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sabato 18 luglio 2020

IL DOTTOR MABUSE PARTE 1

601_IL DOTTOR MABUSE : IL GRANDE GIOCATORE / UN QUADRO DELL'EPOCA (Dr.Mabuse, der Spieler. Der Grosse Spieler. Ein Bild der Zeilt). Germania, 1922. Regia di Fritz Lang.

Pur se, dopo aver visto la prima parte de Il Dottor Mabuse, si può essere sorpresi dalla genialità non solo cinematografica del grandissimo Fritz Lang, è a questo versante che dobbiamo il primo tributo d’onore. Perché Lang era certamente un autentico genio, una mente davvero superiore per acume, rigore morale, inventiva, ma era anche un uomo pratico, concreto: e, in quanto cineasta, le sue sopraffine qualità andavano quindi a sommarsi ad una solida base tecnica prettamente legata alla settima arte. Il dottor Mabuse è un film muto del 1922: eppure, a guardarlo oggi, sorprende per la facile fruibilità, per il senso del ritmo che non lascia mai scadere la narrazione. Lang è un narratore eccezionale che utilizza i mezzi del cinema con cognizione di causa e con grande rispetto per lo spettatore. Ne è un esempio concreto la scena in cui Cara Carozza (Aud Egede Niessen), la ballerina, irrompe per la seconda volta in casa di Hull (Paul Richter), l’uomo che sta circuendo per conto del diabolico dottor Mabuse. La ragazza, nell’entrare in casa, semina una serie di accessori, il fazzoletto, un guanto, qualcos’altro, poi si siede e invita l’amante ad una serata in un nuovo locale, il Petite Casino. Sembra di fretta e veloce si accommiata dall’uomo ma, mentre sta uscendo, perde quello che sembra un manicotto, uno di quei voluminosi indumenti da braccio dell’epoca e, fatto strano, sembra non accorgersene nonostante sia qualcosa di ingombrante. Ma, per la verità, sembra in preda ad una notevole eccitazione, forse per il brivido della serata mondana che le si prospetta. In ogni caso Hull raccoglie il fagotto e lo porge alla ragazza che lo bacia e lo ringrazia nel salutarlo, perdendo di nuovo l’accessorio in questione. 

Hull lo riconsegna di nuovo alla donna e, una volta chiusa la porta, ne pare divertito: eppure Cara, pur essendo un’artista, non si era mai dimostrata così distratta. E questo lo possiamo ben dire noi spettatori visto che una scena simile, Cara Carrozza che si reca da Hull, c’era già stata ad inizio film, senza nessuna semina distratta da parte della donna. Ma è ancora presto per farsi venire dubbi, sebbene questi arrivino subito dopo quando Hull, sul suo divano, trova un biglietto, evidentemente perso dalla disattenta donna. Nel biglietto si intuisce che la visita serale al Petite Casino è una trappola che Cara deve mettere in pratica ai danni di Hull. Per l’uomo è un colpo tremendo, visto l’ardore con cui viveva la passione per la ballerina. Ma lo spettatore può conservare lucidità e porsi qualche dubbio: può Cara diventare improvvisamente distratta? E può farlo proprio nel momento cruciale? E cosa servono disposizioni scritte se il dottor Mabuse l’ha istruita verbalmente? 

Forse è una doppia trappola, cioè un’apparente trappola per Hull che ne nasconde una per il procuratore di stato von Welk. Che infatti Hull avverte istantaneamente. Il tema del doppio è, come sempre in Lang, preponderante. Ma, prima di affrontarlo, occorre rimarcare come questo passaggio narrativo di estrema raffinatezza, con Cara che finge di essere occasionalmente distratta, quel giorno, in modo da poter perdere in modo credibile il messaggio fatale senza insospettire Hull, è lasciato sullo sfondo, quasi sommerso nella trama da cui emergono solo i tratti essenziali. Questo è uno dei segreti della capacità tecnica narrativa di Lang: le armoniche secondarie di storie molto strutturate, con passaggi imbastiti con cura, sono poi lasciate in secondo o terzo piano mentre lo spettatore, in modo naturale, segue lo svolgere del canovaccio principale. In questo modo la vicenda non perde ritmo ma non incappa mai in fastidiose incongruenze che distraggono e infastidiscono lo spettatore nel caso se ne accorga: in Lang, al contrario, si può avvertire una sorta di gratificazione quando si afferra un raffinato passaggio del racconto non troppo ostentato. Per far questo è naturale che occorrano personaggi ambigui, che abbiano una capacità di ingannare, di rendere credibile qualcosa ma che questa artificiosità sia, oltre ad una certa soglia di attenzione dello spettatore, decifrabile, intuibile per quello che è, una finzione nella finzione: guardate come Cara lascia cadere con artefatta nonchalance il fazzoletto nella citata scena per farvene un’idea. Del resto il personaggio di Cara Carrozza, (nome originale nell’opera anche in tedesco e che ha il suffisso car che si ripete, quasi a sottolinearne la doppiezza), è un’artista, quindi abituata alla finzione, a raddoppiare cioè il proprio ruolo tra realtà e spettacolo. 


E, come si diceva, il tema del doppio, in Lang è fondamentale, e lo è ancor più in un’opera che ci costringe a guardare alla suprema metà oscura dell’animo umano: figura incarnata nel dottor Mabuse, il supercriminale che si antepone al superuomo della cultura europea. Il lavoro del geniale autore nato a Vienna è capillare, in questo senso. Innanzitutto sin dal titolo: Mabuse ha due attività che ce lo descrivono, è un dottore e un giocatore. Poi l’opera ha un sottotitolo, che in pratica lo raddoppia; anzi, in realtà i sottotitoli sono due, raddoppiati a loro volta, Il grande giocatore e Un quadro dell’epoca, che dettano una doppia traccia, una che segue il protagonista e un’altra più d’ambientazione. Il protagonista è Mabuse, che però è un personaggio negativo, mentre a reggere le sorti dei buoni c’è von Welk (Bernhard Goetzke). 

La figura del procuratore di stato è, fisicamente, raddoppiata da Hull; sono i due personaggi maschili positivi della storia in cui si riflettono, tramite i rispettivi flirt, le figure femminili di Cara Carrozza e della contessa Dusy Told (Gertrude Welcker). Le quali hanno tutte e due una doppia relazione sentimentale: Cara è innamorata di Mabuse e Dusy, che se la intende con von Welk, è sposata col conte Told (Alfred Abel). In questo gioco di raddoppi l’unica figura che sembra estraniarsi è Mabuse, sebbene von Welk nel passaggio cruciale riesca ad elevarsi a suo degno avversario, e quindi speculare, momento che si concretizza nella scena in cui resiste al potere ipnotico del diabolico dottore. In quella circostanza Mabuse fa uso di occhiali cinesi, un oggetto duplice di suo e che raddoppia lo sguardo, a testimonianza di un lavoro sul tema in cui è immersa un’opera che non si limita ad accoppiare i personaggi in svariate e mutevoli combinazioni. Il lavoro di Lang è anche figurativo con una capacità compositiva delle immagini notevole a dimostrazione della peculiarità propria dell’autore nel saper perfettamente piazzare la macchina da presa per ottenere la migliore inquadratura possibile. Ma la genialità del regista si manifesta anche in alcune trovate, come ad esempio il Petite Casino stesso, che è un club dall’aspetto inconsueto e originale. 


Oltre a rimarcare, ça va sans dire, il gioco dei doppi: il locale può rapidamente passare, in caso di irruzione della polizia, da elegante e bizzarra bisca a night club, con tanto di ballerina a seno scoperto che si piazza al centro della scena. Divertente la doppia traccia, drammatica per l’attesa che scatti la trappola tesa ai danni di Hull, a cui si sovrappone quella ironica con Cara che si lamenta (o finge per essere credibile?) per l’entusiasmo dell’uomo nel vedere la ragazza discinta in mezzo al palco. Lo stacco successivo crea un altro evidente raddoppio: dal palco circolare del Petite Casino si passa alla seduta spiritica in cerchio dove troviamo la contessa Told e in seguito anche il dottor Mabuse. La didascalia ci informa che si tratta di un altro mondo, effettivamente con la seduta si cercherà di mettersi in contatto nell’aldilà, ma è anche un modo per sottolineare il tema del doppio che, come detto, permea tutto il racconto filmico. 

Questo aspetto non è certo gratuito, niente lo è nel cinema di Fritz Lang, ma permette all’eccezionale regista di poter incentrale il suo film sulla figura del malvagio. Cosa che, negli anni venti del XX secolo, non era poi così scontata. Nel momento in cui il tema centrale è infatti quello della doppia anima delle cose, Lang può erigere a protagonista un cattivo senza perdere per questo il senso morale ed etico del suo lavoro. Se c’è il male, visto la duplice natura delle cose, deve esserci anche il bene e, in effetti, nonostante le difficoltà, von Welk riesce a resistere al tentativo di Mabuse di soggiogarlo con lo sguardo ipnotico. Fondamentale notare come Mabuse, che nel film è sempre mostrato ammantato di grande fascino, nella scena in cui non riesce ad avere la meglio sul procuratore di stato, batta in male parata in modo poco lusinghiero. 

E’ la misera statura morale del male, sembra dirci Lang, che si alimenta coi propri successi ma non ha la tempra per resistere alla sconfitta, rivelando così, a sua volta, una natura duplice. Ma la sorpresa maggiore, di un film che ne reca in serbo così tante, è forse in avvio e riguarda la traccia ambientale a cui si riferisce il secondo sottotitolo, Un quadro dell’epoca. Le immagini mostrano, in un serrato montaggio alternato su differenti scene, una complicata rapina di una cartella ma lo scopo non è tanto impossessarsi dei documenti ivi contenuti. Mabuse architetta tutto ciò per poter fare una speculazione finanziaria in Borsa: in pratica Lang assimila una rapina (condita da un omicidio) all’attività principe del capitalismo, con una lungimiranza notevole, se consideriamo che nel 1922 mancano ancora 7 anni al fatidico 1929, quando il sistema economico mostrerà il suo lato più vulnerabile. Non ha caso questa è la prima scena e non ha caso Mabuse non si sporca le mani ma resta dietro le fila ad orchestrare l’evento, proprio come un abile finanziere. E’ il biglietto da visita del Male assoluto: nei decenni a venire, in effetti, poche cose faranno danni come il capitalismo finanziario.       


Aud Egede Niessen

 
  

Gertrude Wecker


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