562_LA VENERE DI CHERONEA ; Italia 1957. Regia di Giorgio Venturini e Victor Turzanskij.
Mentre sul sito IMDB (Internet Movie Data Base) troviamo che
la regia de La Venere di Cheronea è opera di Fernando Cerchio
e Viktor Turžanskij , sui manifesti e locandine, accanto al nome del regista
russo esule, troviamo quello di Giorgio Rivalta. Che poi era lo pseudonimo del
produttore Giorgio Venturini: insomma, non c’è troppa chiarezza riguardo alla
paternità del film anche se rimane certo l’apporto di Turžanskij. Diventa formalmente
difficile valutare la regia di un’opera che già si presenta in modo così
confuso, soprattutto perché poi, sullo schermo, una certa vaghezza artistica
rimane a contraddistinguere questo La Venere di Cheronea. Peccato: considerato
alcune premesse, il film avrebbe potuto essere di ben altro spessore rispetto a
quello che è poi rimasto sulla pellicola. Intanto perché c’è Belinda Lee, ovviamente
negli esigui panni della Venere in questione, che altri non è che una
fantastica modella dell’epoca ellenica. Belinda era, insieme alla più celebre
Diana Dors, la risposta britannica
alle dive platinate americane e, in quel periodo, stava furoreggiando
soprattutto in Italia. La sua carriera verrà stroncata pochi anni dopo, nel 1961, a causa di un
incidente d’auto; nonostante gli oltre 30 film in sette anni, di cui una
dozzina nel belpaese, il suo ricordo
è comunque inferiore all’impatto che fa sullo schermo. La Venere di Cheronea è un peplum ambientato in epoca ellenica che, purtroppo, si riduce
all’occasione di vederla scorazzare con un abito discinto sullo schermo, il che
non è certo un male, sia chiaro. Però nelle premesse l’opera lasciava intendere
che ci potesse essere qualcosa di più.
Il protagonista maschile è Massimo
Girotti nella parte di Prassitele, il famoso scultore dell’antichità e, in
avvio, il film sembra poter esplorare il rapporto tra la bellezza e l’artista
e, su un altro piano, tra l’arte e gli altri modi di approcciarsi alla vita. Il
primo confronto è concretizzato nella difficoltà di Prassitele nel gestire la
relazione con la modella Iride, il personaggio della Lee: invaghito dall’idea
di bellezza che la ragazza incarna, è troppo occupato a reinterpretarla nella
scultura per poterla corteggiare a dovere. Il rapporto rimane così platonico:
il che, da un certo punto di vista, nobilita l’animo di Prassitele, che non era
cioè solito approfittare delle occasioni artistiche o professionali. Ma questo
comportamento lascia campo libero a Luciano, macedone ferito che viene ospitato
e curato nella casa dello scultore. L’arrivo di Luciano, che è un soldato,
mette a confronto gli ideali di pace universale, dettati dalla bellezza e che
animano Prassitele, a quelli più prosaici del macedone. Il quale, pur essendo
nemico, non è così denunziato dallo scultore ai soldati ateniesi; Prassitele è
un artista, un uomo che insegue l’ideale della bellezza assoluta e che è
contrario alle meschine beghe terrene. A differenza di Luciano che, da buon
soldato, non perde tempo e approfitta dell’ospitalità per corteggiare
spudoratamente e quindi conquistare il cuore della bellissima modella. Il film
si trasforma quindi in un melò e
l’entrata in campo dell’amore, inteso
come viva passione, fa deragliare persino la moralità di Prassitele.
Non è che
il nobile sentimento venga dipinto in modo negativo ma piuttosto se ne
sottolinea l’ingovernabilità, tanto che anche la pacifica villa dello scultore
diventa un luogo dove si concretizzano l’odio e il tradimento. Va detto che, il
film, non riesce a reggere l’imbastitura
orchestrata con un adeguato sviluppo narrativo. Emblematico, forse, di un certa
trascuratezza generale è il fatto che le scene della battaglia finale tra
Macedoni e Greci non siano nemmeno mostrate, passando direttamente ad una sorta
di resa degli ellenici. Verso la conclusione la storia riprende vigore,
soprattutto grazie ad Iride che, appreso della morte di Prassitele, è colta da
sentimenti contrastanti, tra cui il rimorso per l’odio covato verso lo
scultore, reo, ai suoi occhi, di aver tradito Luciano.
Qui sarebbe stato necessario
un po’ più di coraggio per finire il film dando alla figura della Venere di
Cheronea una statura tragica ma la scelta sarà per un lieto fine di prammatica.
E’ chiaro che l’happy ending è la
scelta per il pubblico pagante, ma finisce per svilire anche il finale che
invece aveva provato a riabilitare il film. Infatti Iride, nonostante abbia
ritrovato Luciano, sembra volersi gettare dagli scogli: in questo si può
leggere la conferma che, anche secondo gli autori, il lieto fine non è la
conclusione opportuna. Iride incarna la figura di una dea materializzando, in carne
e ossa, le pretese artistiche di Prassitele: un finale drammatico la eleverebbe
al di sopra delle normali eroine di tanti finali melensi. Ma lieto fine sarà perché
troppo spesso, a Cinecittà, non solo gli autori ma anche le dee dovevano piegarsi agli interessi del
botteghino.
Belinda Lee
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