620_CHI UCCIDERA' CHARLEY VARRICK? (Charley Varrick); Stati Uniti, 1973. Regia di Don Siegel.
Forse in ossequio a chi aveva pensato che il regista di Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo!
fosse un paladino della polizia e dei suoi metodi sbrigativi, un paio di anni
più tardi Don Siegel chiarisce il suo punto di vista sulla questione con
l’altrettanto eccellente Chi ucciderà
Charley Varrick? In questo film, un poliziesco di pura e solida azione, il
regista nato a Chicago dà una evidente dimostrazione di come egli non parteggi
per una fazione o per l’altra, ma stia semplicemente dalla parte dei suoi
anti-eroi, in questo caso, Charley Varrick, l’ultimo
degli indipendenti. La contesa, aspra e che mette in ballo tutto, dalla
ricchezza alla vita stessa, vede in gara più che altro differenti organizzazioni,
da quelle istituzionali a quelle criminali, mentre l’individuo che non si
affilia, l’indipendente anti-eroe tanto caro a Siegel, rischia di rimanere
fuori dai giochi che contano. Anzi, a ben vedere, si può piuttosto dire che la
capacità di tenersi ai margini è diventata quasi indispensabile per questi
personaggi, come il Charley Varrick del film (uno strepitoso Walter Matthau),
per poter sperare di non infastidire i pescicani troppo voraci e potenti. In
effetti, la rapina alla banca di Tres Cruces messa in preventivo da Varrick e dai
suoi improvvisati complici, mira ad un bottino di poche migliaia di dollari;
così, giusto per non disturbare eccessivamente. Le cose vanno però in modo
completamente imprevisto dagli inesperti banditi: ci scappano subito tre morti
(tra cui un poliziotto) e il bottino è molto più importante di quanto
preventivato, addirittura quasi un milione!
Purtroppo nel conflitto a fuoco
rimane colpita mortalmente anche la moglie di Varrick, Nadine (Jaqueline Scott)
la cui presenza nella storia è forse utile a dimostrare l’umanità dell’uomo nei
frangenti che contano. Perché Varrick, pur se compare nelle vesti di rapinatore
di banche, non è un individuo completamente negativo, anzi; è semplicemente
l’ultimo degli indipendenti, come recita
il suo biglietto da visita. E in una società dove è assente (o quasi) il
quadro morale, bisogna sapersi
arrangiare, improvvisare, ma anche essere in grado di pianificare di momento in
momento, velocemente, con sangue freddo e determinazione. La citata assenza, in
questa storia, di un quadro morale va specificata, perché non è così netta. In
effetti, la polizia e in generale le forze dell’ordine, svolgono con buona fede
il loro lavoro; soltanto sembrano sorta di
macchiette,
personaggi buffi e comici. Il film, nonostante l’adrenalina diffusa,
soprattutto in avvio potrebbe essere inteso come una specie di recita, con i
protagonisti mascherati: i rapinatori lo sono davvero, Varrick ha trucco,
capelli grigi e occhiali spessi e pure un piede ingessato, mentre i poliziotti,
che un costume già ce l’hanno (la divisa), della commedia hanno la tempra, il
carattere.
Dopo lo scontro a fuoco, lo sceriffo se ne va in giro con una lieve
ferita sulla fronte, proprio nel punto in cui il collega morto era stato invece
centrato dalla pistola di Nadine; se ne ricava una mezza impressione che il
personaggio si sia dimenticato di essere stato ammazzato. E nel caso la cosa
possa sfuggire allo spettatore distratto, ci pensa un bambino a sottolinearla. Quello
stesso bambino che poco prima dà una segnalazione allo sceriffo della targa
dell’auto dei rapinatori, sbagliandosi e venendo corretto dallo sceriffo stesso,
che già l’aveva annotata. In pratica tutta quanta la scena somiglia molto ad
una gag comica, con lo sceriffo nell’ingrato ruolo del
preso in giro. E’ poi sicuramente comica e fuori tempo (in netto
ritardo) l’azione che i tutori dell’ordine imbastiscono per catturare i
rapinatori nella roulotte; in questo caso è la vecchietta vicina di casa a
sbertucciarli in modo esplicito. Ma le figure istituzionali del film non si
fermano alla sola polizia, vi è anche una sorta di controparte, questa
decisamente meno in buona fede, ovvero quella delle strutture finanziarie. La
banca di Tres Cruces ha nella cassaforte più contanti del previsto perché fa
parte di una organizzazione assai poco pulita che evidentemente se ne serve per
riciclare denaro sporco. Questa organizzazione, che ha un’anima prettamente
malavitosa al netto delle rispettabili apparenze, è la seconda parte in gioco
nel film, oltre alla citata polizia: Varrick è il guastatore che si muove nel
mezzo, riuscendo, clamorosamente, a tenere in scacco entrambe. Un po’ in modo
spiazzante, Siegel connota visivamente nel suo film questa ambigua
organizzazione come fossero i
buoni
di un film western,
genere che, tra
l’altro, occhieggia qua e là nella pellicola. Molly (Joe Don Baker) il killer
incaricato da questi signori di sistemare il problema, veste e ha i rozzi modi
del cowboy, sebbene in chiave negativa.
Che è un tipo ambiguo, in effetti, e
non il classico eroe alla John Wayne, ce lo dice già il nome, che suona
femminile; ma non è certo una mezza donnicciola, sia chiaro, ma una vera
macchina di morte. Maynard Boyle (John Vernon) il boss dell’organizzazione, ad
un certo punto, si ferma a parlare con il direttore della banca di Tres Cruces
vicino ad un recinto dove pascola una mandria di vacche, salendo sulla
staccionata, proprio come un vero allevatore. Ecco, quando si diceva che il
quadro morale in
Chi ucciderà Charley
Varrick? è ambiguo si intendeva questo: è come se il protagonista si trovi
contro polizia e cowboy (i buoni dei due
generi
a cui il film fa maggiormente riferimento, poliziesco e western), ma questi non
sono affatto alleati tra loro, anzi. In ogni caso, al netto delle apparenze,
l’azione di disturbo dei rapinatori porta a galla le differenze di intenti tra
due delle principali istituzioni della società, l’ordine e la finanza. Il fatto
che nel film il tema dell’inganno, del travestimento, del trucco, sia così
forte ci dice anche della difficoltà a comprendere la realtà che raramente è
come appare. In effetti, da questo punto di vista, Siegel si dimostra
particolarmente attento e maturo, imbastendo una storia con alcuni passaggi che
non vengono rimarcati in modo ridondante come spesso avviene al cinema: lo
scambio delle radiografie, la vera messa al dito del cadavere del complice,
sono dettagli precisi di un piano di Varrick che lo spettatore deve sbrigarsi
ad intuire da sé. Ma il gioco di mistificare le apparenze, e quindi della difficoltà
di vedere le cose come stanno, è reso visivamente anche dalle tante superfici
riflettenti che schermano o rendono difficile la visione.
In modo abbastanza
intuibile si può notare come le forze di polizia siano spesso viste attraverso
vetri sporchi, siano finestrini o cristalli delle auto, a ribadire la
difficoltà a comprendere la situazione in cui versano. In effetti nessuno di loro
è nemmeno a conoscenza dell’enormità della somma rubata, e dei tre elementi in
gioco (Varrick, polizia, associazione finanziaria criminale) sono quelli meno
consapevoli di ciò che va accadendo. Varrick, invece, fa della capacità di
gestire la situazione, grazie a presenza di spirito unita all’abilità nel
modificare a piacimento le apparenze, il suo punto di forza. Passa da un
travestimento (vecchio e infortunato, disinfestatore), ad una recita (il finto
abbraccio fraterno a Boyle, nel finale), mentre Siegel usa, nel suo caso, gli
schermi (vetri, cristalli, occhiali) per consentirgli di nascondersi. Più
nitida invece la vista dell’organizzazione, con Boyle che ha un ufficio con
finestre che dominano il paesaggio o che nella scena del recinto sale sulla
staccionata in posizione di controllo; dal canto suo, Molly, esteticamente
perfetto cowboy da western classico, come quelle mitiche figure è sempre sul
pezzo, conosce in anticipo le mosse degli avversari e comunque sa come
ottenere le giuste informazioni.
La figura di Varrick, che poi, almeno
‘nominalmente’, scompare nel rogo che vediamo sia ad inizio che alla fine del
film, sembra quasi un chiarimento da parte di Siegel a chi gli rinfacciava la
durezza dei modi dei protagonisti, ultimo dei quali Dirty Harry. Come ben
intuito da Mario Molinari nel suo pezzo per
Il
cinema di Don Siegel, (Edizioni il Foglio, 2011) in
Chi ucciderà Charley Varrick? si coglie, a differenza con casi
precedenti, una certa continuità nella filmografia del regista.
Forse,
addirittura, si potrebbe azzardare che si tratti di una sorta di opera con
cenni speculari alla precedente: a partire dal titolo originale
Charley Varrick, nome e cognome del
personaggio protagonista, un po’ come
Dirty
Harry, soprannome e nome del caso precedente. (Curioso poi che in entrambi
i casi i distributori italiani abbiano inserito il nome del personaggio in una
frase discorsiva). La visione ribaltata dello specchio mette in primo piano ora
un criminale, là dove c’era l’ispettore Callaghan, quasi a dare uno sguardo a
360°, osservando cioè le cose anche della controparte. Più precisamente, se
Dirty
Harry (o
Harry la carogna)
, giocava un po’ a fare il
poliziotto cattivo, qui Varrick è un criminale tutto sommato umano (si veda la
scena con la moglie morente o anche il commiato al complice). Insomma, Siegel
cerca di ribadire l’indipendenza dei suoi anti-eroi, termine, come abbiamo appena
visto, perfetto per i suoi personaggi sempre fuori posto. Perché, per quanto sempre
in grado di cavarsela con tempra e presenza di spirito, questi personaggi non hanno
un luogo riservato come gli eroi del senso classico (
L’inferno è per gli eroi film del regista del 1962). Nessun posto, invece,
per gli
indipendenti; ma questo non
significa che si arrenderanno.
Jaqueline Scott
Felicia Farr
Sheree North
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