1553_QUI SQUADRA MOBILE - TUTTO DI LEI TRANNE IL NOME . Italia 1973; Regia di Anton Giulio Majano
In
un paese che, per tradizione e cultura, non vedeva di buon occhio le forze dell’ordine,
tra i tanti compiti che la Rai si era assegnata, c’era anche quello di riqualificarne
la figura. Sin quasi dalle sue origini –era il 1958 quando fu trasmesso Aprite:
Polizia!– la televisione di stato aveva prodotto costantemente sceneggiati,
telefilm o originali televisivi con protagonisti commissari, detective e marescialli
vari. La caratteristica che li contraddistingueva, più o meno tutti, era la
spiccata umanità, un’attitudine che, evidentemente, interessava assai di più
gli autori rispetto alle specifiche qualità d’investigazione. Ma, nel 1973, con
«gli anni di piombo» ormai deflagrati, occorreva qualcosa di più specifico, di
più intenso, per provare a riappacificare il clima e cercare di cancellare
alcuni incresciosi episodi che, durante quel turbolento periodo, avevano visto
protagonisti anche i rappresentanti delle forze dell’ordine. Proprio il 1973 si
era aperto malissimo, in tal senso, con l’uccisione per mano di un agente di
polizia di Roberto Franceschi, durante una manifestazione del Movimento
Studentesco, a Milano. [pagina web Chi era costui? https://www.chieracostui.com/costui/docs/search/scheda.asp?ID=337
visitata l’ultima volta il 25 settembre 2024]. La fama della polizia raggiunse
in quei giorni uno dei punti più bassi in termini di popolarità, anche perché,
come detto, non si trattava affatto né di un caso isolato e nemmeno del primo morto
che gli agenti lasciavano sull’asfalto. E, purtroppo, non sempre si trattava di
persone coinvolte nelle dilaganti proteste: era ancora fresco il ricordo del
povero Giuseppe Tavecchio, un pensionato colpito e ucciso accidentalmente da un
lacrimogeno lanciato dalle forze dell’ordine, sempre a Milano. [sito
del Comune di Milano, pagina web http://www.comune.milano.it/web/milano-memoria/-/lancio-targa-giuseppe-tavecchio
visitato l’ultima volta il 25 settembre 2024]. È in questo clima che Massimo
Felisatti e Fabio Pittorru scrivono il soggetto per Qui Squadra Mobile,
la cui regia sarà affidata al solido Anton Giulio Majano. Il regista, per
presentare il suo lavoro, in un’intervista al Radiocorriere, diede alcune
dritte: “La tecnica narrativa da me adottata, non è quella del cosiddetto «doppio
binario» che consente di raggiungere il massimo della suspense, alternando
indagine poliziesca e comportamento del criminale. Nei miei film televisivi l’assassino
è solo l’ultimo anello di una lunga catena investigativa, il risultato di un
mosaico pazientemente costruito. La scoperta del colpevole, insomma, avviene con
gli occhi e i mezzi del poliziotto, rifiutando il brivido facile e nel rispetto
totale dei metodi di indagine che sono tipici della nostra Polizia. Sotto
questo profilo, quindi, i miei telefilm posseggono un innegabile valore
documentario sulle tecniche operative in uso nel nostro Paese nella lotta per
la repressione del crimine”. [intervista a Anton Giulio Majano, Giuseppe
Tabasso, Gli anti-Maigret di casa nostra, Radiocorriere TV, n. 19, 6
maggio 1973, pagina 42 e seguenti, Edizioni ERI, Torino].
In effetti, il primissimo episodio, Tutto di lei tranne il nome, non è particolarmente
avvincente, ma è comprensibile che più che sull’enigma da risolvere, nell’esordio
di una serie televisiva, ci si concentri sui personaggi. Ed essendo Qui
Squadra Mobile, come si comprende fin dal titolo, basato sul lavoro d’equipe,
è chiaro che la fase introduttiva possa risultare un tantino ferruginosa. Anche
perché, seppur c’era la necessità di migliorare la considerazione popolare della
Polizia, si decise di riuscirvi insistendo nella tradizione italiana televisiva
che voleva gli agenti dotati di spiccate caratteristiche di umanità. Era quindi
necessario prendersi il tempo per approfondire le psicologie di ogni personaggio,
non bastava mostrare detective infallibili alla Sherlock Holmes, dal momento
che lo scetticismo che accompagnava le forze dell’ordine aveva, come abbiamo
visto, radici assai più dure da estirpare. Per capirci, Ernesto Baldo, ai tempi,
scriveva esplicitamente –e non su un ciclostilato della contestazione ma sempre
sul Radiocorriere Tv, in pratica l’organo di stampa ufficiale della televisione
di stato– “La Polizia italiana non ha mai goduto popolarità” [Ernesto
Baldo, In primo piano la donna-poliziotto, Radiocorriere TV, n. 21, 20
maggio 1973, pagina 110 e seguenti, Edizioni ERI, Torino].
Al protagonista di spicco, il capo della Mobile, Antonio Carraro (Giancarlo
Sbragia), spetta quindi il compito di fare un po’ gli onori di casa nei
confronti dello spettatore; per via del suo ruolo preminente, è ovviamente
sempre la figura di riferimento della serie, ma questo fatto salta maggiormente
all’occhio nella prima puntata, quando non si conosce alcuno dei personaggi. Sbragia
è in gran forma e si muove con la massima disinvoltura sullo schermo; a
proposito di Carraro, l’interprete ne sottolinea efficacemente il carattere
solo apparentemente senza zone d’ombra. In un’intervista, lo stesso Sbragia
osservò: “La contraddizione di quest’uomo consiste in questo: che, impegnato a
risolvere i problemi che quotidianamente gli pone il suo lavoro, non si accorge
che le cose in casa sua vanno male. Da qui il conflitto con la figlia, che è
una ragazza di sedici anni, con tutti i problemi delle ragazze della sua età”. [intervista
a Giancarlo Sbragia in Salvatore Piscicelli, Anche ai figli spetta la
libertà di sbagliare, Radiocorriere TV, n. 20, 13 maggio 1973, pagina 34 e
seguenti, Edizioni ERI, Torino]. Nella serie, come accennato, la
componente umana è fondamentale e, non a caso, i problemi famigliari dei
protagonisti, primo fra tutti proprio Carraro, sono uno dei punti fermi del
racconto. Ne consegue che anche i famigliari, in questo caso la moglie Mafalda
(Mariolina Bovo) e la già citata figlia, Laura (Roberta Paladini), sono membri
di un discreto rilievo all’interno del cast. Come detto, il primo episodio non
è in sé trascendentale, la traccia principale, con un oscuro scrittore di
storie per il mercato della letteratura pornografica che viene ucciso
inscenando un suicidio, non decolla mai realmente. Per la verità, nonostante il
giallo non sia del tutto avvincente, lo spettatore può tirare un sospiro di
sollievo quando si rende conto che l’incipit, con la «banda degli
elettrodomestici», è un semplice diversivo. Le scene d’azione con i teppisti
che si aggirano per Roma e il loro soci, i ladri veri e propri, sono tra le
cose meno convincenti del film. Nonostante siano numerose le scene girate all’aperto,
la capitale italiana, ambientazione della serie, è vista prevalentemente in
scene d’interno, come da tradizione degli sceneggiati Rai d’epoca. Tra i locali
più iconici di Qui Squadra Mobile c’è naturalmente la Sala Operativa
che, a detta degli autori, è stata ricostruita in studio prendendo fedelmente a
modello quelle della realtà in uso alla Polizia. [Che
cos’è la Sala Operativa, Radiocorriere TV, n. 19, 6 maggio
1973, pagina 44, Edizioni ERI, Torino]. Se è subito chiaro che,
tra i collaboratori di Carraro, il personaggio designato al ruolo di coprotagonista
è il capo della Omicidi, Fernando Solmi (Orazio Orlando), è interessante la
presenza di una donna nella squadra. L’ispettrice Giovanna Nunziante (Stefanella
Giovannini) ha un duplice compito, in questo primo episodio: da una parte deve
reggere la storia sentimentale con il capo della sezione Rapine, Angelo Argento
(Elio Zamuto), dall’altro deve occuparsi di una dei colpevoli, in quanto donna.
Nel complesso una prima puntata interlocutoria ma che lascia intravvedere buone
potenzialità, a patto di mettere in scena un intreccio investigativo più accattivante.
Nessun commento:
Posta un commento