601_IL DOTTOR MABUSE : IL GRANDE GIOCATORE / UN QUADRO DELL'EPOCA (Dr.Mabuse, der Spieler. Der Grosse Spieler. Ein Bild der Zeilt). Germania, 1922. Regia di Fritz Lang.
Pur se, dopo aver visto la prima parte de Il Dottor Mabuse, si può essere sorpresi
dalla genialità non solo cinematografica del grandissimo Fritz Lang, è a questo
versante che dobbiamo il primo tributo d’onore. Perché Lang era certamente un
autentico genio, una mente davvero superiore per acume, rigore morale,
inventiva, ma era anche un uomo pratico, concreto: e, in quanto cineasta, le
sue sopraffine qualità andavano quindi a sommarsi ad una solida base tecnica
prettamente legata alla settima arte.
Il dottor Mabuse è un film muto del
1922: eppure, a guardarlo oggi, sorprende per la facile fruibilità, per il
senso del ritmo che non lascia mai scadere la narrazione. Lang è un narratore
eccezionale che utilizza i mezzi del cinema con cognizione di causa e con
grande rispetto per lo spettatore. Ne è un esempio concreto la scena in cui Cara Carozza (Aud Egede Niessen), la
ballerina, irrompe per la seconda volta in casa di Hull (Paul Richter), l’uomo
che sta circuendo per conto del diabolico dottor Mabuse. La ragazza,
nell’entrare in casa, semina una serie di accessori, il fazzoletto, un guanto,
qualcos’altro, poi si siede e invita l’amante ad una serata in un nuovo locale,
il Petite Casino. Sembra di fretta e
veloce si accommiata dall’uomo ma, mentre sta uscendo, perde quello che sembra
un manicotto, uno di quei voluminosi
indumenti da braccio dell’epoca e, fatto strano, sembra non accorgersene nonostante
sia qualcosa di ingombrante. Ma, per la verità, sembra in preda ad una notevole
eccitazione, forse per il brivido della serata mondana che le si prospetta. In
ogni caso Hull raccoglie il fagotto e lo porge alla ragazza che lo bacia e lo
ringrazia nel salutarlo, perdendo di nuovo l’accessorio in questione.
Hull lo
riconsegna di nuovo alla donna e, una volta chiusa la porta, ne pare divertito:
eppure
Cara, pur essendo un’artista,
non si era mai dimostrata così distratta. E questo lo possiamo ben dire noi
spettatori visto che una scena simile,
Cara
Carrozza che si reca da Hull, c’era già stata ad inizio film, senza nessuna
semina
distratta da parte della
donna. Ma è ancora presto per farsi venire dubbi, sebbene questi arrivino
subito dopo quando Hull, sul suo divano, trova un biglietto, evidentemente
perso dalla
disattenta donna. Nel biglietto si intuisce che la visita serale al
Petite Casino è una trappola che
Cara deve mettere in pratica ai danni di
Hull. Per l’uomo è un colpo tremendo, visto l’ardore con cui viveva la passione
per la ballerina. Ma lo spettatore può conservare lucidità e porsi qualche
dubbio: può
Cara diventare
improvvisamente distratta? E può farlo proprio nel momento cruciale? E cosa
servono disposizioni scritte se il dottor Mabuse l’ha istruita verbalmente?
Forse è una
doppia trappola, cioè
un’apparente trappola per Hull che ne nasconde una per il
procuratore di stato von Welk. Che infatti Hull avverte
istantaneamente. Il tema del doppio è, come sempre in Lang, preponderante. Ma,
prima di affrontarlo, occorre rimarcare come questo passaggio narrativo di
estrema raffinatezza, con
Cara che
finge di essere occasionalmente distratta, quel giorno, in modo da poter
perdere in modo credibile il messaggio fatale senza insospettire Hull, è
lasciato sullo sfondo, quasi
sommerso
nella trama da cui emergono solo i tratti essenziali. Questo è uno dei segreti
della capacità tecnica narrativa di Lang: le armoniche secondarie di storie
molto strutturate, con passaggi imbastiti con cura, sono poi lasciate in
secondo o terzo piano mentre lo spettatore, in modo naturale, segue lo svolgere
del canovaccio principale. In questo modo la vicenda non perde ritmo ma non
incappa mai in fastidiose incongruenze che distraggono e infastidiscono lo
spettatore nel caso se ne accorga: in Lang, al contrario, si può avvertire una
sorta di gratificazione quando si afferra un raffinato passaggio del racconto
non troppo ostentato. Per far questo è naturale che occorrano personaggi
ambigui, che abbiano una capacità di ingannare, di rendere credibile qualcosa ma
che questa artificiosità sia, oltre ad una certa soglia di attenzione dello
spettatore, decifrabile, intuibile per quello che è, una finzione nella
finzione: guardate come
Cara lascia
cadere con artefatta nonchalance il fazzoletto nella citata scena per farvene
un’idea. Del resto il personaggio di
Cara
Carrozza, (nome originale nell’opera anche in tedesco e che ha il suffisso
car che si ripete, quasi a sottolinearne
la doppiezza), è un’artista, quindi abituata alla finzione, a raddoppiare cioè
il proprio ruolo tra realtà e spettacolo.
E, come si diceva, il tema del
doppio, in Lang è fondamentale, e lo è ancor più in un’opera che ci costringe a
guardare alla suprema metà oscura dell’animo umano: figura incarnata nel dottor
Mabuse, il supercriminale che si antepone al superuomo della cultura europea.
Il lavoro del geniale autore nato a Vienna è capillare, in questo senso.
Innanzitutto sin dal titolo: Mabuse ha
due
attività che ce lo descrivono, è un
dottore
e un
giocatore. Poi l’opera ha un
sottotitolo, che in pratica lo raddoppia; anzi, in realtà i sottotitoli sono
due, raddoppiati a loro volta,
Il grande
giocatore e
Un quadro dell’epoca,
che dettano una
doppia traccia, una
che segue il protagonista e un’altra più d’ambientazione. Il protagonista è
Mabuse, che però è un personaggio negativo, mentre a reggere le sorti dei
buoni c’è von Welk (Bernhard Goetzke).
La figura del procuratore di stato è, fisicamente,
raddoppiata da Hull; sono i due personaggi maschili positivi della
storia in cui si
riflettono, tramite
i rispettivi flirt, le figure femminili di
Cara
Carrozza e della contessa Dusy Told (Gertrude Welcker). Le quali hanno tutte e
due una
doppia relazione
sentimentale:
Cara è innamorata di
Mabuse e Dusy, che se la intende con von Welk, è sposata col conte Told (Alfred
Abel). In questo gioco di raddoppi l’unica figura che sembra estraniarsi è
Mabuse, sebbene von Welk nel passaggio cruciale riesca ad elevarsi a suo degno
avversario, e quindi speculare, momento che si concretizza nella scena in cui resiste
al potere ipnotico del diabolico dottore. In quella circostanza Mabuse fa uso
di occhiali cinesi, un oggetto duplice di suo e che
raddoppia lo sguardo, a testimonianza di un lavoro sul tema in cui
è immersa un’opera che non si limita ad accoppiare i personaggi in svariate e
mutevoli combinazioni. Il lavoro di Lang è anche figurativo con una capacità
compositiva delle immagini notevole a dimostrazione della peculiarità propria
dell’autore nel saper perfettamente piazzare la macchina da presa per ottenere
la migliore inquadratura possibile. Ma la genialità del regista si manifesta
anche in alcune trovate, come ad esempio il
Petite
Casino stesso,
che è un club
dall’aspetto inconsueto e originale.
Oltre a rimarcare, ça va sans dire, il gioco dei doppi: il locale può rapidamente
passare, in caso di irruzione della polizia, da elegante e bizzarra bisca a
night club, con tanto di ballerina a seno scoperto che si piazza al centro
della scena. Divertente la doppia
traccia, drammatica per l’attesa che scatti la trappola tesa ai danni di Hull,
a cui si sovrappone quella ironica con Cara
che si lamenta (o finge per essere credibile?) per l’entusiasmo dell’uomo nel
vedere la ragazza discinta in mezzo al palco. Lo stacco successivo crea un
altro evidente raddoppio: dal palco circolare del Petite Casino si passa alla seduta spiritica in cerchio dove
troviamo la contessa Told e in seguito anche il dottor Mabuse. La didascalia ci
informa che si tratta di un altro
mondo, effettivamente con la seduta si cercherà di mettersi in contatto
nell’aldilà, ma è anche un modo per sottolineare il tema del doppio che, come
detto, permea tutto il racconto filmico.
Questo aspetto non è certo gratuito,
niente lo è nel cinema di Fritz Lang, ma permette all’eccezionale regista di
poter incentrale il suo film sulla figura del malvagio. Cosa che, negli anni
venti del XX secolo, non era poi così scontata. Nel momento in cui il tema
centrale è infatti quello della doppia anima delle cose, Lang può erigere a
protagonista un cattivo senza perdere per questo il senso morale ed etico del
suo lavoro. Se c’è il
male, visto la
duplice natura delle cose, deve esserci anche il
bene e, in effetti, nonostante le difficoltà, von Welk riesce a
resistere al tentativo di Mabuse di soggiogarlo con lo sguardo ipnotico. Fondamentale
notare come Mabuse, che nel film è sempre mostrato ammantato di grande fascino,
nella scena in cui non riesce ad avere la meglio sul procuratore di stato,
batta in male parata in modo poco lusinghiero.
E’ la misera
statura morale del
male, sembra dirci Lang, che si alimenta coi propri successi ma non
ha la tempra per resistere alla sconfitta, rivelando così, a sua volta, una
natura duplice. Ma la sorpresa maggiore, di un film che ne reca in serbo così
tante, è forse in avvio e riguarda la traccia ambientale a cui si riferisce il
secondo sottotitolo,
Un quadro dell’epoca.
Le immagini mostrano, in un serrato montaggio alternato su differenti scene,
una complicata rapina di una cartella ma lo scopo non è tanto impossessarsi dei
documenti ivi contenuti. Mabuse architetta tutto ciò per poter fare una
speculazione finanziaria in Borsa: in pratica Lang assimila una rapina (condita
da un omicidio) all’attività principe del capitalismo, con una lungimiranza
notevole, se consideriamo che nel 1922 mancano ancora 7 anni al fatidico 1929,
quando il sistema economico mostrerà il suo lato più vulnerabile. Non ha caso questa
è la prima scena e non ha caso Mabuse non si sporca le mani ma resta dietro le
fila ad orchestrare l’evento, proprio come un abile finanziere. E’ il biglietto
da visita del
Male assoluto: nei
decenni a venire, in effetti, poche cose faranno danni come il capitalismo
finanziario.
Aud Egede Niessen
Gertrude Wecker
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