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venerdì 21 agosto 2020

CHI UCCIDERA' CHARLEY VARRICK?

620_CHI UCCIDERA' CHARLEY VARRICK? (Charley Varrick); Stati Uniti, 1973Regia di Don Siegel.

Forse in ossequio a chi aveva pensato che il regista di Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo! fosse un paladino della polizia e dei suoi metodi sbrigativi, un paio di anni più tardi Don Siegel chiarisce il suo punto di vista sulla questione con l’altrettanto eccellente Chi ucciderà Charley Varrick? In questo film, un poliziesco di pura e solida azione, il regista nato a Chicago dà una evidente dimostrazione di come egli non parteggi per una fazione o per l’altra, ma stia semplicemente dalla parte dei suoi anti-eroi, in questo caso, Charley Varrick, l’ultimo degli indipendenti. La contesa, aspra e che mette in ballo tutto, dalla ricchezza alla vita stessa, vede in gara più che altro differenti organizzazioni, da quelle istituzionali a quelle criminali, mentre l’individuo che non si affilia, l’indipendente anti-eroe tanto caro a Siegel, rischia di rimanere fuori dai giochi che contano. Anzi, a ben vedere, si può piuttosto dire che la capacità di tenersi ai margini è diventata quasi indispensabile per questi personaggi, come il Charley Varrick del film (uno strepitoso Walter Matthau), per poter sperare di non infastidire i pescicani troppo voraci e potenti. In effetti, la rapina alla banca di Tres Cruces messa in preventivo da Varrick e dai suoi improvvisati complici, mira ad un bottino di poche migliaia di dollari; così, giusto per non disturbare eccessivamente. Le cose vanno però in modo completamente imprevisto dagli inesperti banditi: ci scappano subito tre morti (tra cui un poliziotto) e il bottino è molto più importante di quanto preventivato, addirittura quasi un milione! 

Purtroppo nel conflitto a fuoco rimane colpita mortalmente anche la moglie di Varrick, Nadine (Jaqueline Scott) la cui presenza nella storia è forse utile a dimostrare l’umanità dell’uomo nei frangenti che contano. Perché Varrick, pur se compare nelle vesti di rapinatore di banche, non è un individuo completamente negativo, anzi; è semplicemente l’ultimo degli indipendenti, come recita il suo biglietto da visita. E in una società dove è assente (o quasi) il quadro morale, bisogna sapersi arrangiare, improvvisare, ma anche essere in grado di pianificare di momento in momento, velocemente, con sangue freddo e determinazione. La citata assenza, in questa storia, di un quadro morale va specificata, perché non è così netta. In effetti, la polizia e in generale le forze dell’ordine, svolgono con buona fede il loro lavoro; soltanto sembrano sorta di macchiette, personaggi buffi e comici. Il film, nonostante l’adrenalina diffusa, soprattutto in avvio potrebbe essere inteso come una specie di recita, con i protagonisti mascherati: i rapinatori lo sono davvero, Varrick ha trucco, capelli grigi e occhiali spessi e pure un piede ingessato, mentre i poliziotti, che un costume già ce l’hanno (la divisa), della commedia hanno la tempra, il carattere. 


Dopo lo scontro a fuoco, lo sceriffo se ne va in giro con una lieve ferita sulla fronte, proprio nel punto in cui il collega morto era stato invece centrato dalla pistola di Nadine; se ne ricava una mezza impressione che il personaggio si sia dimenticato di essere stato ammazzato. E nel caso la cosa possa sfuggire allo spettatore distratto, ci pensa un bambino a sottolinearla. Quello stesso bambino che poco prima dà una segnalazione allo sceriffo della targa dell’auto dei rapinatori, sbagliandosi e venendo corretto dallo sceriffo stesso, che già l’aveva annotata. In pratica tutta quanta la scena somiglia molto ad una gag comica, con lo sceriffo nell’ingrato ruolo del preso in giro. E’ poi sicuramente comica e fuori tempo (in netto ritardo) l’azione che i tutori dell’ordine imbastiscono per catturare i rapinatori nella roulotte; in questo caso è la vecchietta vicina di casa a sbertucciarli in modo esplicito. Ma le figure istituzionali del film non si fermano alla sola polizia, vi è anche una sorta di controparte, questa decisamente meno in buona fede, ovvero quella delle strutture finanziarie. La banca di Tres Cruces ha nella cassaforte più contanti del previsto perché fa parte di una organizzazione assai poco pulita che evidentemente se ne serve per riciclare denaro sporco. Questa organizzazione, che ha un’anima prettamente malavitosa al netto delle rispettabili apparenze, è la seconda parte in gioco nel film, oltre alla citata polizia: Varrick è il guastatore che si muove nel mezzo, riuscendo, clamorosamente, a tenere in scacco entrambe. Un po’ in modo spiazzante, Siegel connota visivamente nel suo film questa ambigua organizzazione come fossero i buoni di un film western, genere che, tra l’altro, occhieggia qua e là nella pellicola. Molly (Joe Don Baker) il killer incaricato da questi signori di sistemare il problema, veste e ha i rozzi modi del cowboy, sebbene in chiave negativa. 


Che è un tipo ambiguo, in effetti, e non il classico eroe alla John Wayne, ce lo dice già il nome, che suona femminile; ma non è certo una mezza donnicciola, sia chiaro, ma una vera macchina di morte. Maynard Boyle (John Vernon) il boss dell’organizzazione, ad un certo punto, si ferma a parlare con il direttore della banca di Tres Cruces vicino ad un recinto dove pascola una mandria di vacche, salendo sulla staccionata, proprio come un vero allevatore. Ecco, quando si diceva che il quadro morale in Chi ucciderà Charley Varrick? è ambiguo si intendeva questo: è come se il protagonista si trovi contro polizia e cowboy (i buoni dei due generi a cui il film fa maggiormente riferimento, poliziesco e western), ma questi non sono affatto alleati tra loro, anzi. In ogni caso, al netto delle apparenze, l’azione di disturbo dei rapinatori porta a galla le differenze di intenti tra due delle principali istituzioni della società, l’ordine e la finanza. Il fatto che nel film il tema dell’inganno, del travestimento, del trucco, sia così forte ci dice anche della difficoltà a comprendere la realtà che raramente è come appare. In effetti, da questo punto di vista, Siegel si dimostra particolarmente attento e maturo, imbastendo una storia con alcuni passaggi che non vengono rimarcati in modo ridondante come spesso avviene al cinema: lo scambio delle radiografie, la vera messa al dito del cadavere del complice, sono dettagli precisi di un piano di Varrick che lo spettatore deve sbrigarsi ad intuire da sé. Ma il gioco di mistificare le apparenze, e quindi della difficoltà di vedere le cose come stanno, è reso visivamente anche dalle tante superfici riflettenti che schermano o rendono difficile la visione. 


In modo abbastanza intuibile si può notare come le forze di polizia siano spesso viste attraverso vetri sporchi, siano finestrini o cristalli delle auto, a ribadire la difficoltà a comprendere la situazione in cui versano. In effetti nessuno di loro è nemmeno a conoscenza dell’enormità della somma rubata, e dei tre elementi in gioco (Varrick, polizia, associazione finanziaria criminale) sono quelli meno consapevoli di ciò che va accadendo. Varrick, invece, fa della capacità di gestire la situazione, grazie a presenza di spirito unita all’abilità nel modificare a piacimento le apparenze, il suo punto di forza. Passa da un travestimento (vecchio e infortunato, disinfestatore), ad una recita (il finto abbraccio fraterno a Boyle, nel finale), mentre Siegel usa, nel suo caso, gli schermi (vetri, cristalli, occhiali) per consentirgli di nascondersi. Più nitida invece la vista dell’organizzazione, con Boyle che ha un ufficio con finestre che dominano il paesaggio o che nella scena del recinto sale sulla staccionata in posizione di controllo; dal canto suo, Molly, esteticamente perfetto cowboy da western classico, come quelle mitiche figure è sempre sul pezzo, conosce in anticipo le mosse degli avversari e comunque sa come ottenere le giuste informazioni. 

La figura di Varrick, che poi, almeno ‘nominalmente’, scompare nel rogo che vediamo sia ad inizio che alla fine del film, sembra quasi un chiarimento da parte di Siegel a chi gli rinfacciava la durezza dei modi dei protagonisti, ultimo dei quali Dirty Harry. Come ben intuito da Mario Molinari nel suo pezzo per Il cinema di Don Siegel, (Edizioni il Foglio, 2011) in Chi ucciderà Charley Varrick? si coglie, a differenza con casi precedenti, una certa continuità nella filmografia del regista. 

Forse, addirittura, si potrebbe azzardare che si tratti di una sorta di opera con cenni speculari alla precedente: a partire dal titolo originale Charley Varrick, nome e cognome del personaggio protagonista, un po’ come Dirty Harry, soprannome e nome del caso precedente. (Curioso poi che in entrambi i casi i distributori italiani abbiano inserito il nome del personaggio in una frase discorsiva). La visione ribaltata dello specchio mette in primo piano ora un criminale, là dove c’era l’ispettore Callaghan, quasi a dare uno sguardo a 360°, osservando cioè le cose anche della controparte. Più precisamente, se Dirty Harry (o Harry la carogna), giocava un po’ a fare il poliziotto cattivo, qui Varrick è un criminale tutto sommato umano (si veda la scena con la moglie morente o anche il commiato al complice). Insomma, Siegel cerca di ribadire l’indipendenza dei suoi anti-eroi, termine, come abbiamo appena visto, perfetto per i suoi personaggi sempre fuori posto. Perché, per quanto sempre in grado di cavarsela con tempra e presenza di spirito, questi personaggi non hanno un luogo riservato come gli eroi del senso classico (L’inferno è per gli eroi film del regista del 1962). Nessun posto, invece, per gli indipendenti; ma questo non significa che si arrenderanno.  




Jaqueline Scott



Felicia Farr



Sheree North





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