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giovedì 17 dicembre 2020

LA POLIZIA HA LE MANI LEGATE

693_LA POLIZIA HA LE MANI LEGATE . Italia; 1975. Regia di Luciano Ercoli.

Il poliziottesco, nel 1975, era ormai al suo apice ma rischiava di deragliare (cosa che avrebbe poi fatto) così il regista Luciano Ercoli prova a dare nuova linfa ad una delle concrete e valide radici della corrente. La polizia ha le mani legate, suo film del 1975, è un buon prodotto di genere, intendiamoci: scorrevole, incalzante, magistralmente fotografato da Marcello Gatti, che ci rende una delle migliori Milano del tempo, sostenuto dal commento musicale di routine ma sempre efficace di Stelvio Cipriani. Ma l’aspetto più interessante dell’opera è un altro. Il poliziesco all’italiana affondava infatti le sue ragion d’essere nel clima violento degli anni 70, frutto di una serie di motivazioni politico sociali che avrebbero alimentato gli anni di piombo per un lunghissimo periodo. I poliziotteschi, pur essendo prodotti meramente di genere, erano comunque strettamente legati al clima del periodo. Ercoli prova però a rendere questa connessione più stretta, imbastendo una storia che trae evidente ispirazione dalla tragica strage di piazza Fontana a Milano; c’è persino l’indagato che finisce giù da una finestra. Il suo La polizia ha le mani legate non arriva, però, ad essere un esempio della corrente dei film di denuncia sociale o d’inchiesta, che avevano riferimenti ancora più espliciti. Sembra una scelta consapevole: la presenza di Arthur Kennedy (è il Procuratore Generale Di Federico) è un riferimento al cinema americano, il cinema di finzione per eccellenza. Nel cast anche Claudio Cassinelli (Commissario Matteo Rolandi), già avvezzo a fare il commissario nei poliziotteschi, e Franco Fabrizi (Luigi Balsamo) grande attore del nostro cinema, nel quale spesso ha interpretato personaggi discutibili ma qui, per una volta, nei panni di un onesto poliziotto anche se un po’ imbranato. L’idea di Ercoli, di utilizzare un fatto di cronaca tanto importante come semplice spunto di partenza per il suo film, forse non può dirsi completamente riuscita perché, rimanendo un po’ troppo tra le righe, non aggiunge molto alla trama poliziesca. Ma ha un indiscutibile merito: va a colmare quello spazio che, al tempo, una certa critica italiana ampliava artificiosamente tra il genere poliziottesco e quello d’inchiesta


I film del poliziesco all’italiana, per via della violenza mostrata, erano etichettati come di destra; quelli dove i riferimenti politici erano più espliciti e diretti, di sinistra. In realtà il fenomeno cinematografico dei poliziotteschi non era particolarmente politicizzato, sebbene è probabile che, nel complesso, subisse una certa influenza dalle idee progressiste. Essendo però un genere che trattava un aspetto concreto ed estremo della società, ovvero il rapporto con coloro che decidevano di infrangere le regole, era quasi costretto a arrivare ad una soluzione di pragmatica. D’accordo, i metodi della polizia, spesso brutali, venivano contestati dalla sinistra politica, ma il genere del poliziesco all’italiana doveva, per sua natura, mettere giocoforza dei funzionari dello stato al centro delle storie raccontate. Ed era vero, come efficacemente si evince dal titolo del film di Ercoli, che il rispetto delle procedure, a fronte di persone che arbitrariamente decidevano di infrangere la legge in modo subdolo e opportuno, metteva i tutori dell’ordine in condizioni di impotenza. La questione non era teorica ma patita sulla pelle della popolazione che viveva in prima persona i cosiddetti anni di piombo: in questo senso l’intuizione di Ercoli era giusta, perché la strategia della tensione si è visto, nel corso degli anni, che non era pura fantasia ma aveva radici politiche ed istituzionali. 
E’ quindi quella eversiva la matrice del poliziottesco che La polizia ha le mani legate cerca di rimettere in giusta luce, con connessioni dirette con la violenza dilagante.


 La criminalità comune, protagonista di altre opere del genere, era il corollario, alimentava e si alimentava quello stesso clima che però era stato manovrato a dovere. Non si trattava di un’operazione a posteriori di Ercoli, visto che quella eversiva era una delle radici del poliziottesco; basti pensare ad uno dei primissimi esempi del filone, La polizia ringrazia (1972, regia di Steno) e il genere contava, per la verità, numerosi altri esempi. Siccome il poliziesco all’italiana aveva tanti cliché narrativi molto enfatizzati (la violenza, gli inseguimenti, il poliziotto di ferro, ecc.) Ercoli cerca così di ricordare che la traccia eversiva non fosse totalmente una mera invenzione narrativa degli autori. Ma, se anche lo fosse stata, oggi potremmo dire che avrebbe denotato la loro lungimiranza.


Sara Sperati



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