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lunedì 23 settembre 2024

NATURA CONTRO

1550_NATURA CONTRO. Italia 1988; Regia di Antonio Climati

Sembra quasi un segno del Destino: uno dei collaboratori più importanti nel capitale testo che aveva dato origine ai cannibal italiani, ne sanciva la, stavolta definitiva, ingloriosa fine. Nella parabola, qualitativa ma non solo, tra Mondo Cane (1962, di Jacopetti, Prosperi e Cavara) e Natura contro, di Antonio Climati, c’è l’omologazione e la banalizzazione di un intero paese. Ironia della sorte, Climati era stato Direttore della Fotografia nel seminale film di Jacopetti e compagni, ed era sorprendente che fosse lui a prestarsi ad un’operazione come Natura contro. Pensato come produzione televisiva –opera in effetti di Reteitalia, lo studio di proprietà Fininvest che si occupava di realizzare il materiale per le reti Mediaset– il film di Climati porta con sé tutti gli elementi anche simbolicamente adatti a sancire il declino del paese e non solo del cinema nazionale. Certo, principalmente Natura contro è un brutto e mediocre film di avventure che, grazie a qualche rimando, può essere preso a titolo per chiudere il conto al genere cannibal. Ma, allargando un po’ il tiro, si può anche leggervi la banalità e il pressapochismo tipico delle produzioni televisive nostrane che finirà per inquinare anche il cinema italiano. E, siccome il cinema, anche e soprattutto in Italia, è sempre uno dei migliori specchi del paese, il discorso è ulteriormente estensibile all’intera nazione. Del resto, gli anni Ottanta erano stati già segnati dal dominio in ambito televisivo della corazzata Mediaset che, altro non sarà, se non un trampolino di lancio per ambiti ben più prestigiosi per la nuova classe egemone. Ecco perché, parlare di Natura contro, soprattutto se chi lo ha realizzato era nella troupe di un testo critico e scomodo come Mondo Cane, non significa parlare solo di un innocuo filmetto. Vero è che, proprio le reti televisive Mediaset, con programmi come Striscia la Notizia, varato giusto alla fine di quel 1988, o, più tardi, Le Iene, adottarono gli stilemi del film di Jacopetti, Prosperi e Cavara, e, quindi, una connessione tra Mondo Cane e la cosiddetta “tv spazzatura” potrebbe davvero esserci. Il sensazionalismo, l’attenzione agli aspetti morbosi, il voyeurismo, sono in effetti tratti comuni: la differenza è che, nel film di Jacopetti e soci, sembra esserci un disegno preciso, dietro l’uso delle immagini scioccanti: dimostrare come l’uomo civilizzato non sia poi così civilizzato. I citati programmi televisivi provano a dare un’impressione più anarchica, meno strumentale, ma, sembra lampante, è proprio quello il gioco di cui hanno invece incarico: la loro è una critica in apparenza indiscriminata. 

La strategia è quella di dare l’idea di non risparmiare nessuno, comunicando quindi il concetto che sia inutile anche unicamente avere un pensiero critico. In effetti, la differenza con un film come Mondo Cane è sottile: quello che cambia è il contesto. All’inizio degli anni Sessanta, molto prima della contestazione sessantottina, scalfire la cieca fiducia nel futuro, che il boom economico sembrava garantire indiscutibilmente roseo, era un utile monito. Nei tardi anni Ottanta e in seguito, la critica ad “alzo zero”, ma spesso oculatamente indirizzata, dell’informazione satirica televisiva, diveniva invece un pericoloso strumento nelle mani di qualcuno. Elementi che, come accennato, troviamo anche in Natura contro: qualche sparuto rimando, dalle teste tagliate degli indios, all’ambientazione amazzonica, alla tribù misteriosa, sono esche che gli autori gettano per poter spacciare il loro film come cannibal, un genere che ha sempre una sua nicchia di spettatori. In realtà, l’antropofagia non c’entra, ma si possono premiare gli sforzi ingannevoli di Climati e collaboratori e considerare pure Natura contro come un film sui cannibali: in ogni caso rimane un brutto film, di livello davvero basso. Quello che si può notare è la ruffianeria degli autori, che mettono in scena una serie di situazioni che esaltano il buonismo e il politicamente corretto. Il passaggio più evidente, in tal senso, è quello in cui vediamo catturare alcune scimmie, perché vengano poi utilizzate nella pet-therapy per individui disabili, e, nella sequenza, c’è addirittura uno dei protagonisti del film che pratica una rianimazione ad uno dei piccoli animali. Lodevole intento, sia chiaro, se non fosse che sembra posto all’inizio del racconto per dimostrare che in Natura contro non c’è violenza gratuita nei confronti degli animali, né reale e nemmeno nella finzione. Ironicamente, ma significativamente, la censura britannica taglierà i dodici secondi di pellicola dove una delle piccole scimmiette in questione viene colpita per davvero, seppur non rimanga uccisa. Tuttavia è doveroso ribadire che, nella realizzazione del film, non venga ammazzato alcun animale, sebbene tale pratica fosse ormai entrata fortunatamente in disuso già da tempo. 

In ogni caso, la frenesia della narrazione, con i protagonisti che passano rapidamente da un rischio mortale all’altro senza dar nemmeno il tempo allo spettatore di metabolizzare la pericolosità della situazione, sembra quasi uno stratagemma per rendere tutto quanto il racconto un innocuo passatempo. Un po’ come le citate trasmissioni satiriche televisive, che anestetizzano il senso critico del telespettatore con il flusso di scandali e malagestioni pubbliche varie, raccontate senza adeguati approfondimenti. Tornando a Natura contro, una volta divertito lo spettatore con le scene concitate, pagato il dazio alla morale comune dimostrando un rispetto della natura formale, d’accordo, ma ben poco convincente, gli autori possono arrivare al loro dunque. La trama del film prevedeva una spedizione in cui Gemma (May Deseligny), reporter d’assalto, Pio (Pio Maria Federici), biologo, Mark (Fabrizio Merlo), pilota, e Fred (Marco Merlo), si addentrassero nel profondo dell’Amazzonia alla ricerca del professor Korenz (Bruno Corazzari). Sebbene Korenz fosse considerato scomparso, si sospettava avesse trovato gli Imas, una tribù di indios che viveva allo stadio primitivo, e qui, sebbene non si parli di antropofagia, riecheggia qualche altra eco dei cannibal movie. In ogni caso, per non farsi mancar niente, pare che questi Imas fossero custodi di un favoloso tesoro. Alla fine delle tante acrobatiche e funamboliche peripezie, i nostri baldi giovanotti trovano il loro uomo. Che, a quel punto, si chiede, e chiede alla giornalista Gemma, se sia il caso di tornare davvero alla civiltà. Perché, sorpresa, gli indios presso cui è di stanza, non sono mica i mitici Imas, i leggendari uomini primitivi; sono una semplice tribù indigena che lo ha accolto e presso la quale ora si trova a vivere pacificamente. E, per giunta, del tesoro nemmeno l’ombra. A questo punto la cosa suona certamente beffarda: tutta quella fatica per niente. É qui che Climati e i suoi produttori gettano la maschera e calano l’asso dalla manica: Gemma, infatti, non ci sta e decide di scrivere la Storia a proprio comodo. Non a caso, nonostante fossimo ancora negli anni Ottanta, la protagonista è una donna: gli autori si portano avanti e seminano un po’ di uguaglianza di genere, dando il ruolo più significativo ad una rappresentante del sesso femminile. L’idea di Gemma è semplice: spacciare presso la comunità scientifica questi banali indios per i leggendari Imas e prendersi tutti gli onori. E i soldi annessi, sia ben chiaro. Etica, onestà, coerenza, deontologia professionale, pudore, sincerità, senso di giustizia: nessuna di queste cose le sfiora la mente a fronte della possibilità di compiere il colpo della vita. Nemmeno un po’ di sana prudenza, dinnanzi alle perplessità e alle paure del professore, la fa vacillare. E quando Korenz osserva che i ragazzi della spedizione, potrebbero prima o poi tradire la loro truffa, Gemma trova un’altra semplice soluzione: li lascia nella giungla. Prende l’aereo e se la fila alla chetichella, col professore e le foto dei “mitici Imas”, le prove della loro sensazionale scoperta. Poi, siccome il film è mondato da ogni forma di crudeltà esplicita, il pistolotto finale informa che tutti quanti i giovanotti abbandonati se la siano cavata egregiamente; del resto, che era un’Amazzonia da salotto si era ben capito. 

Tuttavia, trascurando l’assoluta sciatteria del cast, della sceneggiatura e dei dialoghi, quello che lascia assolutamente basiti, assai più di Mondo Cane o Cannibal Holocaust, è la nonchalance con cui si fa passare come legittimo l’odioso opportunismo della protagonista. Ma era anche prevedibile: film di fine anni Ottanta, matrice televisiva, produzione Reteitalia –leggi Mediaset– cos’altro ci si poteva aspettare se non la celebrazione del rampantismo?
A pensarci bene, che un film del genere segni la fine del genere cannibal, diviene, per questi, quasi motivo di vanto.
Ma, purtroppo, viene da fare un’ultimissima considerazione. Natura contro, più che un cannibal movie, genere nel quale può comunque trovare posto, come abbiamo visto, presenta delle analogie con il modo in cui venivano realizzati i mondo movie. In effetti, Antonio Climati in regia, e Franco Prosperi nella sceneggiatura, erano tra i più importanti autori del citato Mondo Cane, il capostipite. Gemma e i suoi amici riescono a trovare il professore ma lo scoop fallisce, visto che gli indios non sono i mitici Imas. Ma con una piccola forzatura, ecco che il servizio bomba salta fuori ugualmente. La cosa non ricorda quanto si diceva dei mondo movie e della capacità di Jacopetti e compagni, di aggiustare i loro resoconti in modo da renderli spettacolari? Gemma come Jacopetti, quindi? Ci si è spesso interrogati dove fosse il confine tra il reale e il ricostruito nei famigerati mondo movie. Un genere di film verso cui i cannibal sono innegabilmente debitori. Senza Mondo Cane e i suoi epigoni, non avremmo avuto i cannibal movie all’italiana. Guarda caso, l’ultimo cannibal italiano, è realizzato da Climati e Prosperi e, nel chiudere definitivamente il conto al genere, forse rivela anche il segreto cardine dei mondo, quello sulla loro credibilità.
Decisamente un colpo basso, questo Natura contro.   



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