1387_A HOUSE MADE OF SPLINTERS (Budynok iz trisok). Danimarca, Svezia, Finlandia, Ucraina 2022; Regia di Simon Lereng Wilmont.
Tecnicamente, la qualità migliore di A house made of splinters, film di Simon Lereng Wilmont, è probabilmente la capacità del regista di “nascondere” la presenza della macchina da presa. Si tratta di un documentario, e questo è esplicito, eppure durante la visione può venire più di un dubbio che siamo di fronte a scene ricostruite, artefatte e che gli attori stiano recitando anziché vivere la propria vita. Certo, il fatto che al centro della scena ci siano perlopiù dei bambini, è una sorta di arma a doppio taglio: non hanno la malizia nel mascherare le bugie, qualità indispensabile per un attore, ma dalla loro hanno una spontaneità a cui possono attingere in qualunque condizione, anche davanti ad una telecamera che li sta riprendendo. E già che siamo in tema, tanto vale affrontare subito la questione: l’utilizzo dei bambini può sollevare qualche obiezione, nel senso che si può intendere la cosa come facile scorciatoia per commuovere il pubblico, ma questo genere di osservazioni sono tipiche di chi guarda il dito invece della luna nel classico esempio. Se A house made of splinters ha raccolto premi ovunque, dal Sundance Film Festival ad una manciata di manifestazioni europee, ed è stato candidato in altrettanti occasioni tra cui quella degli Oscar all’Academy Awards, è proprio per la qualità del lavoro di Loreng Wilmont e, soprattutto, per il senso della misura e la discrezione con cui si avvicina ad un tema tanto delicato. Il che non vuol dire che il suo sguardo sia ovattato o attutito: al contrario, la tristezza e il senso di ingiustizia, che sgorgano dalle sue immagini sono anzi ancora più potenti, proprio perché il regista non ricorre a comodi stratagemmi narrativi di grana grossa.
La casa fatta di schegge, traduzione letterale del titolo, è un istituto situato a Lysychansk, a venti chilometri dalla linea del fronte, nell’Ucraina Orientale, che accoglie temporaneamente i minori che abbiano problemi con la famiglia. Qualcosa di simile ad un orfanotrofio se non che i genitori dei bambini non sono morti ma assenti, indifferenti e incuranti della sorte dei loro figli. Prima di togliere la responsabilità genitoriale, e mandare i minori in affido, le autorità ucraine “parcheggiano” –termine orribile, ma tant’è– per un periodo temporaneo i bambini nell’istituto in questione, dando modo ai genitori di dimostrare la loro affidabilità. Eventualità che, nei casi mostrati in A house made of splinters, non avviene mai. Solo la giovane Eva, dodicenne circa, protagonista del primo frammento narrativo, riesce a far ritorno a casa, ma il merito è della nonna che risponde alle chiamate degli assistenti sociali e si presenta a riprendere la nipote. Alina e Sasha, due bambinette che non arrivano ai dieci anni, vengono invece affidate ad una “nuova mamma”. Kolya, un appena adolescente un po’ irrequieto, finisce invece all’orfanotrofio: lì ritrova i “vecchi” compagni di strada, ragazzini un po’ più grandi con cui fumava di nascosto nella migliore delle ipotesi. Kolya, infatti, era stato "beccato" più di una volta a rubare e aveva fin qui scampato la galera per via della minore età, ma i poliziotti erano stati chiari, con lui.
Un piccolo teppistello, dunque? Anche, ma un fratello maggiore a suo modo responsabile e addolorato nel vedersi separato dai fratellini, il piccolo Zhenya e dolcissima Kristina, la più giovane della famiglia. La costante che lega, inevitabilmente, tutti questi casi è l’alcool: madri e padri perennemente ubriachi, con questi ultimi che, come aggravante, in queste circostanze diventano anche violenti. Ma, per la verità, sebbene il consumo di alcolici sembra un problema di per sé stesso visto che Alina e Sasha si confessano l’una con l’altra di aver già provato a bere birra, la cosa sembra avere radici più profonde. L’alcool è un’aggravante, questo è certo, ma sembra innestarsi e peggiorare in maniera fatale una situazione già tragica. La guerra, siamo nel Donbas, ha avuto ripercussioni pesanti sul tessuto sociale, disgregandolo fin dentro le famiglie, impoverite fino alla miseria e spogliate di ogni speranza verso il futuro. In questo senso l’alcool potrebbe essere visto dalle persone come un comodo rifugio e non essere, quindi, tanto la prima causa dei problemi mostrati in A house of splinters quanto, piuttosto, la prima conseguenza, almeno cronologicamente parlando, della tragedia bellica. La disgregazione dell’Ucraina, come nazione, è probabilmente uno degli obiettivi dell’attacco russo e guardandone i risultati in profondità, sembra proprio che questo risultato sia stato ottenuto. E’ difficile trovare una speranza con cui, essendoci dei bambini al centro del racconto, è doveroso chiudere, anche perché pare che, dopo il 24 febbraio 2022, l’istituto dove è ambientato il film sia stato addirittura chiuso. Ma la si può trovare nelle lacrime di commozione delle assistenti sociali, Marharyta Burlutska, Anjelika Stolyarova e Olga Tronova: se tre indizi fanno una prova, come si usava dire un tempo, tre donne come loro possono fare molto di più. Anche una nazione.
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