfetto e l’opera avrebbe un senso come provocazione più che come testo di approfondimento.
Ah, naturalmente, le ballerine seminude ci sono eccome. 
  







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