593_CRONACA DI UN AMORE ; Italia, 1950. Regia di Michelangelo Antonioni.
Michelangelo Antonioni
esordisce come regista di lungometraggi con questo interessante Cronaca
di un amore, sua prima opera di una certa consistenza. Il film si presenta
come un’interpretazione italiana del genere noir americano;
c’è la donna fatale (Paola, un’elegantissima Lucia Bosè), c’è l’uomo che viene
condotto alla perdizione (Guido, Massimo Girotti), e c’è l’intrigo ai danni del
marito ricco della ragazza. Il film è girato in un bianco e nero sopraffino e
con scene di rarefatta atmosfera, perlopiù in una Milano semideserta. Alcune
sequenze sono molto belle, seppur un po’ troppo accademiche: in alcune di
queste la donna, elegantemente vestita di scuro, si muove come una vedova
nera, il ragno che tesse la sua tela per ghermire la preda. Ragnatela che è
resa metaforicamente dalle putrelle di ferro del ponte sul Naviglio o dalle
gabbie protettive dell’ascensore a vista; e, sempre nella scena nel vano scale
del palazzo, i tiranti dell’ascensore sembrano i fili che muovono la
marionetta/Guido. I movimenti di macchina e i carrelli panoramici sono misurati
e calibrati: la mano di Antonioni in regia è discreta, ma presente. Massimo
Girotti svolge il suo compito dolente in modo professionale; alla Bosè sembra
invece mancare qualcosa. La sua è una bellezza notevole dal punto di vista
scenico eppure sembra che non riesca ad incendiare lo schermo come sarebbe
lecito attendersi in questo tipo di pellicole. Ma probabilmente è giusto così:
perché l’idea di produrre un noir italiano
ci può stare, ma non avrebbe senso mettere in piedi una semplice imitazione
degli originali americani.
Antonioni deve aver pensato che nel nostro paese le
avanguardie economiche e culturali abbiano ormai lasciato le miserie del
dopoguerra e quindi occorresse un nuovo modo di fare Cinema, più adeguato di
quanto non potesse essere quel Neorealismo
che magnificamente aveva espresso quel drammatico periodo. E in Italia stava insediandosi
in posizione dominante una nuova classe sociale, quella borghese, che aveva
ragioni e problemi nuovi e peculiari. Ecco quindi l’ambientazione milanese di
questo Cronache di un amore e i suoi
personaggi benestanti, annoiati ma sempre indaffarati. Il noir, genere della desolazione urbana, deve essere sembrato
all’autore il registro migliore per mettere in scena la borghesia, ma manca
alla nostra società l’elemento violento che invece permea la cultura americana
e ogni sua espressione. Infatti il film parla di due delitti mancati e, non a
caso, la mancanza è il vero argomento
dell’opera. Alla protagonista, anche per via della giovanissima età e della
scarsa esperienza, manca non solo quel qualcosa per farne una vera diva ma,
nella finzione, manca anche l’amore, manca un senso nella sua vita agiata.
Milano deserta, vuota, le campagne circostanti vuote anch’esse, così come disabitata
appare Ferrara, ambientazione geografica di alcune scene: la borghesia, la
classe sociale che si distingue non per quello che è o per quello che fa, ma
per quello che ha, per le cose che possiede, ha, quasi per assurdo, creato un
mondo vuoto.
Lucia Bosè
Lucia Bosè
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