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venerdì 7 agosto 2020

IL MASSACRO DI FORT APACHE

613_IL MASSACRO DI FORT APACHE (Fort Apache). Stati Uniti, 1948. Regia di John Ford.

Nel capolavoro Il massacro di Fort Apache, oltre alla validità dell’opera in sé, è interessante notare l’immensa abilità del regista John Ford nel mostrare, illustrando a tutto tondo più che raccontando una storia lineare, il suo film. Non è un aspetto secondario: il cinema è prevalentemente un’arte figurativa, anche  quello americano e anche e soprattutto il genere americano per eccellenza, il western. Ma il cinema americano è da sempre fortemente sorretto dalla storia che va a raccontare. Nel caso di questo Il massacro di Fort Apache la trama è però abbastanza semplice; non è quindi l’intreccio a sostenere la vicenda, come è invece abbastanza abituale ad Hollywood. No, ne Il massacro di Fort Apache Ford non racconta, piuttosto lavora in altro modo: la sua abilità risiede nel portare avanti contemporaneamente due temi, svelandoli, mostrandoli, e definendo il film con un’azione duplice, potremmo dire a tenaglia, per usare un termine militare consono a questa pellicola dedicata alla Cavalleria americana. Prendiamo uno dei protagonisti di questo film, il colonnello Owen Thursday (il personaggio interpretato da Henry Fonda, che in italiano viene chiamato Turner): il suo nome (Thursday = giovedì) nonché la sua storia, ricorda un po’ troppo il naufragio di Robinson Crusoe il cui amico fidato si chiamava invece Venerdì. E, in effetti, il colonnello sembra davvero naufragare su un’isola sperduta; anche perché il Fort Apache del titolo non ha niente del forte militare che siamo abituati a vedere al cinema. Il che sembrerebbe rendere il tutto una mezza farsa, dopotutto l’atteggiamento fin troppo impettito del militare potrebbe non aiutare a renderlo infatti propriamente credibile. E che dire della presenza di Shirley Temple? Sebbene molto carina, quasi deliziosa, l’attrice, che di anni ne ha 20, interpreta una sedicenne ancora troppo acerba, degna di una recita più che di un film. E per di più, nel film, ha il bizzarro nome di una città, Philadelphia, su cui si imbastisce un dialogo assurdo e farsesco. 
Eppure la sola presenza scenica di Henry Fonda basta per rendere il tutto più che credibile: e del resto è pur vero che i militari, nella realtà, spesso sono davvero così, figure in cui il confine tra eroe leggendario e personaggio da operetta è labile. E il riferimento al colonnello Custer è abbastanza riconoscibile. A questo punto arriva John Wayne che da solo basta e avanza per tenere in piedi qualunque film ma Ford lo utilizza comunque in modo magistrale: il capitano Kirby York, il personaggio interpretato dal Duca, è di levatura morale sicuramente superiore rispetto al Colonnello Thursday, ma mantiene quella pragmatica tipicamente yankee che spesso suona un po’ troppo rozza. Ad esempio quando, con un gesto irrispettoso, getta la bottiglia vuota nel Rio Grande, dopo che il compagno di origini messicane ha appena fatto un accalorato brindisi guardando la sua terra natia. 

Questa capacità di Ford di descrivere i fatti e i caratteri in modo avvolgente e anche contraddittorio è presente per tutta la durata del film; giusto per dire, la vita in un forte assediato dagli Apache in rivolta viene mostrata soprattutto nei suoi aspetti più sereni e divertenti come l’addestramento delle reclute. O, eventualmente, con problemi non così drammatici come la storia d’amore tra la figlia del colonnello, Philadelphia, e un tenente di umili origini; relazione che è prevedibilmente osteggiata dall’ottuso comandante. Ford sembra davvero appassionato nel descrivere la vita quotidiana del forte, con le sue canzoni, i suoi riti, le sue abitudini, ma non manca, nella scena del Ballo dei Sottoufficiali, di inserire un momento di tensione pur nel contesto di generale serenità. Che poi tanto serena la vita del forte non può essere, naturalmente, perché prima o poi gli Apache assurgono alla ribalta, e lo fanno in modo davvero magistrale. 

Prima del massacro evocato dal titolo italiano, i nativi sono protagonisti di un incontro parlamentare, congiuntamente ai vertici di Fort Apache, nel quale Cochise, il gran capo, arringa duramente contro i soldati e il governo degli Stati Uniti con termini talmente eloquenti che imbarazzano perfino il traduttore. Le conseguenze di queste parole, dure ma veritiere, sono immaginabili, e la superbia arrogante del colonnello Thursday chiuderà la questione nel modo prevedibile. Ma va detto che il militare presterà fede fino all’ultimo alla sua natura e, sebbene criticabile per la sua cieca arroganza, saprà meritarsi almeno l’onore militare con un coerente estremo sacrificio. Il finale prosegue in doppio binario, con la figura di Thursday che viene incensata sia sul versante epico che su quello storico, con il capitano York che non può esimersi dal rispetto per il gesto con il quale il colonnello nel finale prova a riscattarsi. 
Ecco quindi la grandezza di John Ford: ci ha mostrato la vita del forte, con simpatia per i soldati e le loro donne, i personaggi validi come il capitano York e quelli più discutibili, ma comunque carismatici, come il colonnello Thursday, facendo un quadro credibile e affascinante, anche se certamente romanzato. Ma non va dimenticato che, al momento cruciale, il geniale regista di origini irlandesi si è fatto tremendamente serio spiattellando sullo schermo, in modo anche brutale, da che parte stava la ragione. 
E non era dalla parte dei bianchi.











Shirley Temple




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