1673_WE WILL NOT FADE AWAY Ucraina, 2020. Regia di Alisa Kovalenko
Cinque
anni di attività bellica insistente e martellante, dal 2014 al 2019, potevano lasciar
intendere che il destino della gente del Donbas, fosse quello di rimanere
completamente tagliati fuori dal mondo. La Guerra del Donbas è stata tremenda e
ne vediamo gli effetti nell’eppur splendide scene di We will not fade away,
documentario con una storia da raccontare di Alisa Kovalenko. Immagini
stupende, nonostante le macerie e la devastazione inquadrate, merito
dell’ottima fotografia della Kovalenko e Serihiy Stetsenko. Il significato del
titolo, in inglese anche nell’edizione originale, è Noi non svaniremo,
che sembra un po’ la preoccupazione di Andriy, Liza, Lera, Ruslan e Illia, i
cinque adolescenti protagonisti del film. Se l’Ucraina è già una terra di
confine, tra l’Europa e il Russkiy
Mir [Mondo Russo], in
quest’ottica il Donbas ne è il punto ancora più estremo. Nel film, i giovani
protagonisti utilizzano un linguaggio più colorito, per esprimere il concetto, ma
il significato è la palpabile sensazione di essere completamente tagliati fuori
dal «villaggio
globale». Tra cinquant’anni,
ipotizza uno di loro, il nostro paesino non esisterà più. Insomma, Alisa
Kovalenko cerca di farci comprendere la preoccupazione dei suoi giovani
concittadini che non riescono a vedere un futuro per le loro vite. E questa era
la situazione, a Stanytsia, Oblas't di Luhans'k, Donbas,
Ucraina, nel 2019, quando la Kovalendo cominciò a girare il suo film. Un’opera
anche complessa, se si considera che il centro del racconto è rappresentato da
un viaggio in Himalaya per i cinque adolescenti. Il che è un momento clamoroso,
un sogno che si concretizza per questi ragazzi, che sembra davvero che possano
sfidare e vincere il proprio destino. Andare sull’Himalaya, grazie
all’intercessione di Valentin Sherbachov, un famoso esploratore ucraino, non è
cosa che capiti a chiunque e che un desiderio tanto ambizioso venga esaudito
per i nostri baldi giovanotti del Donbas potrebbe essere una svolta decisiva.
Il che, sarà vero solo in parte. Perché, si è detto, i tempi di realizzazione
del film sono stati lunghi e, nel frattempo, era cominciata l’invasione su
larga scala che ha fatto sembrare la Guerra del Donbas combattuta fin lì un
semplice aperitivo bellico. “Cinquant’anni e qui non ci sarà più niente”,
diceva preoccupato uno dei ragazzi, senza rendersi conto di quanto fosse
ottimista. E, forse, quando pensavano a Stanytsia come l’«ass-hole»
del mondo, perché non se la filava nessuno, non immaginavano che fosse una
condizione di cui poter aver rimpianto. La Kovalenko è una regista brava e sensibile,
le sue immagini sono belle e poetiche, la musica –Wojciech Frycz,
Blink-182, Radiohead– è evocativa, il
film lavora bene sul piano emotivo. E quando, dalla didascalia finale,
apprendiamo che di due dei cinque ragazzi, i due rimasti nella zona sotto
occupazione, non si hanno più notizie, l’emozione cristallizza in tristezza e
sconforto.
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