610_LA CITTA' SI DIFENDE . Italia, 1951. Regia di Pietro Germi.
La passione per il cinema americano di Pietro Germi è
particolarmente evidente nell’impostazione alla base di La città si difende. Per l’ambientazione metropolitana e il tema
trattato, una rapina alla cassa dello stadio di Roma, il film si presenta
almeno formalmente come un noir
americano. A quel genere si può ascrivere anche la disperazione dei quattro inesperti
rapinatori, tutti individui diversi e con motivi di sconforto diversi, ma
accumunati da una sostanziale mancanza di speranza nel futuro che nemmeno la
momentanea riuscita del colpo riuscirà a dissipare del tutto. Guido (Paul
Müller) è un pittore senza soldi; Paolo (Renato Baldini) è un ex calciatore
famoso dalla carriera stroncata da un gravissimo infortunio; Luigi (Fausto
Tozzi) è un padre di famiglia in miseria; Alberto (Enzo Maggio Jr) è un ragazzo
senza lavoro e senza una lira. Come si accennava, la rapina riesce ma a quel
punto cominciano i problemi perché vanno gestite le valige coi contanti e i
quattro non sembrano avere il sangue freddo necessario; tranne Guido, almeno in
parte. E qui possiamo osservare alcune peculiarità italiane di La città si difende rispetto al modello
di noir americano. Fossimo stati in
un film d’oltreoceano, la disponibilità di soldi avrebbe aumentato l’autostima
dei quattro e anche le loro concrete possibilità di fare strada in società. Poi
qualcosa sarebbe andato storto, d’accordo, ma almeno in questa prima fase probabilmente
le cose per i rapinatori avrebbero cominciato a girare per il verso giusto. In
effetti l’unico dei quattro che interpreta la situazione in questo senso è
Paolo che, come ex stella del calcio, è stato ricco e prova subito a
riprendersi la scena.
Guido è invece sospettoso e circospetto; ma sono Alberto
e Luigi che dimostrano la maggiore incapacità di gestire la situazione,
mostrando evidenti limiti nella propria visione del futuro per il quale non
mettono praticamente mai in conto un’opzione positiva. Va specificato che, in
questo discorso, non c’è un’ottica morale, anche perché nel film
sostanzialmente manca completamente: è la paura che frena i meno risoluti del
gruppo e non certo gli scrupoli di coscienza. Quello che risulta è che, in Italia,
anche riuscisse un
colpo (lasciamo
quindi perdere l’aspetto etico) non ci sarebbe in seguito la possibilità di
concretizzarlo in un miglioramento del benessere. La mancanza di un quadro
morale, da parte di Germi, lascia intendere che non sia tanto il famoso detto
il crimine non paga a mortificare le
speranza dei ladri, quanto la mancanza di una situazione ambientale che
permetta una qualche forma di svolta nella vita dei disperati. Insomma, Germi
sembra dire: nemmeno se si ruba una valigia piena di soldi avremmo speranza di
farci una vita nuova, tanto è radicata la miseria. Un ulteriore limite alla
condizione italiana è un altro punto di differenza con il cinema americano
preso in avvio come riferimento: la figura femminile. Nel
noir, genere a cui
La città
si difende possiamo costatare
assomigli
sempre più unicamente a livello superficiale, il ruolo principale o comunque
peculiare della donna è quello della
dark
lady, colei che induce in tentazione,
corrompe,
l’eroe di turno.
E’ una connotazione certamente negativa per la donna ma solo perché rifletteva su di sé, in quanto figura
altra rispetto all’uomo tipicamente protagonista delle storie del
tempo, i timori e le angosce di quei tribolatissimi anni. Non c’era, quindi, una
riflessione approfondita sulla condizione femminile, in quei film; non a caso,
nel periodo appena successivo, gli anni cinquanta, la donna nel cinema
americano prenderà prepotentemente il centro della scena, con i drammi
sentimentali e i
melò fiammeggianti,
dimostrando, allora sì, la sua centralità e la sua importanza nella società
americana. Tutto questo non c’è nel film di Germi che se mostra comunque le
rispettive figure femminili dei quattro protagonisti, lo fa con un certo
distacco. Il film, tra l’altro, è curioso, perché nei fatti smentisce il
proprio titolo:
La città (che)
si difende non è che si veda poi molto.
In realtà assistiamo in prima analisi alle reazioni dei ladri alle conseguenze
dell’evento criminoso e un riflesso di queste nelle controparti femminili dei
quattro. Tra queste ultime è emblematica quella della signora del ritratto
(Tamara Lees), che affascina Guido per l’altera bellezza del viso ma che rimane
soltanto idealizzata da questi. La donna come oggetto del desiderio è quindi
vista come qualcosa di inarrivabile. Più controversa Lina (Cosetta Greco), la
moglie di Luigi: in lei c’è forse un barlume di moralità (non vuole la sua
parte di denaro), ma la sua onestà è a
scartamento
ridotto (vuole comunque qualcosa dal bottino per cambiare aria col marito).
Il suo approccio alla questione, vedendo Luigi disperato per la paura, è più
pratico che morale.
Alla madre di Alberto è invece deputata la chiusura
populista e tipicamente italiana della vicenda: la donna racconta dei sacrifici
suoi e del marito, delle sofferenze, della povertà, della miseria e convince il
giovane a costituirsi, rinunciando al suicidio. Anche un regista interessante
come Pietro Germi fa ricorso quindi al sentimentalismo strappalacrime e alla
cultura del vittimismo tipicamente italiana per risolvere i problemi atavici
dello stivale. E il film si chiude così, grazie al cuore di mamma che tutto
appiana e cheta. In realtà manca ancora di riferire di Gina Lollobrigida che
quando appare per la sua fugace comparsata, irradia comunque lo schermo. La sua
è un’ulteriore tipologia di figura femminile, quella incarnata da Daniela, donna emancipata, indipendente economicamente e che tratta l’uomo praticamente da
pari a pari. Per Germi questo sembra significare che se l’uomo cade in
disgrazia (come accade a Paolo, calciatore finito per via di un brutto
infortunio) lei non si fa scrupolo a sbarazzarsene. L’emancipazione della donna
sembra così sancire la fine del significato di famiglia; almeno in questo
specifico ma simbolico caso. La distanza tra le parti è sottolineata dal fatto
che Daniela, ex amante o compagna di Paolo, non esita a denunciarlo alle forze
dell’ordine, quando scopre il misfatto. Non c’è la minima complicità con l’ex partner,
il che potrebbe essere giustificato dal fatto che rubare è un atto criminale.
Ma nemmeno Daniela sembra poi così interessata all’aspetto morale, seppure a
conti fatti sia l’unico personaggio tra i protagonisti a fare quello che
giustizia impone; alla fine la vediamo
sdraiata sul letto, sconsolata. Ci rimane il dubbio di cosa la turbi così
tanto: aver denunciato l’uomo che ha amato? Aver perso l’occasione di arricchirsi
ulteriormente, dividendo con quell’uomo il bottino? Aver fatto il proprio
dovere di cittadina onesta? Può sembrare ironico, ma, essendo italiana, viene
il dubbio che la risposta giusta possa davvero essere la terza.
Tamara Lees
Cosetta Greco
Gina Lollobrigida
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