1388_VICTIM (Obet). Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania 2022; Regia di Michal Blasko.
È già buio pesto, il pullman è fermo in colonna e dovrà attendere che passino prima le automobili. L’autista informa i passeggeri: ci vorranno ore di attesa prima di riprendere la marcia verso al Repubblica Ceca. Irina (un’intensa e convincente Vita Smachelyuk) non ha assolutamente tutto quel tempo da perdere: suo figlio Igor (Gleb Kuchuk) è stato ricoverato all’ospedale. Sono una famiglia, madre e figlio, ucraina, emigrata da poco in Cechia e la donna è dovuta rientrare nel paese natio per questioni burocratiche, affidando il figlio all’amica Kamaràtka (Inna Zhulina). Il quartiere è tutt’altro che sicuro e, infatti, il suo ragazzo è stato trovato pestato a sangue sulle scale del condominio dove alloggiano. La donna si fa quindi consegnare il bagaglio, dallo scocciato autista che deve aprirle lo sportellone laterale dell’autobus, e se ne va con l’ingombrante trolley in piena notte, nel caos dei veicoli incolonnati. Se è lei la vittima a cui fa riferimento il regista Michal Blaško con il titolo del suo notevole film, non è una vittima inerme. Ma, forse, è già intuibile, c’è almeno un'altra papale “vittima” nel racconto –ma non sarà la sola– ed è appunto Igor, che ha perso un rene nell’operazione necessaria dopo il pesantissimo pestaggio ricevuto. Certo, il suo sembra un esempio calzante per il ruolo di vittima della storia, tuttavia, volendo ben vedere, c’è anche il ragazzo di etnia rom che finisce in galera, che potrebbe avere delle legittime ambizioni in tal senso. Il racconto filmico lo lascia però in disparte, evitando di chiamarlo sullo schermo e tirandolo in ballo solo come sospettato di far parte del drappello –tre individui, stando alle stentate parole di Igor– che ha picchiato il ragazzo ucraino.
Il giovane rom è innocente, verrà stabilito anche relativamente in fretta, nel corso del film ma, stando a quanto appreso dal racconto, rimarrà in carcere per tutta la durata dello stesso, uscendo, si può supporre, solo nel finale, dopo la dichiarazione pubblica di Irina. Siamo in un piccolo centro della Repubblica Ceca, si è detto, e, alle già presenti minoranze etniche presenti nel luogo, si sono aggiunti, in questi anni di guerra, anche coloro i quali hanno deciso di abbandonare l’Ucraina. Come Irina e Igor, appunto: la donna è sui quaranta abbondanti, il ragazzo non è maggiorenne. Due vittime della guerra, di quell’aggressione russa che ha sensibilizzato notevolmente l’Europa: due vittime simbolicamente perfette per raccontare il nostro presente. Ma, come accennato, la donna dimostra una certa tempra: non resta seduta nel bus ad aspettare, tanto per cominciare, e poi conferma quest’indole battagliera nel corso degli avvenimenti. Fa questione coi vicini di casa, la famiglia rom del piano di sopra –quella a cui appartiene il ragazzo che finirà in prigione accusato dell’aggressione di Igor– e, nella disputa, dimostra una certa prepotenza. Va, beh, d’accordo; ma questi tizi, quando si fanno la doccia, le allagano l’appartamento, che diamine. É una parrucchiera ma, ora, pur di sopravvivere, fa le pulizie; le respingono la domanda di cittadinanza ceca, la riformula di nuovo. Insomma, non è un tipo che si arrende, Irina; figuriamoci quando le pestano il figlio riducendolo in fin di vita e negandogli per sempre la possibilità di proseguire la promettente carriera di ginnasta. L’investigatore Novotný (Igor Chmela) interroga a più riprese Igor, che, tra un silenzio e una mezza parola, alla fin fine accusa genericamente tre ragazzi. Il giovane è convalescente e, forse, ancora sotto choc: ma non sembra troppo disposto a collaborare con le forze dell’ordine, questo è evidente.
La sua confusa deposizione fa cadere i sospetti sui rom del quartiere: i dissapori tra gli immigrati ucraini e i rom sono noti, il giovane che abita al piano di sopra ha precedenti penali, e, per cominciare, finisce “al fresco” almeno lui. Un provvedimento che inasprisce ancora di più la situazione e Irina, tra le altre cose, si ritrova l’automobile coi finestrini frantumati. E non è questa pur barbara ostilità il risvolto peggiore che avrà la vicenda. Ma andiamo con ordine: intanto, l’ingiustizia subita da Igor e Irina, è notata dalla comunità, che se ne interessa, dimostrando apparentemente grande senso civico. Selský (Viktor Zavadil), un ex ginnasta o qualcosa del genere, organizza una marcia di protesta, Irina viene intervistata e finisce addirittura al telegiornale e, infine, la sindaco l’aiuta nel cercare un nuovo alloggio, le offre una somma di denaro a nome della comunità e le promette di aiutarla ad ottenere l’agognata cittadinanza. Tutto questo trambusto che si innesta sull’indomita volontà della donna ucraina, finisce per travolgerla; ma, se Irina rimane più spaesata che lusingata da tale mole di attenzioni, Igor ne è addirittura infastidito e chiede alla madre di desistere dal suo operare. Qui comincia a delinearsi meglio anche la personalità del giovane: l’eccessivo risalto del fatto, rischia infatti di smascherare il suo gioco, ed è questa la prima vera cosa che sembra preoccuparlo. Non è stato, infatti, pestato: è semplicemente caduto nella tromba della rampa di scale mentre si pavoneggiava con l’amichetta del cuore, mostrandole le sue –presunte, a questo punto– qualità di ginnasta appendendosi alla ringhiera del condominio. Per Irina, è un colpo durissimo.
È qui che Victim, il film di Michal Blaško, svolta e si avvia a vincere la sua partita a mani basse. Finora, cos’era stato, infatti, il racconto? Una storia di immigrati con un pestaggio tra giovani dalle conseguenze gravi ma, in un mondo fatto di guerre in ogni angolo, transfughi che muoiono lungo il loro peregrinare, diritti umani negati a milioni di persone, questa storia non era che un dettaglio minimo. E invece no. Qui, il problema morale che si scarica sulle spalle della povera Irina è molto più di quello di un banale pestaggio o dei pur drammatici problemi dell’emigrazione. La questione è assai più radicale: quanto ci costa, dire la verità? Mentre Irina prende tempo, l’investigatore Novotný, forse l’unica altra persona di coscienza del racconto, non se ne sta con le mani in mano. Anche perché la tesi raccontata da Igor non sta in piedi: le ferite del ragazzo sono compatibili con una caduta, non con un pestaggio. Al suo superiore, il procuratore, i dubbi dell’investigatore interessano però il “giusto”: indaghi pure ma, intanto, il ragazzo rom oggetto di fermo sta bene dove sta, in prigione. La cosa morde però la coscienza di Irina, che si rende conto della gravità della falsa deposizione del figlio. Innanzitutto ha mandato un innocente in galera; inoltre rischia lui stesso di essere accusato di calunnia o falsa testimonianza. Nel frattempo, la donna cerca di riappacificarsi con la vicina di casa, la madre del ragazzo incarcerato; in fondo ne condivide la disperazione.
La verità.
Nessun commento:
Posta un commento