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domenica 1 settembre 2024

EL DORADO

1539_EL DORADO . Stati Uniti 1966; Regia di Howard Hawks.

Howard Hawks fu un regista di una grandissima varietà espressiva, capace di interpretare al meglio praticamente tutti i generi cinematografici, come dimostra la sua straordinaria carriera. La sua adattabilità, il suo essere flessibile, gli ha permesso di forgiare autonomamente lo stile classico quasi per definizione; uno stile aderente allo scopo, mai ridondante o fine a sé stesso. La mano di Hawks non è mai particolarmente visibile; per questo non ne limita gli aggiustamenti necessari nei passaggi tra un genere e l’altro. Perché Hawks, cineasta americano di origine –rispetto ai tanti emigrati europei di Hollywood suoi contemporanei– antepone la pratica alla teoria, e, quindi, il suo obiettivo è sempre puntato sul film e mai sulla propria regia. Con El dorado forse compie qualche sforzo autoriale in più, sebbene lo faccia con estrema nonchalance, risultando al solito molto discreto. Il fatto è che, se è vero che El dorado sia un Western, è altrettanto vero che il genere, dall’ultima sua incursione –nel 1959 con Un dollaro d’onore– è assai cambiato: nel frattempo sono usciti i film di Peckinpah, la trilogia del dollaro di Sergio Leone con l’emergente figura di Clint Eastwood. Lo stesso patriarca del western classico John Ford con Il grande sentiero del 1964 ne ha preso, in un certo senso, atto. E sicuramente ne prende atto anche Hawks, ma lo fa a suo modo, girando, sostanzialmente, un western classico, totalmente fuori tempo e consapevole di esserlo, ma riuscendo nell’assai ardua impresa di rimanere, nonostante ciò, un western classico. La ricetta di Hawks è apparentemente semplice: prende l’ultimo suo western, il citato Un dollaro d’onore, assoluto capolavoro e caposaldo del genere, e lo gira sostanzialmente uguale, aggiornandolo qua e là per renderlo attuale e appetibile anche in pieni anni Sessanta. 

Detta così sembra quasi semplice, salvo che nessuno, probabilmente, potrebbe riuscirci se non Hawks, perché la sua regia invisibile gli permette, tra le altre cose, questi virtuosismi della sostanza e non della forma. Così nel 1966 esce questo film che ci riporta almeno a dieci anni prima, per climax, tenore, atmosfera. Ma i tempi sono cambiati e su questo Hawks non imbroglia, non fa uno spettacolo da imbonitore nostalgico; no, il regista americano è un autore serio e la sua è arte, e come tale riflette le percezioni artistiche dell’autore. E, allora, anche se dalla forma a prima vista non si direbbe, quello che vediamo in El dorado è un western morente, così come, con l’arrivo della contestazione giovanile di fine anni Sessanta, sta morendo il Sogno Americano. Già il nome è indicativo nel suo essere poco attendibile: il titolo lascia presagire chissà quale tesoro aurifero, ma i contendenti si stanno solamente disputando il diritto all’acqua, il primo bene necessario. Nessuna ricchezza, quindi ad El dorado; del resto il poster americano del film recita “non c’è oro per terra, ma piombo per aria”.
L’incipit è un altro indice di questo sfasamento, tra l’apparente forma classica e il reale tema del film: all’inizio della pellicola vediamo Robert Mitchum (lo sceriffo Harrah) e John Wayne (il pistolero Cole Thornton) in piena forma, tirati a lustro e in gran spolvero. Mitchum è forse il solo attore in grado di reggere l’urto di scena di Wayne, il quale è poi protagonista di una memorabile scena nella quale va da solo a fronteggiare una masnada di pistoleri. Proprio in quella circostanza c’è parte della bellezza pregnante della prima parte del film: Cole deve unicamente recarsi dal boss del paese, l’allevatore Bart Jason (Ed Asner), per rifiutare la sua offerta di lavoro, una faccenda veloce, almeno negli intenti: Jason vuole l’acqua dell’allevatore rivale, MacDonald (R. G. Armstrong), ma non in modo pulito, e Cole non si vuole prestare al gioco sporco. 

Un semplice rifiuto si trasforma nella trama di un possibile Bmovie: Cole non solo rifiuta, ma trova il tempo di inimicarsi Jason e sfidare il pistolero che questi ha assoldato, MacLeod (Christopher George). Poi sulla via del ritorno, Cole finisce per uccidere in modo un po’ fortuito un figlio dell’altro allevatore, MacDonald; a questo punto si trova costretto a fare visita a quest’ultimo per riportargli il cadavere del ragazzo. Infine, nel definitivo ritorno in città, viene ferito in modo grave alla schiena dalla figlia di MacDonald, Joey (Michele Carey). E si tratta solo della fase introduttiva della vicenda. Eppure tanti avvenimenti in poco tempo non danno l’idea di racconto affrettato: questa è la magia di Hawks, siamo ancora in un western classico, che non è frenetico, eppure gli avvenimenti incalzano. C’è anche una ragazza, Maudie (Charlene Holt, che ricorda l’Angie Dickinson di Un dollaro d’onore). che sarà un po’ la causa, nel suo preferire Cole a Harrah, di alcuni dei successivi mutamenti. 

Il tempo del film non è breve, ed è discontinuo, ci sono salti temporali di alcuni mesi, e questo e forse uno degli aspetti meno limpidi, cristallini, della pellicola. Nel corso della vicenda, passati alcuni mesi, appunto, dal suddetto incipit, veniamo a cuore del film, dove troviamo i due protagonisti via via sempre più acciaccati, feriti, infermi, indeboliti. Di contro si fanno largo due personaggi, Mississippi (un baldanzoso James Caan) e Joey, la figlia di MacDonald che aveva sparato a Cole. Due personaggi moderni rispetto al western: Mississippi non ha né stetson, il tipico cappello da cowboy, ma indossa una sorta di tuba, né, clamorosamente, porta le pistole. Joey ha i capelli vaporosi e voluminosi alla moda dei Sessanta e cavalca e spara come un maschio. Nonostante questi elementi estranei, il film funziona ancora come un western della tradizione, e questo è tutto merito della regia di Hawks e della personalità dei due prim’attori. Wayne è sempre lui, monumentale, e Mitchum oltre a reggere alla grande il confronto con il Duca è l’unico che, contemporaneamente, è in grado di avere turbamenti, debolezze, crollare, essere sul punto di cedere del tutto, per poi trovare la forza di rimettersi in piedi.Nel complesso un grande film, un grande western, forse l’ultimo western classico, che non nega la fine del suo tempo.
El dorado la fine del mito, vista con gli occhi del mito.





 Charlene Holt 






Michele Carey






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