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giovedì 1 maggio 2025

ADDIO ALLE ARMI (1957)

1661_ADDIO ALLE ARMI (A farewell to arms). Stati Uniti, 1957. Regia di Charles Vidor

Se già la versione del 1932 del libro di Ernst Hemingway Addio alle armi, diretta da Frank Borzage, non aveva funzionato, quella del 1957 è addirittura peggio. La regia è opera di Charles Vidor, mentre John Huston lasciò presto le riprese, licenziato dal produttore David O. Selznick che, probabilmente, è la vera mente dietro all’intero progetto. Che è un vero disastro. Lo stesso Hemingway ne rimase fortemente contrariato, e giustamente: il film è davvero brutto. Una sequela di luoghi comuni, alcuni anche divertenti per la verità, dipinge l’Italia della Grande Guerra come un paese cartolina abitato non da persone ma da caricature vagamente umanizzate. In questo modo i passaggi tragici, come quelli successivi a Caporetto, la cocente disfatta italiana, non acquistano alcuno spessore morale. Certo, la messa in scena tipicamente hollywoodiana ha una sua efficacia, ma questo non fa che rimarcare il rimpianto; la produzione alla Via col vento immaginata da Selznick non se la può giocare in altri modi se non su un piano della spettacolarizzazione ma, a quel punto, deve avere anche protagonisti all’altezza. Purtroppo nel film steccano anche quegli interpreti a cui il copione riserverebbe ruoli dignitosi: Rock Hudson non è attore in grado di cavarsela in una situazione simile, avendo bisogno di una regia forte a guidare la sua presenza scenica. Dal punto di vista interpretativo può facilmente scivolare via, se non c’è una mano sicura dietro la macchina da presa, in prestazioni da fotoromanzo e, in Addio alle armi non fa in effetti molto meglio. Anzi. Peggio di lui la controparte femminile, assegnata ad un’imbolsita Jennifer Jones, scelta per il ruolo grazie al suo rapporto privilegiato con Selznick. La Miss Barkley di Addio alle armi dovrebbe avere una ventina d’anni, d’accordo, e non quasi quaranta come la Jones, ma l’attrice va oltre a questa oggettiva carenza e non regala mai una posa convincente, in oltre due ore di film, se non quelle in cui è morente sul letto d’ospedale. Il suo comportamento da adolescente innamorata ai limiti dello schizofrenico, anche vista l’età che il suo volto impietosamente dimostra, stronca la pazienza di qualsiasi spettatore e conferma la recitazione imperturbabile di Hudson, che sembra l’unico a non essersi scocciato dalle ripetute fisime della donna. 

Vittorio De Sica, chiamato insieme ad Alberto Sordi a dare un po’ di colore locale al cast, la butta sul teatrale, un registro che conosce bene e spesso ne ha anche eccessivamente contraddistinto le interpretazioni. In questo caso è probabilmente congeniale all’idea di Selzinck dell’italiano aristocratico all’antica: meno peggio di altri ma in ogni caso nemmeno la sua è un’interpretazione memorabile. Sordi sembra più compassato, caso in effetti strano, e limita la sua verve interpretando il tipico cappellano bonario e comprensivo. Insomma, nessuna nota lieta dal cast. Meglio fanno la pellicola in grande formato e la fotografia dai colori caldi e saturi, tipici della Hollywood del tempo, che regalano almeno qualche scorcio affascinante e anche le scene di massa, con le imponenti manovre militari, sono tra i pochi punti a favore del film. Dopo questo avvio disastroso la svolta strappalacrime della seconda parte affossa definitivamente le residue chance dell’opera mentre anche la Svizzera è illustrata con la stessa superficialità destinata precedentemente al belpaese. Di tutto lo spettacolo, gli unici dettagli resi probabilmente con una buona verosimiglianza sono la Corte Marziale e la grinta dei carabinieri, sempre rintanati nelle retrovie ma pronti e scattanti quando si trattava di mettere le mani su qualche disperato. Ma non è tanto la regia a migliorare, quanto la scarsa statura morale di queste persone ad essere adeguata ad una rappresentazione caricaturale. Il passaggio della fucilazione del maggiore Rinaldi, il personaggio di De Sica è, in effetti, efficace nella sua messa in scena naif. Gli ufficiali della corte e i carabinieri del film, nella loro rozza definizione, sono figure funzionali per mostrare il comportamento di quegli organi militari in quei tragici momenti. Tutti quanti loro cooperarono per trovare capri espiatori tra la truppa, al momento in preda ad una comprensibile disperazione, cercando una qualunque cosa che giustificasse la disfatta di Caporetto. Di cui invece i pezzi grossi erano i primi responsabili. Ma essere al servizio dei potenti e fare la voce grossa con il popolo era ed è la norma di qualsiasi autorità italiana e fu adottata anche in quell’occasione. Un modo di agire ancora troppo diffuso tra forze dell’ordine e rappresentanti delle istituzioni italiane, anche solo per poter pensare di perdonarglielo. A confronto del loro operato anche quello che combinano Selzinick /Vidor in Addio alle armi è da applausi.  


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