1552_LA STRAGE DEL 7° CAVALLEGGERI (Sitting Bull). Stati Uniti 1954; Regia di Sidney Salkow
Il
titolo originale di La strage del 7° Cavalleggeri, film western di
Sidney Salkow, è Sitting Bull, ovvero il nome americano del celebre Toro
Seduto. Per la verità, quello di Salkow non è certo una biografia, seppure la
figura del capo Sioux sia centrale al racconto; il titolo italiano fa invece riferimento
alla Battaglia del Little Bighorn, senza dubbio lo scontro bellico tra
cavalleria e indiani più famoso di sempre. Ma anche in questo caso si tratta di
un titolo che non rappresenta a dovere il film, considerato l’eccessiva libertà
con cui sono ricostruite le fasi della battaglia. Ancora una volta una
superficialità che spesso si confonde con una forma di razzismo quasi
inconsapevole, compromette i buoni intenti che si distinguono chiaramente alla
base del soggetto. L’idea su cui si fonda La strage del 7° Cavalleggeri
è che uomini buoni ci siano tra i bianchi –il maggiore Parrish (Dale Robertson)–
come tra gli indiani –Toro Seduto (J. Carrol Naish). Allo stesso modo, persone
di stampo certamente peggiore li troviamo da una parte, il colonnello Custer (Douglas
Kennedy) e dall’altra, Cavallo Pazzo (Iron Eyes Cody), per l’occasione
battezzato con un improbabile Cavallo Furioso. Se perfino la figura di Custer è
stata oggetto, nel corso dei decenni, di numerosi «aggiornamenti» –dal momento che, nonostante sia sempre rimasto un
personaggio discutibile, pare non fosse quell’ottuso guerrafondaio come spesso
viene dipinto– la descrizione di Cavallo Pazzo che emerge dal film è
assolutamente inaccettabile. D’accordo, La strage del 7° Cavalleggeri
non è un documentario, tuttavia ci sono figure storiche, e in questo senso
Cavallo Pazzo perfino più dello stesso Toro Seduto, che, per via del destino
personale e del proprio popolo, vanno trattate con un’adeguata riverenza. Attenzione,
non si tratta di santificazioni fatte un tanto al chilo: premesso che una
biografica fedele di Cavallo Pazzo offrirebbe mille spunti narrativi degni di
interesse, sono accettabili tutte quelle interpretazioni rispettose della sua
figura storica ma sono anche lecite le parodie o le versioni umoristiche, dal
momento che non vi è nulla di meglio della libertà di espressione. Ciò che
stona, in opere come La strage del 7° Cavalleggeri, è l’approccio che si
finge storico salvo poi raccontare i fatti non tanto adeguati al media in
questione, in questo caso il cinema, ma completamente stravolti. La Battaglia
del Little Bighorn è altresì completamente modificata, e questo, più che essere
un ulteriore punto di debolezza del film, permette di fare un distinguo e
focalizzare meglio il problema. Che uno scontro bellico, o un altro evento
storico generico, venga travisato da una ricostruzione di pura finzione, non
rappresenta certo un problema; gli appassionati di Storia sanno che per avere
informazioni attendibili non devono certo affidarsi al cinema o ad altri media «leggeri».
Diverso il caso in cui vengano coinvolte persone che, oltre al valore storico,
abbiano anche un’importanza capitale dal punto di vista umano, com’è appunto il
caso di Cavallo Pazzo. Uomini che, e questo è il fattore cruciale, hanno pagato
con la propria vita la fedeltà ai propri ideali non possono essere trattati con
approssimazione, almeno non finché il loro valore non sia stato universalmente
riconosciuto e sia ben chiaro a tutti che quella che si sta eventualmente mettendo
in scena sia unicamente una finzione del tutto svincolata dalla realtà. E, per
quanto il cinema hollywoodiano, già negli anni Cinquanta, avesse compreso le
ragioni dei nativi nella Questione Indiana, non è certo questo il caso.
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