1391_I PREDONI DELLA CITTA' (Abilene Town). Stati Uniti 1946; Regia di Edwin L. Marin.
Sorprendente esempio di western romantico che
anticipa temi più tipici nelle correnti successive del genere, I predoni
della città del bravo Edwin L. Marin, stupisce anche per il complessivo
taglio moderno. Il tema della violenza di cui è contagiato il protagonista e
soprattutto la sponda sentimentale sono, per altro, cliché che il film ben
rispetta. Nonostante Randolph Scott sia già di suo una sorta di garanzia
morale, il protagonista da lui interpretato, il vicesceriffo Dan, si becca una
bella strigliata da una delle due star femminili della storia, per via della
sua indole violenta. In realtà il nostro Dan non è certo un ammazzasette, nonostante
sia convinto, da buon americano, che la violenza sia necessaria almeno fino a
che non se ne può fare a meno. Il che può suonare una sorta di cortocircuito
verbale ma corrispondente alla realtà: decenni di ricorso alla violenza ‘quando
è inevitabile’ non hanno, di fatto, pacificato del tutto gli Stati Uniti, visto
che quello della violenza è tutt’ora un grave problema da quelle parti. E non è
una divagazione fuori tema, perché è questo è l’argomento de I predoni della
città: la violenza non servirà più quando arriveranno persone migliori di
loro, sentenzia ad un certo punto Dan. Non sono ancora arrivate, ad oggi.
In genere, nel western romantico, la violenza è associata al protagonista, che
è un bandito, in quanto l’arrivo della civiltà alla frontiera finiva per
mettere fuori legge i sistemi di chi, fino a quel momento, si era arrangiato da
sé per cavarsela. Il lato romantico serviva a bilanciare l’atmosfera delle
storie, che erano in bilico tra la violenza dei personaggi e le loro passioni
amorose.
Ne I predoni della città il protagonista è uno sceriffo tutto d’un pezzo, com’è tipicamente nelle corde dei personaggi di Randolph Scott, ma in più di un’occasione l’uomo rivela la sua natura violenza e sottolinea come, in fondo, non la rinneghi. Dalla smorfia dopo la scazzottata con Jet (Jack Lambert), al fatto che non se la prenda minimamente per il pesante scherzetto che gli tira il suo capo, lo sceriffo Bravo Trimple (Edgar Buchanan, spassoso anche più del solito). L’aspetto umoristico è uno degli elementi di forza del film, che nel complesso è quindi particolarmente leggero. Ci sono battute ficcanti e divertenti ma, grazie alla comica fisicità di Buchanan, le gag sono anche di natura più grossolana. In questo modo la riflessione sulla violenza è resa senza eccessivo carico, tanto che ne troviamo traccia anche nel rapporto tra il protagonista e le citate figure femminili.
A Sherry (una Rhonda Fleming ventiduenne dalla bellezza immacolata), che lo aveva accusato pesantemente di essere un violento e di provare gusto ad uccidere, Dan, quasi in contrappunto, chiede cosa abbia provato nel momento in cui la ragazza colpisce in testa un malintenzionato. La giovane è la figlia di un commerciante ed è anche l’unica, in paese, ad essere esplicitamente contro la violenza e ad appoggiare i coloni. L’altra star femminile della pellicola è una sgambettante Ann Dvorak, nei succinti panni della cantante da saloon Rita, che si produce in alcuni numeri musicali davvero di ottimo livello, anche per la presenza scenica dell’attrice. La matrice di Rita è più sanguigna, e interpreta il lato violento dell’America in contrapposizione a quello laborioso impersonato da Sherry, e i calci che rifila ripetutamente al povero Dan sono la prova concreta della sua indole tutt’altro che pacifica. Non a caso, quando sarà il momento, il vicesceriffo sceglierà lei e non la più bella rivale, che si consolerà, peraltro, con il miglior colono del lotto, Henry (Lloyd Bridges). Saranno state le gambe della Dvorak, generosamente ostentate durante la pellicola, o la più simile natura violenta di Rita, a convincere Dan? Nonostante questi temi sentimentali, intrecciati al problema sulla natura tumultuosa del paese, I predoni della città esplora anche altri aspetti della conquista del west, a cominciare dalla disputa tra allevatori – i leggendari cowboys – e i contadini. In realtà c’è un paese da creare, o meglio da ‘unire’, e questo tema è sottolineato in più aspetti: dalla citazione ad inizio, che prende come riferimento la lacerante Guerra Civile – “finita da cinque anni” – ai due lati della città di Abilene – quello coi bottegai e quello coi saloon – all’accennata lotta tra coloni e allevatori. Ad innescare la miccia è la questione del filo spinato, che i contadini usarono per proteggersi dalle mandrie, il che è un argomento interessante, perché di fatto questo è uno strumento di divisione e non propriamente di unificazione. La questione è delicata, in punta di diritto i coloni avevano le loro ragioni, ben argomentate nel film; però l’idea romantica del selvaggio west, come uno spazio aperto con i terreni demaniali destinati a pascolo e a chi ne avesse bisogno, ha ancora un suo fascino. Ma è il prezzo da pagare per la civiltà: più filo spinato, meno cow boys violenti. Un po’ come Rita che, in onore alla civilizzazione che le impone Dan, dovrà smettere i suoi abitini scosciati fatti di lustrini per un rustico grembiule da casalinga. Benefici della civiltà, pare.
Rhonda Fleming
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