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giovedì 23 novembre 2023

SUSPENSE

1396_SUSPENSE (The Innocents). Regno Unito 1961; Regia di Jack Clayton.

Spesso, le trasposizioni di opere da un media artistico ad un altro lasciano perplessi quando non addirittura contrariati. In particolar modo la letteratura è, mettiamola così, piuttosto maldisposta nei confronti del cinema, per via del trattamento che spesso questi le riserva. Alle volte, forse in modo cautelativo, viene cambiato il titolo, quasi a rimarcare che, tra una riduzione per il grande schermo e la sua fonte originale su carta, vi sia una significativa differenza. Altre, come nel caso celeberrimo di Shining (1980), il regista Stanley Kubrick lasciò inalterato il titolo del libro di Stephen King, ma ne cambiò in parte lo spirito, almeno stando allo scrittore. Non è un riferimento fatto a caso, tra i tanti possibili, quello di Shining, perché il romanzo di King aveva qualche indubbio debito nei confronti dello splendido Il giro di vite di Henry James, caposaldo della letteratura in senso assoluto e di quella horror in particolare. In quella che è sostanzialmente la sua versione del romanzo di James, il regista Jack Clayton utilizzò come soggetto la pièce teatrale The innocents di William Archibald (1950), sceneggiata dallo stesso Archibald e adeguata prima da Truman Capote e poi da John Mortimer, e di questa ha mantenuto il titolo, almeno nell’edizione originale. In Italia i distributori si sono inventati un Suspense che, se ben rappresenta il tipo di sensazione che si prova guardando il film, contribuisce ulteriormente a sviarci dalla vera fonte dell’opera. Che, in questo caso, sarebbe stato invece bello e opportuno tenere bene a mente anche grazie al titolo: quella di Clayton è infatti una degna trasposizione cinematografica de Il giro di vite, uno dei romanzi migliori di sempre e di certo uno dei più profondamente inquietanti. 

Ma si era detto delle difficoltà che il cinema incontra, sovente, nel ridurre la letteratura sullo schermo; come ci è riuscito, quindi, Clayton, che non è nemmeno particolarmente famoso come regista? Innanzitutto va specificato che non si intende che Suspense sia bello quanto il romanzo di James; sono opere diverse e, come tali, vanno contestualizzate. Il giro di vite è poi un romanzo leggendario e il paragone è eventualmente scomodo per chiunque, non solo per il film di Clayton. Tuttavia, va dato atto al sottostimato regista britannico di essere riuscito a ghermire lo spirito del libro, parte dell’atmosfera e, tutto sommato, anche il senso profondo; non cose da poco, quindi. Clayton, tra l’altro, è un regista che incuriosisce, perché nonostante non riuscì ad imporsi in modo significativo, lasciò comunque alcuni spunti degni di nota. Suspense è certamente il suo capolavoro, nonché l’opera considerata più valida di Freddie Francis come direttore della fotografia; molto funzionali le musiche Georges Auric e il montaggio di James Clark. E dire che, a quanto si legge, Clayton era inizialmente scettico sull’idea di girare nel CinemaScope voluto dalla 20th Century Fox, lo studio di produzione; il regista era forse perplesso sull’eccessivo spazio laterale che, in una storia di fantasmi da giocare prevedibilmente sul fuori campo, risultava concettualmente una sorta di autogol. A risolvere i timori di Clayton fu Freddy Francis, mago del bianco e nero – nonché futuro regista horror di serie B – che si produsse in un eccellente lavoro per utilizzare al meglio lo spazio messo a disposizione dal formato panoramico. Personaggi lasciati ai margini dell’inquadratura, viste di profilo, punti di ripresa insoliti, e poi un’estrema ‘profondità di campo’ che non dava scampo: Francis e Clayton misero in atto tutta una serie di espedienti mirati a creare nello spettatore una sorta di disagio pur se in modo discreto e sottile. 

Debora Kerr, nella parte di Miss Giddens, la giovane istitutrice protagonista, completò l’opera con una prestazione maiuscola, cogliendo l’atmosfera inquietante con un’azione, prima introspettiva e poi interpretativa, straordinaria. Il ruolo di Miss Giddens è cruciale ed è questa una delle intuizioni geniali di Henry James, ripresa in modo adeguato da Clayton: la ragazza è presentata come la quintessenza della purezza, della bontà d’animo, dell’incorruttibilità. Ma non per questo severa nel giudizio sugli altri. Anzi, Miss Giddens si rivela assai tollerante, quando evita di lasciar in qualche modo intendere una sua possibile disapprovazione alla filosofia di vita dell’illustre personaggio (Michael Redgrave) che l’assume per badare ai suoi nipoti. Costui chiarisce subito che intende pagarla per togliergli il fastidio di far dietro ai due piccoli e lascia ampiamente capire che, dal punto di vista umano, non è particolarmente coinvolto nella sorte dei due ragazzini. Tuttavia Miss Giddens, che invece ripete a più riprese il suo amore per i bambini, non si lascia scappare alcun commento sulla condotta di uno zio tanto indifferente per quelli che, oltre ad essere due innocenti creature, sono anche suoi parenti stretti. Ecco, basta già questa brevissima impostazione della vicenda per coglierne il punto cardine. La giovane istitutrice, che ben conosce l’amore dovuto ai bambini, evita accuratamente di manifestare la benché minima forma di dissenso nei confronti dello zio; anche la più velata e sottointesa critica è repressa da Miss Giddens che, evidentemente, conosce anche il valore della tolleranza alle idee e condotte altrui. 

Ma questo continuo sforzo per contenere qualunque forma di reazione che possa in qualche modo perturbare la sua docile indole, ha un suo lato oscuro. Il timore che qualcosa possa corrompere la sua innocenza, la sua purezza, la costringe ad una costante attenzione alle tentazioni della vita; perfino ad un istintivo moto di disapprovazione. Forse, non a caso, una donna giovane e bella come lei (Debora Kerr è perfetta nel rendere la bellezza esente da erotismo manifesto dell’istitutrice) è ancora zitella. Se la cosa riesce a trovare un suo equilibrio, fintanto che riguarda lei stessa, progressivamente degrada fino alla tragedia, quando Miss Giddens proietta le proprie paure sui due bambini a cui deve badare. In questo senso il testo di James, che aveva già quest’impostazione, è clamorosamente moderno. Le doti considerate positive e preziose, quelle all’insegna del buon senso, della tolleranza, della prudenza, sono in qualche modo funzionali finché sono gestite dall’individuo per la propria condotta, ma diventano letali quando vengono imposte ad altri. Ecco che viene spiegata bene, in un testo di fine Ottocento, la realtà odierna con la miriade di leggi che tentano di prevedere l’imprevedibile e di tutelare i cittadini, i lavoratori, le minoranze, i minori, le donne, e via dicendo. I legislatori di oggi sono tanti piccoli Miss Giddens che vedono fantasmi e pericoli ovunque; a volte queste insidie ci sono anche, ma nella maggioranza dei casi è più il danno creato da queste interferenze nella vita quotidiana di ognuno che il reale beneficio che l’individuo ne trae. Clayton, con il punto di vista del suo film, asseconda la visione di Miss Giddens, ritraendo i piccoli Miles (Martin Stephens) e Flora (Pamela Franklin) con una certa ambiguità. Certo, non a livello dei fantasmi di Peter Quint (Peter Wyngarde) e Mary Jessel (Clytie Jessop), che appaiono come creature scopertamente malefiche, ma anche i fanciulli hanno un che di inquietante. 

Ma è solo la suggestione indotta ed enfatizzata, filtrata dalle paure dell’istitutrice. In realtà, il comportamento di Miles e Flora è semplicemente quello di due bambini che, ogni tanto, rivelano la natura umana. Una natura che non è necessariamente sempre e del tutto innocente. Purtroppo, sotto la lente deformante di una esagerata e malriposta preoccupazione, la reazione di Miss Giddens, con tutte le conseguenze catastrofiche che genera, è devastante. E’ lei, a questo punto, a divenire il pericolo, la minaccia, per i bambini: il timore che i due ragazzi possano finire sotto il nefasto influsso di due ipotetici fantasmi, assume le sembianze e la potenza del Male assoluto. Miles e Flora, per quanto possano destare qualche perplessità, ma va ricordato che li vediamo nell’ottica di Miss Giddens, hanno anche l’alibi di non poter conoscere a fondo la corruzione di Quint e Mary. I due servitori della magione, passati recentemente a miglior vita, erano soliti dare scandalo con la loro condotta a mrs. Groce (Megs Jenkins) ma, soprattutto, non si curavano della presenza dei bambini durante i loro rapporti sessuali. Situazione in effetti critica, eppure, più i fatti in sé stessi, è proprio Miss Giddens, che immaginando, anzi, visto il tema del racconto, fantasticando sulle prestazioni di Quint e Mary, ipotizza chissà quale corruzione abbia contaminato i due bambini. L’istitutrice era stata accolta con favore dai piccoli ma, al quel punto, Flora l’avrebbe totalmente avversata, manco fosse una sorta di demone. Miles era già più cresciuto e Miss Giddens l’aveva voluto con sé per il chiarimento finale, nella grande casa, unicamente loro due. E i fantasmi, naturalmente. Miles non avrebbe avuto scampo, avrebbe dovuto ammettere di essere sotto la nefasta influenza di Quint. Confesserà, il ragazzo, di essere stato corrotto? Si manifesterà apertamente Quint? Basterà la catarsi della confessione a Miles per liberarsi? Domande prevedibili ma fuori bersaglio. Il Male non si annida nell’anima nera di Quint, ormai morto, e nemmeno in quella innocente di Miles; i bambini non sono santi, ma certo non custodiscono alcun demone davvero pericoloso. Almeno non quanto quello di chi, come Miss Giddens, vuole salvare a tutti i costi la tua anima. E, per farlo, crea e alimenta il peggiore dei mali possibili, davanti al quale non solo il povero Miles collassa, ma anche noi, ogni giorno, siamo costretti a cedere un poco, inesorabilmente.
Il Male che attanaglia le persone insicure e pavide, quelle che poi devono esternare in qualche modo la loro vigliaccheria, seppure amichevolmente mascherata da prudenza, da prevenzione, da ossequioso rispetto delle regole. Perché è questo il Male più grande che esiste: la paura di vivere.  
 








Deborah Kerr 






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