613_IL MASSACRO DI FORT APACHE (Fort Apache). Stati Uniti, 1948. Regia di John Ford.
Nel capolavoro Il massacro di Fort Apache, oltre alla
validità dell’opera in sé, è interessante notare l’immensa abilità del regista
John Ford nel mostrare, illustrando a tutto tondo più che raccontando una storia
lineare, il suo film. Non è un aspetto secondario: il cinema è prevalentemente
un’arte figurativa, anche quello americano e anche e soprattutto il genere americano per eccellenza,
il western. Ma il cinema americano è da sempre fortemente sorretto dalla storia
che va a raccontare. Nel caso di questo Il massacro di Fort Apache la
trama è però abbastanza semplice; non è quindi l’intreccio a sostenere la
vicenda, come è invece abbastanza abituale ad Hollywood. No, ne Il massacro
di Fort Apache Ford non racconta, piuttosto lavora in altro modo: la
sua abilità risiede nel portare avanti contemporaneamente due temi, svelandoli,
mostrandoli, e definendo il film con un’azione duplice, potremmo dire a
tenaglia, per usare un termine militare consono a questa pellicola dedicata
alla Cavalleria americana. Prendiamo uno dei protagonisti di questo film, il colonnello
Owen Thursday (il personaggio interpretato da Henry Fonda, che in italiano
viene chiamato Turner): il suo nome (Thursday = giovedì) nonché la sua storia,
ricorda un po’ troppo il naufragio di Robinson Crusoe il cui amico fidato si
chiamava invece Venerdì. E, in effetti, il colonnello sembra davvero naufragare
su un’isola sperduta; anche perché il Fort Apache del titolo non ha niente del
forte militare che siamo abituati a vedere al cinema. Il che sembrerebbe
rendere il tutto una mezza farsa, dopotutto l’atteggiamento fin troppo
impettito del militare potrebbe non aiutare a renderlo infatti propriamente credibile.
E che dire della presenza di Shirley Temple? Sebbene molto carina, quasi deliziosa,
l’attrice, che di anni ne ha 20, interpreta una sedicenne ancora troppo acerba,
degna di una recita più che di un film. E per di più, nel film, ha il bizzarro
nome di una città, Philadelphia, su cui si imbastisce un dialogo assurdo e
farsesco.
Eppure la sola presenza scenica di Henry Fonda basta per rendere il
tutto più che credibile: e del resto è pur vero che i militari, nella realtà, spesso
sono davvero così, figure in cui il confine tra eroe leggendario e personaggio
da operetta è labile. E il riferimento al colonnello Custer è abbastanza
riconoscibile. A questo punto arriva John Wayne che da solo basta e avanza per
tenere in piedi qualunque film ma Ford lo utilizza comunque in modo magistrale:
il capitano Kirby York, il personaggio interpretato dal Duca, è di
levatura morale sicuramente superiore rispetto al Colonnello Thursday, ma mantiene
quella pragmatica tipicamente yankee che spesso suona un po’ troppo
rozza. Ad esempio quando, con un gesto irrispettoso, getta la bottiglia vuota nel
Rio Grande, dopo che il compagno di origini messicane ha appena fatto un
accalorato brindisi guardando la sua terra natia.
Prima
del massacro evocato dal titolo italiano, i nativi sono protagonisti di un
incontro parlamentare, congiuntamente ai vertici di Fort Apache, nel quale
Cochise, il gran capo, arringa duramente contro i soldati e il governo degli
Stati Uniti con termini talmente eloquenti che imbarazzano perfino il
traduttore. Le conseguenze di queste parole, dure ma veritiere, sono
immaginabili, e la superbia arrogante del colonnello Thursday chiuderà la
questione nel modo prevedibile. Ma va detto che il militare presterà fede fino
all’ultimo alla sua natura e, sebbene criticabile per la sua cieca arroganza,
saprà meritarsi almeno l’onore militare con un coerente estremo sacrificio. Il finale prosegue in doppio binario, con la figura di Thursday
che viene incensata sia sul versante epico che su quello storico, con il capitano
York che non può esimersi dal rispetto per il gesto con il quale il colonnello
nel finale prova a riscattarsi.
Ecco quindi la grandezza di John Ford: ci ha mostrato la
vita del forte, con simpatia per i soldati e le loro donne, i personaggi validi
come il capitano York e quelli più discutibili, ma comunque carismatici, come
il colonnello Thursday, facendo un quadro credibile e affascinante, anche se
certamente romanzato. Ma non va dimenticato che, al momento cruciale, il
geniale regista di origini irlandesi si è fatto tremendamente serio spiattellando
sullo schermo, in modo anche brutale, da che parte stava la ragione.
E non era dalla parte dei bianchi.
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