606_IL GIORNO DELLA VENDETTA (Last Train from Gun Hill). Stati Uniti 1959. Regia di John Sturges.
Il titolo originale di quest’opera, Last train from Gun Hill, sembra porci di fronte ad un ultimatum: l’ultimo treno è un chiaro riferimento ad un’ultima possibilità, ad un’ultima via di uscita. In realtà il film di vie di uscita non ne prevede; tutto sembra scritto e quando si arriva al momento della verità è solo il tempo della riscossione, visto che i giochi sono già stati fatti in precedenza. In effetti la pellicola può essere divisa in due fasi: l’antefatto e la storia vera e propria. L’antefatto è in realtà la parte più importante, quella in cui avviene il crimine (la violenza e l’uccisione di un’indiana da parte di due cowboys ubriachi), quella in cui i personaggi decidono liberamente, con il libero arbitrio (sebbene quello dei cowboys obnubilato dall’alcool). La seconda fase è semplicemente la conseguenza della prima: qui i personaggi smettono di scegliere e si attengono solamente al proprio ruolo. Il tema dominante del film comincia, non a caso, con lo sceriffo Pat Morgan (un araldico Kirk Douglas) che sta raccontando, in modo assai efficace, una storia del vecchio west ai ragazzini del paese. Gli eventi drammatici occorsi nel prologo irrompono, innestandosi alla perfezione alle parole di Morgan che, da quel momento, smetterà i panni dello sceriffo di paese e buon padre di famiglia per assumere quelli della Legge, della Legge in persona. In questo senso c’è forse l’equivoco del nome dell’opera nella versione italiana: Il giorno della vendetta è, in effetti, fuori luogo perché Pat Morgan non si vendicherà dell’assassino della sua donna (la ragazza indiana era infatti sua moglie) ma, con modi sicuramente più consoni ad una mentalità americana piuttosto che italiana, porterà a termine il corso della Giustizia.
Lo sguardo narrativo quasi astratto di Sturges è sottolineato dalle molte inquadrature dei personaggi iscritti negli stipiti di porte e finestre o all’interno di specchi; insomma, l’idea che si ha è quella di una rappresentazione incorniciata, fuori quindi dal contesto reale. Il tema del racconto, e il suo svilupparsi in modo estraneo alla realtà, ritorna, nella terrificante anteprima che Morgan fa al suo prigioniero, prospettandogli con un’agghiacciante cronaca la futura esecuzione sulla forca con tanto degli angoscianti giorni di attesa. Ma la questione è messa in modo esplicito dallo stesso regista: al portiere dell’albergo che gli obietta “Lei va contro la legge!” lo sceriffo Morgan risponde perentorio “la legge sono io”. Non è quindi la Vendetta, come vorrebbe il titolo italiano, a fare il suo corso in questa pellicola, ma la Legge, la Giustizia: e, nell’accezione tipicamente americana, questa non fa nessuno sconto. La sua mano è inesorabile, inarrestabile: proprio come lo sceriffo Morgan che procede contro tutto e contro tutti affinché i colpevoli siano puniti. Colpevoli che, di fronte alla suprema Giustizia e non ad un concreto tribunale terreno, sono tali senza dubbi, senza possibilità di errore.Nel film manca, infatti, la fase istruttoria, tutto è chiaro quasi fin da subito: la sella dell’assassino è marchiata, il colpevole è sfregiato e gli altri passaggi chiave si svelano facilmente (i bar chiusi la domenica). Non ci sono tante piste da seguire: ce n'è una sola e porta al pagamento delle proprie colpe. L’inesorabilità di questa storia, anticipata dal titolo americano (l’ultimo treno), è resa con effetto anche dalle musiche dell’ottimo Dimitri Tiomkin, mentre nel cast Anthony Quinn è tetro e tenebroso quanto basta e la figura femminile di turno, la deliziosa Caroline Jones, è addirittura strepitosa. In effetti è davvero solo una figura, tanto da sembrare quasi bidimensionale: la si vede tra le lettere della vetrina del saloon, quasi fosse un’illustrazione parte di essa, si sposta nel film camminando ma senza produrre alcun movimento visivo, come fosse una figurina, e si cambia d’abito senza reale bisogno, come fosse una bambola. Linda, il personaggio interpretato dalla Jones, appare naturalmente nel film con sembianze femminili ma il ruolo di donna le è sostanzialmente negato: la femminilità ad essa intrinseca, in questa storia completamente estranea, è rimasta violata e uccisa insieme alla ragazza indiana dell’incipit. Merito al solido e valido regista John Sturges che costruisce magistralmente un film opprimente, senza momenti di svago o cedimenti. La tensione è in costante crescendo e la scena con l’albergo in fiamme e lo sceriffo che conduce il calesse senza nemmeno potersi sedere è da antologia. Il finale, pur se drammatico, è vagamente consolatorio ma ci lascia impassibili, senza emozioni che non siano un’amara disillusione. Proprio come il volto di un grande Kirk Douglas nell’ultima scena.
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