687_I 400 COLPI (Les Quatre Cents Coups). Francia; 1959. Regia di Francois Truffaut.
Lungometraggio di esordio di Francois Truffaut, I 400 colpi, mette subito in campo alcune idee che il grande autore aveva in mente per cambiare il cinema francese e, visto l’importanza della scuola transalpina, mondiale. Alla base dell’idea di cinema di Truffaut c’era la sua opera come critico, nei celeberrimi Cahiers du Cinéma, rivista a cui collaboravano anche Jean-Luc Godard, Claude Chabrol e altri che daranno poi vita alla citata Nouvelle Vague. E la Nouvelle Vague francese fece sentire forte la sua voce per la prima volta proprio con la vittoria al Festival di Cannes nel 1959 con I 400 colpi e, in generale, si può ben dire che il lavoro di Truffaut rimanga uno dei vertici assoluti della corrente. Il rifiuto del conformismo imperante, la volontà di riportare il cinema ad una dimensione più umana, più vera, più personale, possono sembrare oggi concetti quasi scontati ma, al tempo, furono una vera rivoluzione, una boccata d’aria fresca e pungente che, tra l’altro, è una delle immagini che meglio rende l’effetto che l’esordio di Truffaut fa ancora oggi sullo schermo. E’ quindi evidente che il suo approccio non fu per nulla improvvisato: per quanto l’opera sprizzi vitalità e spunti di insubordinazione, il lavoro di Truffaut è particolarmente attento. Per dare credibilità alla sua storia, uno dei crucci della nuova corrente cinematografica francese, l’autore diede una decisa forma autobiografica al racconto.
Certo, non tutte le vicende sono strettamente aderenti al suo vissuto, c’è qualche passaggio preso da vite di altri e qualcosa avrà pure romanzato, ma il protagonista Antoine Doinel è di fatto il suo alter ego. Jean-Pierre Léaud, il ragazzino che lo interpreta, diventerà una sorta di attore feticcio per Truffaut, tornando a più riprese ad interpretare la versione cinematografica del regista sullo schermo. Con una solida base autobiografica e un’abilità di narratore fuori dal comune, è chiaro che la profondità dei personaggi, lo sviluppo delle situazioni, e insomma tutto quanta la credibilità di I 400 colpi è memorabile e questi aspetti sono ampiamente riconosciuti in qualunque ambito, che sia di critica specializzata, di appassionati o anche del semplice pubblico di spettatori. D’altra parte l’opera di Truffaut è oggi considerata in modo adeguato, dopo essere stata ampiamente valutata, studiata, e approfondita.
E’ comunque difficile rimanere insensibili di fronte alla magia del regista francese, dal suo desiderio di farsi strada, dalla necessità di fuggire alle costrizioni, siano anch’esse qualcosa non necessariamente di sbagliato. Nel film, ad esempio, la scuola e la famiglia sono le istituzioni maggiormente mal sopportate da Antoine. Ma non è che il ragazzo le contesti per scelta: la sua famiglia è un disastro e a scuola le cose cominciano ad andare male quanto viene punito perché ha per le mani un’immagine di una pin-up che, precedentemente, aveva fatto il giro di tutti gli alunni. In sostanza si tratta di un’ingiustizia e, per un adolescente, diventa difficile avere fiducia in un’istituzione che non è equa.
Si tratta di dettagli narrativi, d’accordo, ma serve ricordarli perché la voglia di ribellione di Antoine ha sì connotati che possono essere ritenuti gratuiti, (il furto della macchina da scrivere), ma che arrivano anche perché ci si trova all’interno di una società che non è riuscita a fornire le coordinate morali di riferimento all’individuo. La madre (Claire Maurier) è egoista e traditrice, il padre (Albert Rémy), superficiale e insignificante; tra queste figure si può tracciare forse un parallelo con il cinema americano (la Maurier che si sfila le calze vale una diva hollywoodiana) e quello conformista francese (il personaggio di Rémy unicamente intento alle manifestazioni sportive, di puro di svago, quindi). Nel caso, Truffaut risulterebbe più legato al cinema americano, visto che il signor Doinel non è il vero padre di Antoine e nei suoi confronti il ragazzo ha un atteggiamento sostanzialmente indifferente.
Più sofferto il rapporto con la madre, il cui epicentro è rappresentato dall’incontro galeotto con lei alle prese con l’amante e lui a spasso per la città invece di essere a scuola. La donna, scaltramente, non farà mai cenno del suo marinare la scuola e cercherà piuttosto di stabilire un tacito patto omertoso: è uno dei rari momenti affettuosi (per quanto di comodo) tra madre e figlio. In simili condizioni, rese visivamente opprimenti anche dalla sapiente regia (l’appartamento angusto, la fatiscente tromba delle scale, le grate del posto di polizia) non ci sono tante alternative se non cercare di cambiare aria. La fuga dunque, dalle convenzioni, dalle oppressioni, ma anche una volta arrivati al mare, in genere simbolo di libertà, Antoine si rende conto di non avere una concreta possibilità di scampo. Il fermo immagine sul suo volto, mentre si volta verso la spiaggia, verso la terraferma, verso quella società da cui ha provato vanamente a fuggire, è il manifesto programmatico del cinema di Truffaut. Per quanto arduo, non c’è niente altro da fare. La matrice rivoluzionaria del cinema di Truffaut non è tanto una scelta, quanto l’unica possibilità.
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