565_LE MIE DUE MOGLI (My favorite wife); Stati Uniti 1940. Regia di Garson Kanin.
La commedia Le mie due
mogli dura quasi un’ora e mezza. Eppure la trama è presto detta: Elena
(Irene Dunne), torna da un naufragio dopo sette anni e trova che il marito Nick
(Cary Grant) si è appena risposato con Bianca (Gail Patrick). Ovviamente non è
nel tessuto della vicenda che una commedia ha il suo punto di forza, ma qui
siamo agli estremi. Anche perché alcuni aspetti del plot narrativo, ad esempio
che Elena si era lanciata in una spedizione scientifica, (con due bambini
piccoli in casa; il che, volendo vedere, nei primi anni quaranta è un
bell’ardire), sono solo dettagli che apprendiamo dai dialoghi, ma sono avvenuti
prima del racconto filmico in questione. Inoltre, a Nick, basta soltanto
guardare Elena appena ritornata per scoprirsene ancora innamorato, e in questo
è anche più rapido del cane di casa che in un primo momento stenta a
riconoscerla. Anche gli ostacoli burocratici (o meglio legali, visto che la
bigamia è un reato) sono occasione giusto per qualche sketch umoristico col
giudice (Granville Bates). Perché tutto il film verte sui battibecchi tra
Elena, un po’ risentita col marito per averla scaricata, e Nick, che invece
sostiene di esserla andata a cercarla con la nave, al tempo, e di averla attesa
per ben sette anni. La superba bravura in cabina di regia di Garson Kanin, già
eccellente sceneggiatore di commedie, è proprio la capacità di giostrare gli
elementi, perlopiù sentimentali ed emotivi, tenendoli sempre sulla corda. In
questo senso emblematico, e a quel punto anche manifesto, il rammarico di
Elena, nel finale, quando pensa di averla tirata troppo, quella corda, ed
essere quasi arrivata a rompere il rapporto col marito.
Naturalmente non è
così; per la commedia, per definizione, si prevede sempre il lieto fine, e non
potrebbe certo essere Kanin a non rispettarne la tradizione. Questo sublime
equilibrio, che permea tutto il film, si può riscontrare anche nell’assenza di
personaggi negativi: perfino a Bianca, la nuova
moglie di Nick, non ha alcuna colpa specifica. Così come Stephen (un aitante
Randolph Scott), compagno di naufragio di Elena, galante ed interessato, ma
davvero signorile nel rispettarne la virtù. Tutte le figure coinvolte hanno
quindi le loro ragioni e se la scelta dei favori della storia cade su Elena,
può forse esserci un significato oltre alle questioni strettamente legate
all’esile trama del film. Nel 1940 furoreggiava la seconda guerra mondiale;
moltissimi uomini erano partiti dagli Stati Uniti verso il fronte, in Europa o nel Pacifico.
Nel frattempo, le americane si
davano un gran da fare nell’industria bellica, tanto che la loro evoluzione
professionale si rifletterà in quella che forse è la più rapida accelerazione
nell’emancipazione sociale della donna della Storia. Ma questa situazione
poteva, (e lo avrebbe fatto) mettere in crisi l’istituzione famigliare, basata
da secoli su una stabile e canonica impostazione: la commedia americana, un genere graffiante, coglie al volo questa
opportunità, cristallizzando il fenomeno ma cercando anche di mantenerlo entro
certi limiti. La commedia americana è
infatti un genere che si diverte in
un’opera di decostruzione di ciò che poi tende a ricomporre, magari con un
lieve ma significativo cambiamento, per il lieto fine. In questo caso
l’emancipazione della protagonista, che va addirittura in una spedizione
scientifica (a simboleggiare l’intraprendenza delle donne nelle fabbriche belliche
del periodo), e la lontananza tra marito e moglie (qui a causa di spedizione e
naufragio, nella realtà storica per via degli uomini al fronte), creano
problemi alla struttura famigliare. Bianca, la soluzione che Nick trova ad inizio film, diversamente da Elena, è
la donna in senso più classico, almeno per come inteso fino ad allora: bella,
(non che la Dunne
sia brutta, in verità), elegante, attraente, ma in modo un po’ passivo, nel senso che è l’oggetto del
desiderio di ogni uomo. Certo Elena mostra tutt’un’altra intraprendenza, anche
nel riprendersi il marito.
Saggia, come del resto tutta l’impostazione
dell’opera, anche la scelta delle due attrici rivali: la Dunne è una bella donna, ma
ha anche un fascino pratico, da persona concreta. Gail Patrick è di una
bellezza più fatale: ma Le mie due mogli
non è un noir e, in una commedia, il
suo ruolo è quello sbagliato.
Insomma, sotto la veste di un’innocente commedia ad Hollywood sapevano produrre
opere molto interessanti, oltre che lavorate
in ogni dettaglio. Garson Kanin alla regia era valido, ma soprattutto era un
eccellente sceneggiatore e questo è sempre un elemento di solidità nella
struttura di base di un film. Inoltre, alla scrittura dell’opera misero mano i
coniugi Spewack, Sam e Bella, che presero una nomination all’Oscar, oltre ad un
altro notevole cineasta del calibro di Leo MaCarey. Ma tutti gli aspetti della
produzione videro all’opera autori di primo livello: Rudolph Maté alla
fotografia, Robert Wise al montaggio, Roy Webb alle musiche. E se la storia
sembra essere esile, è perché venne fatto un notevole lavoro di sintesi: cinema
di Hollywood di primissima scelta.
Irene Dunne
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