605_IL DIABOLICO DOTTOR MABUSE (Die 1000 Augen des Dr. Mabuse). Germania, Italia, Francia 1960. Regia di Fritz Lang.
Ultima opera del maestro Fritz Lang, Il diabolico Dottor Mabuse chiude anche l’ideale trilogia dedicata
al malefico genio del male. A quanto è dato sapere Lang considerava ormai
superata la questione con Mabuse, come del resto poteva essere intuibile dal
fatto che nel ’33 ne avesse diretto il testamento
(Il testamento del Dottor Mabuse,
1933). Artur Brauner, un produttore tedesco, riuscì però a convincere il
regista che, alla fine, ne face una sfida personale: in fondo Mabuse poteva
essere ancora attuale, anche nel
Testimonianze di una battaglia ideologica che il grande Fritz combatté, quindi fino al suo ultimo film, e che ne ha spesso limitato la considerazione presso la critica. Tanto per capirci: la benemerita collana di saggi dedicata ai registi di cinema, Il Castoro Cinema, dedicò un volume a Lang sul numero 168, oltre vent’anni dopo la sua inaugurazione: assurdo. Soprattutto pensando che è difficile trovare un regista che abbia interpretato in modo così eccellente sia il cinema muto che quello sonoro, quello europeo e quello hollywoodiano, sfornando capolavori immortali di alto prestigio ma anche opere di godibile fruizione. Che poi, quest’ultimo aspetto, ovvero la passione per il realizzare storie belle da raccontare e da guardare, tra cui svettano i suoi formidabili noir americani, è stato forse l’elemento che ha determinato il suo essere visto soltanto come un valido regista di genere. Che era la sua grande battaglia ideologica di cui si accennava: Lang aveva interpretato al meglio la cultura europea, intrisa di simbolismo e utilizzando con sapienza anche la corrente espressionista, che stilizzava ulteriormente. Ma sin da subito non disdegnò di alimentare le sue storie con una solida base narrativa, di cui i primi film di Mabuse (che risalgono al 1922) sono uno dei tanti esempi. In ogni caso i rimandi che il geniale autore nato a Vienna inserisce nel film non appesantiscono mai la visione, perché l’autore aveva un senso dell’ironia sopraffina come si intuisce già dal citato incipit de Il diabolico Dottor Mabuse, con la figura del commissario che ha un che di bonario e con la presenza di Mistelzweig (Werner Peters), personaggio ambiguo e che usa la comicità fisica come sorta di maschera. E la doppiezza propria anche degli altri personaggi, dei loro ruoli, conferisce una piega vagamente spionistica: da Corneliuss, il cieco veggente (Wolfgang Preiss), a Travers (Peter van Eyck), al citato Mistelzweig, fino a Marion, a cui Dawn Adams regala il look degno di una dark lady.
Ma i tempi sono cambiati e la donna è ben poco fatale anzi, appare in subito in crisi: si vuole infatti buttare dal cornicione dall’Hotel Luxor, epicentro dell’intrigo. La scelta della Adams appare particolarmente azzeccata: pur avendo il physique du rôle è ancora abbastanza sconosciuta da sembrare credibile come femme fatale mancata. Lang tratteggia con delicatezza l’unica figura femminile del film, una figura potenzialmente paragonabile a quelle dei suoi noir americani: ma Marion è una donna disperata, al punto di tentare il suicidio, picchiata, inseguita, perfino spiata nell’intimità in una delle scene più interessanti del film. Berg, il detective del Luxor (Andrea Checchi) osservato l’interesse di Travers per Marion, propone al ricco uomo d’affari un appartamento segreto dal quale si può osservare direttamente nella toilette della ragazza. Qui i due, casualmente, assistono al momento in cui Marion riceve il mazzo di rose rosse che Travers le ha fatto recapitare; vedendone la reazione emotiva, l’uomo rimane turbato da questa invasione nell’intimità della donna, al contrario di Berg, convinto piuttosto di aver fatto un favore al facoltoso cliente. Questi elementi fanno parte di un quadro complessivo che rivela come l’onnipresenza di occhi che guardino e spiino, di fatto tolga fascino alla storia: nel complesso la vicenda è meno intrigante dei noir americani tanto quanto la povera Marion non regga il paragone coi personaggi interpretati da Gloria Grahame o Joan Bennet. E se il nuovo Mabuse è un falso cieco, ovvero uno che finge di non vedere mentre ci guarda, ecco che Lang, nel 1960, aveva già capito dove si sarebbe annidato il male peggiore dei giorni nostri. Altro che legge sulla privacy.
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