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martedì 27 maggio 2025

CANNIBALI DOMANI

1674_CANNIBALI DOMANI, Italia, 1983. Regia di Giuseppe Maria Scotese

Per inquadrare a dovere il valore di un film come Cannibali domani di Giuseppe Maria Scotese, occorre ricordare che il tema ecologico era già ben presente nei primi anni Ottanta. È vero che, ai tempi, in Italia ma non solo, ci si era già più che avviati a grandi falcate nel «decennio pneumatico» –nel senso di vuoto– ma certi argomenti erano conosciuti, semplicemente si preferiva guardare altrove. Scotese si era già dimostrato, anni prima, un autore attento alle tematiche sociali, soprattutto, ma non solo, con il notevole Il pane amaro, film che, in un certo senso, Cannibali domani rievoca e riprende. Tuttavia dal 1968, anno di uscita de Il pane amaro, erano passati quindici anni; nemmeno tanti, ad onor del vero, ma l’Italia era cambiata radicalmente. Dal periodo della rivoluzione sessantottina si era arrivati, attraversando gli ‘anni di piombo’, ai favolosi anni Ottanta, di cui la vittoria nel ‘mundial ‘82’ degli azzurri del calcio era la ciliegina di una torta che stava ancora finendo di essere farcita di glassa zuccherosa. Insomma, l’idea di un Mondo movie che utilizzasse la forza espressiva del «genere» per denunciare la diffusa ingiustizia sociale, sembrava quasi ovvia –ma ci aveva pensato il solo Scotese, onore al merito – quando nelle piazze infuriavano le proteste studentesche ed operaie. Rispolverare il «genere» più biasimato del cinema italiano, quando ormai era finito nel dimenticatoio, per imbastire la sua tragica Ballata per un pianeta –questo il titolo originale scelto dal regista nato a Monteprandone– in piena euforia nazionale era, al contrario, un azzardo bello e buono. Viene quasi da comprendere, quel noleggiatore italiano che, stando a quanto dichiarato dallo stesso Scotese [Daniele Aramu, Apocalisse domani, Nocturno Book n.9 – Mondorama, Nocturno Edizioni, Milano pagina 30], volle cambiare il titolo cercando di spacciare il film per una versione eighties di Mondo cane. In realtà, come spiega lo stesso regista, questo solerte distributore fece un pessimo servizio al film: chi si aspettava un revival jacopettiano rimase deluso, mentre i potenziali spettatori che avrebbero potuto apprezzare il documentario, se ne tennero alla larga temendo un ritorno di uno shockumentary tra i più ortodossi. Tuttavia, se dobbiamo dirla tutta, l’idea di questo anonimo noleggiatore non fu del tutto campata in aria: in primo luogo si può notare come il riferimento ai cannibali nel titolo, rimanda ad un «genere» derivante, in un certo senso, dai Mondo, che, a differenza di questi ultimi, al tempo era ancora in voga e garantiva una sorta di effetto traino. E fin qui, si potrebbe trattare soltanto di una mossa scaltra e astuta, in linea con gli interessi economici di chi vede una pellicola unicamente come un qualcosa da far fruttare economicamente. Ma non fu del tutto così: perché i cannibali, Scotese, ce li infilò davvero, in Cannibali domani, in modo, duole un po’ dirlo, non proprio in linea con il resto del suo lavoro. L’impressionante scena in cui alcuni africani trascinano un corpo, lo cucinano e poi se lo mangiano a pezzi, il regista sostiene –nella citata intervista all’indispensabile Daniele Aramu e pubblicata su Mondorama– l’avesse comprata per 500 dollari da un mercenario che aveva fatto la guerra nel Congo. Era davvero necessaria, questa tremenda sequenza?  

È una domando retorica, o quasi, perché è chiaro che, se l’autore ritiene una scena necessaria, lo è, almeno ai fini della libertà artistica d’espressione, tuttavia è un passaggio che lascia un po’ di scetticismo: lo stesso Aramu, nell’intervista, si premura di chiedere a Scotese se le fosse venuto il dubbio che potesse essere un falso. Nella risposta, il regista risponde argomentando le sue deduzioni secondo cui la scena era vera, ma, in sostanza, non può fornirne prova concreta. Insomma, qualche perplessità sull’autenticità del passaggio rimane, così come su certi primi piani da angolazioni diverse dei ragazzini che sniffano la benzina, ed è un vero peccato perché il senso di Cannibali domani è autentico, anche se non lo fosse per intero il lungometraggio. Tra i passaggi memorabili, e ancora oggi dopo oltre quarant’anni sorprendenti, c’è la vicenda di St. George, Utah, negli Stati Uniti, cittadina situata vicino al luogo dove gli americani sperimentavano le bombe nucleari e subì per anni la contaminazione radioattiva. Oggi l’Area 51 è divenuta un’attrazione turistica, ma certi aspetti della sua storia non sono mai stati oggetto di grande pubblicità, come dimostra un articolo del 1966 sulla rivista Time disponibile sul sito della nota pubblicazione. “La scorsa settimana il chirurgo generale William H. Stewart della sanità pubblica degli Stati Uniti Service ha annunciato i primi risultati dello studio intensivo. Nessun cancro è stato trovato, ha detto. Ci sono diversi casi di tiroide infiammata, e proporzionalmente più di questi sono tra i bambini di St George che tra i bambini di Safford. Ha aggiunto il Dr. Stewart: l’infiammazione della tiroide sembra essere aumentata di recente in molte parti molto separate degli Stati Uniti, e non vi è alcuna prova che le radiazioni, da fallout o altre fonti, abbiano nulla a che fare con esso”. Questo quando, anche negli anni Sessanta, era già ben noto che lo iodio radioattivo, uno degli elementi più attivi nella ricaduta, è assorbito dalla tiroide, causando problemi serissimi soprattutto negli infanti.
Il resto del documentario si concentra prevalentemente sul cosiddetto Terzo Mondo, sebbene Scotese non manchi di ribadire che inquinamento e sovraffollamento, due dei temi portanti di Cannibali domani, siano propri anche delle aree più industrializzate e delle grandi megalopoli dell’occidente. In ogni caso, tra i passaggi più atroci da guardare ci sono gli effetti delle carestie dovute alla siccità nel Sahel, la fascia di confine tra il deserto del Sahara, le foreste tropicali e le savane, o la povertà delle popolazioni indie delle Americhe. Un discorso a parte merita l’India vera e propria, di cui sono mostrati il sovraffollamento che mette in condizioni di estrema indigenza la stragrande maggioranza degli abitanti, pur avendo, il paese asiatico, una popolazione bovina numericamente esorbitante. Qui le questioni religiose diventano un ostacolo concreto alla sussistenza dignitosa e questo, per un popolo che è la culla della spiritualità, è un aspetto che lascia sgomenti. Un passaggio fortemente emotivo è poi il pellegrinaggio hindu ad Allahabad, il bagno di massa nel Gange, il fiume sacro, un evento già mostrato da Scotese ne Il pane amaro. Emozionanti, sebbene in modo diverso, anche le aberranti scene in cui alcuni bambini vengono mutilati e storpiati deliberatamente per andare a chiedere la carità ed essere, a causa delle malformazioni indotte, più convincenti e, quindi, remunerativi. La voce di Dario Penne non regala nulla allo spettacolo, e rimane sobria cercando di non scadere nel moralismo, cosa comunque non semplice visto i temi trattati. Il confine tra morale e moralismo è, infatti, soggettivo e non è facile mantenere una linea asciutta senza rischiare di passare, per alcuni, come indifferente; per altri, di contro, i passaggi più sentiti possono sembrare retorici. Tuttavia il commento è sicuramente uno dei punti a favore del film, che, nel complesso, se fa sensazione, è perché è la situazione a farla e, oggi, quarant’anni dopo, possiamo concretamente dire che Scotese non fu affatto un allarmista gratuito. Il ritmo del film è compassato, ma inesorabile, accompagnato dall’adeguata musica di Marcello Giombini che di rifà alle melodie dell’America Latina. La ballata Hijos del sol, cantata da Charo Cofré e Hugo Arevalo, racchiude la tristezza dei nativi americani, popoli a cui è stato sottratto, più che la terra natia, il futuro. Il fotogramma su cui scorrono i titoli di coda di Cannibali domani, con il fitto skyline di una moderna metropoli, è emblematico: neppure lo sguardo può trovare scampo di fronte all’incombere del cemento della civiltà occidentale. 


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