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domenica 29 settembre 2024

QUI SQUADRA MOBILE - TUTTO DI LEI TRANNE IL NOME

1553_QUI SQUADRA MOBILE - TUTTO DI LEI TRANNE IL NOME . Italia 1973; Regia di Anton Giulio Majano

In un paese che, per tradizione e cultura, non vedeva di buon occhio le forze dell’ordine, tra i tanti compiti che la Rai si era assegnata, c’era anche quello di riqualificarne la figura. Sin quasi dalle sue origini –era il 1958 quando fu trasmesso Aprite: Polizia!– la televisione di stato aveva prodotto costantemente sceneggiati, telefilm o originali televisivi con protagonisti commissari, detective e marescialli vari. La caratteristica che li contraddistingueva, più o meno tutti, era la spiccata umanità, un’attitudine che, evidentemente, interessava assai di più gli autori rispetto alle specifiche qualità d’investigazione. Ma, nel 1973, con «gli anni di piombo» ormai deflagrati, occorreva qualcosa di più specifico, di più intenso, per provare a riappacificare il clima e cercare di cancellare alcuni incresciosi episodi che, durante quel turbolento periodo, avevano visto protagonisti anche i rappresentanti delle forze dell’ordine. Proprio il 1973 si era aperto malissimo, in tal senso, con l’uccisione per mano di un agente di polizia di Roberto Franceschi, durante una manifestazione del Movimento Studentesco, a Milano. [pagina web Chi era costui? https://www.chieracostui.com/costui/docs/search/scheda.asp?ID=337 visitata l’ultima volta il 25 settembre 2024]. La fama della polizia raggiunse in quei giorni uno dei punti più bassi in termini di popolarità, anche perché, come detto, non si trattava affatto né di un caso isolato e nemmeno del primo morto che gli agenti lasciavano sull’asfalto. E, purtroppo, non sempre si trattava di persone coinvolte nelle dilaganti proteste: era ancora fresco il ricordo del povero Giuseppe Tavecchio, un pensionato colpito e ucciso accidentalmente da un lacrimogeno lanciato dalle forze dell’ordine, sempre a Milano. [sito del Comune di Milano, pagina web http://www.comune.milano.it/web/milano-memoria/-/lancio-targa-giuseppe-tavecchio visitato l’ultima volta il 25 settembre 2024]. È in questo clima che Massimo Felisatti e Fabio Pittorru scrivono il soggetto per Qui Squadra Mobile, la cui regia sarà affidata al solido Anton Giulio Majano. Il regista, per presentare il suo lavoro, in un’intervista al Radiocorriere, diede alcune dritte: “La tecnica narrativa da me adottata, non è quella del cosiddetto «doppio binario» che consente di raggiungere il massimo della suspense, alternando indagine poliziesca e comportamento del criminale. Nei miei film televisivi l’assassino è solo l’ultimo anello di una lunga catena investigativa, il risultato di un mosaico pazientemente costruito. La scoperta del colpevole, insomma, avviene con gli occhi e i mezzi del poliziotto, rifiutando il brivido facile e nel rispetto totale dei metodi di indagine che sono tipici della nostra Polizia. Sotto questo profilo, quindi, i miei telefilm posseggono un innegabile valore documentario sulle tecniche operative in uso nel nostro Paese nella lotta per la repressione del crimine”. [intervista a Anton Giulio Majano, Giuseppe Tabasso, Gli anti-Maigret di casa nostra, Radiocorriere TV, n. 19, 6 maggio 1973, pagina 42 e seguenti, Edizioni ERI, Torino]. In effetti, il primissimo episodio, Tutto di lei tranne il nome, non è particolarmente avvincente, ma è comprensibile che più che sull’enigma da risolvere, nell’esordio di una serie televisiva, ci si concentri sui personaggi. Ed essendo Qui Squadra Mobile, come si comprende fin dal titolo, basato sul lavoro d’equipe, è chiaro che la fase introduttiva possa risultare un tantino ferruginosa. Anche perché, seppur c’era la necessità di migliorare la considerazione popolare della Polizia, si decise di riuscirvi insistendo nella tradizione italiana televisiva che voleva gli agenti dotati di spiccate caratteristiche di umanità. Era quindi necessario prendersi il tempo per approfondire le psicologie di ogni personaggio, non bastava mostrare detective infallibili alla Sherlock Holmes, dal momento che lo scetticismo che accompagnava le forze dell’ordine aveva, come abbiamo visto, radici assai più dure da estirpare. Per capirci, Ernesto Baldo, ai tempi, scriveva esplicitamente –e non su un ciclostilato della contestazione ma sempre sul Radiocorriere Tv, in pratica l’organo di stampa ufficiale della televisione di stato– “La Polizia italiana non ha mai goduto popolarità” [Ernesto Baldo, In primo piano la donna-poliziotto, Radiocorriere TV, n. 21, 20 maggio 1973, pagina 110 e seguenti, Edizioni ERI, Torino]. Al protagonista di spicco, il capo della Mobile, Antonio Carraro (Giancarlo Sbragia), spetta quindi il compito di fare un po’ gli onori di casa nei confronti dello spettatore; per via del suo ruolo preminente, è ovviamente sempre la figura di riferimento della serie, ma questo fatto salta maggiormente all’occhio nella prima puntata, quando non si conosce alcuno dei personaggi. Sbragia è in gran forma e si muove con la massima disinvoltura sullo schermo; a proposito di Carraro, l’interprete ne sottolinea efficacemente il carattere solo apparentemente senza zone d’ombra. In un’intervista, lo stesso Sbragia osservò: “La contraddizione di quest’uomo consiste in questo: che, impegnato a risolvere i problemi che quotidianamente gli pone il suo lavoro, non si accorge che le cose in casa sua vanno male. Da qui il conflitto con la figlia, che è una ragazza di sedici anni, con tutti i problemi delle ragazze della sua età”. [intervista a Giancarlo Sbragia in Salvatore Piscicelli, Anche ai figli spetta la libertà di sbagliare, Radiocorriere TV, n. 20, 13 maggio 1973, pagina 34 e seguenti, Edizioni ERI, Torino]. Nella serie, come accennato, la componente umana è fondamentale e, non a caso, i problemi famigliari dei protagonisti, primo fra tutti proprio Carraro, sono uno dei punti fermi del racconto. Ne consegue che anche i famigliari, in questo caso la moglie Mafalda (Mariolina Bovo) e la già citata figlia, Laura (Roberta Paladini), sono membri di un discreto rilievo all’interno del cast. Come detto, il primo episodio non è in sé trascendentale, la traccia principale, con un oscuro scrittore di storie per il mercato della letteratura pornografica che viene ucciso inscenando un suicidio, non decolla mai realmente. Per la verità, nonostante il giallo non sia del tutto avvincente, lo spettatore può tirare un sospiro di sollievo quando si rende conto che l’incipit, con la «banda degli elettrodomestici», è un semplice diversivo. Le scene d’azione con i teppisti che si aggirano per Roma e il loro soci, i ladri veri e propri, sono tra le cose meno convincenti del film. Nonostante siano numerose le scene girate all’aperto, la capitale italiana, ambientazione della serie, è vista prevalentemente in scene d’interno, come da tradizione degli sceneggiati Rai d’epoca. Tra i locali più iconici di Qui Squadra Mobile c’è naturalmente la Sala Operativa che, a detta degli autori, è stata ricostruita in studio prendendo fedelmente a modello quelle della realtà in uso alla Polizia. [Che cos’è la Sala Operativa, Radiocorriere TV, n. 19, 6 maggio 1973, pagina 44, Edizioni ERI, Torino]. Se è subito chiaro che, tra i collaboratori di Carraro, il personaggio designato al ruolo di coprotagonista è il capo della Omicidi, Fernando Solmi (Orazio Orlando), è interessante la presenza di una donna nella squadra. L’ispettrice Giovanna Nunziante (Stefanella Giovannini) ha un duplice compito, in questo primo episodio: da una parte deve reggere la storia sentimentale con il capo della sezione Rapine, Angelo Argento (Elio Zamuto), dall’altro deve occuparsi di una dei colpevoli, in quanto donna. Nel complesso una prima puntata interlocutoria ma che lascia intravvedere buone potenzialità, a patto di mettere in scena un intreccio investigativo più accattivante. 


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