1665_IL SASSO IN BOCCA . Italia, 1969. Regia di Giuseppe Ferrara
L’esordio in regia di Giuseppe Ferrara è un sorprendente ibrido tra il
documentario –le scene di repertorio, la voce narrante– e il cinema di finzione
–le ricostruzioni degli avvenimenti con attori– che, per autorevolezza, lascia
a bocca aperta. Ferrara, del resto, è sicuro di sé e delle sue idee e il suo
cinema non semina dubbi ma spara certezze a raffica, e, in questo suo procedere
«a tesi» c’è il limite del regista toscano. L’argomento del film è la mafia,
come si potrebbe capire dal titolo – che fa riferimento dall’uso di Cosa Nostra
di infilare una pietra in bocca ai cadaveri di chi avesse parlato troppo – e,
se fa piacere vedere un giovane autore affrontare a muso duro tale argomento,
forse qualche semplificazione nello spiegare il fenomeno pare eccessiva.
Ferrara è politicamente di Sinistra e il suo associare la Mafia al Capitalismo
è certamente lecito, come tutte le opinioni, ma, per essere credibile, andrebbe
motivato un po’ più a fondo. Che gli americani, durante la Seconda Guerra
Mondiale, abbiano agevolato i mafiosi per poter meglio controllare la Sicilia,
isola su cui prevedevano di sbarcare, è storia nota, e probabilmente si trattò
di una scelta di comodo. Ferrara cerca ancora più indietro nel tempo, all’epoca
dell’elezione di Roosevelt quando, stando al suo commento, Frank Costello, il
noto mafioso, fu uno dei suoi più illustri elettori. Tanto per non sbagliare,
il famosissimo Lucky Luciano (Bill Vanders), altro mafioso italoamericano,
spalleggiò l’avversario di Roosevelt, Smith: qui Il sasso in bocca sembra
davvero un Mondo movie, almeno per l’azzardo e la libertà con cui sono
ricostruiti gli intrallazzi tra i vertici politici americani e i boss della
mafia locale. Ma non è finita qui: stando al testo Al Capone era al servizio
degli industriali per combattere il sindacato. Un parallelo tra la situazione
negli Stati Uniti e quella siciliana è imbastito coinvolgendo, da una parte le
compagnie monopoliste americane, dall’altra la società italiana dei baroni che
mantennero, con l’aiuto della mafia, i contadini in condizioni di
semischiavitù. L’avvento del capitalismo, che faceva dell’opportunismo una
delle sue prerogative, permise alla mafia di trarne giovamento. Però andrebbe
dimostrato, per suffragare le affermazioni con cui Ferrara introduce il suo
film, che prima dello sviluppo dell’«economia di mercato» la mafia non ci fosse
o fosse qualcosa di folcloristico e di relativa importanza. Ma il regista
toscano è un fiume in piena e non ha tempo da perdere con chi si pone qualche
dubbio: il suo schema è semplice, il Capitale si serve della Mafia per
controllare i contadini e i proletari, di conseguenza, da uomo di sinistra,
sono suoi nemici sostanzialmente allo stesso modo. In sostanza, la mafia è, per
usare direttamente le parole del commento del film “la forma più violenta del
Capitale per la conservazione dei privilegi”. Da buon cineasta militante,
Ferrara insiste poi con particolare forza con le stoccate al regime fascista e
alle sue collusioni con la mafia. Ma, come detto, Il sasso in bocca non
argomenta su questi passaggi, che sono più che altro coordinate per capire il
fenomeno mafioso, almeno secondo il regista. Proprio per questa sua scarsa
riflessività Il sasso in bocca lascia piuttosto perplessi, se preso come
documentario: la mancanza di approfondimento, la scarsa accuratezza di certi
passaggi a favore della loro efficacia scenica, l’attenzione ai dettagli
morbosi su cui in qualche momento si insiste. Un altro fattore un po’
destabilizzante è l’utilizzo di un montaggio frenetico, compulsivo, associando
scene completamente diverse per veicolare parallelismi. Lo scopo di Ferrara è
stupire, scuotere, e in questo la sua opera è anche funzionale; ma certi argomenti
richiederebbero calma, rigore, freddezza, e, in questo senso, Il sasso in bocca
non ha la necessaria lucidità. Anche l’impiego di filmati di natura e forma
differente è un elemento che viene utilizzato per dare un quadro di
autenticità, al testo nel suo insieme, ma, non venendo specificato di volta in
volta l’origine dei vari frammenti, l’operazione risulta strumentale. Le scene
di repertorio servono a far pensare che si tratti di un’opera storicamente
attendibile, e anche l’utilizzo di sequenze tratte da Salvatore Giuliano, film
del 1962 di Francesco Rosi, aumentano la confusione. Scene in bianco e nero di
repertorio, spezzoni di finzione a colori, sequenze in bianco e nero dal forte
sapore documentaristico tratte appunto dal film di Rosi; se ci fossero anche le
ballerine sculettanti, sarebbe un Mondo movie perfetto e l’opera avrebbe un
senso come provocazione più che come testo di approfondimento.
Ah, naturalmente, le ballerine seminude ci sono eccome.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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