677_DA CORLEONE A BROOKLYN . Italia; 1979. Regia di Umberto Lenzi.
Guardando il cast di Da Corleone a Brooklyn viene quasi scontato definire questo buon poliziottesco dello specialista Umberto Lenzi, come l’occasione di incontro/scontro tra Maurizio Merli e Mario Merola. Il primo è nella sua classica parte del commissario, in questo caso chiamato Giorgio Berni ma dalla personalità non troppo dissimile dai Betti o dai Tanzi di altri polizieschi all’italiana interpretati. Merola, il re della sceneggiata, si produce invece in una prestazione più contenuta del solito, con l’anomalia che lascia un po’ perplessi che lo vede interpretare un mafioso palermitano a cui ogni tanto sfugge l’inflessione napoletana nella parlata. E’ certamente un peccato veniale, nell’economia complessiva del film, sia chiaro, ma è anche un indice di eccessiva approssimazione che da un regista come Umberto Lenzi sarebbe lecito pretendere fosse evitato. Ma è anche l’ennesima conferma dei limiti delle produzioni italiane del cinema di genere: opere potenzialmente quasi sempre di buon livello, ma troppo spesso vanificate da sciatteria o scarsa cura dei dettagli. Tuttavia, ritornando al confronto tra Merli e Merola, anche stavolta, come recita il detto tra i due litiganti il terzo gode, a spuntarla è il personaggio che si inserisce tra la coppia di protagonisti: Biagio Pelligra che interpreta Salvatore Scalia. La posizione sospesa tra i due è esemplificata dal ruolo che Scalia ha nella storia: è il pentito che deve testimoniare contro Michele Barresi, il boss mafioso interpretato da Merola. E’ quindi un cattivo passato, volente o nolente, dalla parte dei buoni; e quindi si trova giusto in mezzo alle figure del commissario interpretato da Merli e di Merola nella parte del mafioso.
Pelligra è un habitué del poliziottesco, spesso in ruoli marginali di bassa manovalanza criminale. Stavolta Lenzi gli ritaglia uno spazio maggiore e Pelligra non si lascia scappare l’occasione: pur senza strafare, ci regala un personaggio interessante che, per una volta, rende un minimo tridimensionale anche la figura del villan comprimario, di seconda importanza, del poliziesco all’italiana, abitualmente appena abbozzata. Da parte sua il personaggio di Berni ricalca un po’ stancamente la tipica personalità prevista dal genere: dalla durezza con cui interpreta il ruolo di funzionario di polizia, ai problemi con la moglie, che sembra ancora esserne legata sentimentalmente ma è stufa della sua professione. Sia Lenzi, come regista, che Merli, come attore, si sono forse accorti che un simile personaggio ha poco da aggiungere, alla soglia degli anniLaura Belli
Nessun commento:
Posta un commento