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giovedì 2 novembre 2023

LE OMBRE DEGLI AVI DIMENTICATI

1385_LE OMBRE DEGLI AVI DIMENTICATI (Tini zabutych predkiv). Unione Sovietica 1964; Regia di Sergei Parajonov.

In origine Le ombre degli avi dimenticati è un romanzo di Kocjubyns’kyj Mychajlo che rievoca i miti e le tradizioni ancestrali della popolazione Hutsuli (noti anche come Gutsul e traslitterato in altri molti modi), antichi abitanti dei Carpazi. La prosa di Mychajlo è definita un “realismo magico” forte ed impressionista e, per il regista sovietico Sergei Parajonov, dovette sembrare perfetta per esprimere il proprio visionario talento. Era il 1964, ricorreva il centenario della nascita di Mychajlo, e Parajnov decide di imprimere una decisa svolta alla sua carriera che ne segua i veri intenti. In precedenza, dopo aver contribuito attivamente alla propaganda di regime –con opere che in seguito definirà spazzatura– aveva dato già qualche accenno della sua incontenibile verve visionaria, ad esempio in Rapsodia Ucraina (1961), ma è con Le ombre degli avi dimenticati che Parajnov prende decisamente una strada personale e originale. Oltre che non in linea con le direttive sovietiche in materia di cinema e ed è proprio con questo lungometraggio che il regista comincia ad avere quei problemi con l’autorità del proprio paese che lo porteranno, nel 1974, alla condanna di cinque anni di reclusione, per reati che appaiono pretestuosi. Le ombre degli avi dimenticati è un film spiazzante, che lascia esterrefatti sin dal folgorante inizio, dove muore il fratello di Ivan, colpito da un albero appena abbattuto. La tragedia irrompe violentemente sulla scena e così farà anche in seguito, alimentata dalla macchina da presa che Parajonov utilizza in modo spesso brutale, con panoramiche che definire schiaffo è un eufemismo, e accompagnerà tutto quanto il racconto, sebbene spesso acquattandosi e lasciando spazio alla delicatezza, alla gioia, all’amore, ma rimanendo sempre in agguato. Perché nel caleidoscopio di colori ed emozioni di Le ombre degli avi dimenticati, tutti i sentimenti si alternano, a volte sovrapponendosi, in un gioco che permette di esaltare anche le pittoresche tradizioni delle comunità che vivevano sui Carpazi. Ivan, il citato protagonista (interpretato prima da Igor Dzyra nelle scene in cui è bambino, e da Ivan Mikolaychuk da adulto) appartiene alla stirpe dei Paliychuk e si innamora di Marichka (Valentina Glinko da bimba e Larisa Kadochnikova da ragazza) che è la rampolla dei Gutenyuk, la famiglia rivale. 

Un’altra scena improvvisa e violenta, con il padre di Marichka (Aleksandr Raydanov) che uccide con un colpo d’accetta in testa quello di Ivan (Aleksandr Gai), non ferma la storia d’amore dei ragazzi mentre chiarisce ulteriormente gli intenti surrealisti di Parajonov, con il sangue dell’ucciso che, colando sullo schermo, copre la momentanea ripresa in soggettiva e si trasforma nell’immagine di rossi cavalli al galoppo. Tuttavia l’unione tra Ivan e Marichka non è destinata a concretizzarsi: mentre il ragazzo è lontano dal paese, a prestare lavoro come pastore, la giovane, nel tentativo di salvare una delle sue caprette, finisce in un burrone e poi in fondo al torrente, dove muore annegata. L’ennesima tragedia del racconto segna in modo indelebile Ivan che mai dimenticherà la sua Marichka: in seguito, si sposerà con la conturbante Palagna (Tatyana Bestayeva), ma non riuscirà ad estirpare dal suo cuore il ricordo del suo primo amore. 

Il finale, con Palagna che si rivolge alla stregoneria per conquistare finalmente il marito ha, come prevedibile, tragici risvolti in un succedersi di immagini vertiginose e surreali. Gli elementi che Parajonov fonde nella sua opera, sono tanti e personali, sorretti da scelte tecnicamente coraggiose, come il lutto di Ivan girato tutto in bianco e nero in un film in cui i colori, forti e accesi, sono uno dei punti di riferimento. I canti e, soprattutto, la straniante musica, i suoni dei flauti, da quelli abituali diffusi in occidente, a quelli più lunghi, tipici della cultura Hutsuli – è da queste parti che è stato inventato il trembita, che pare sia il flauto più lungo al mondo – fino alle melodie del drimba, il locale scacciapensieri, accompagnano incessantemente il film, alimentando la vena psichedelica della pellicola. Più che un film, un’esperienza che rimanda non solo alla tradizione popolare dei Carpazi Ucraini e al surrealismo ma anche all’avanguardismo sovietico, e attinge da una miriade di riferimenti impossibili da cogliere per lo spettatore occidentale. Tuttavia l’alchimia complessiva è ammaliante ed ipnotica e, sebbene sia arduo aver la pretesa di comprenderne appieno tutti i risvolti, Le ombre degli avi dimenticati è un film impressionante per la sua forma visiva, per la sua capacità di coinvolgere e per il suo effetto straniante. Gli avi e le loro ombre, si cui parla il titolo, non saranno mai più dimenticati.   











Larisa Kadochnikova



Tatyana Bestayeva



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